Quest’oggi voglio parlare di bellezza, di quella straniante magia che si cela in un’immagine, che solo l’occhio esperto di un essere estremamente sensibile può cogliere. Oggi voglio guardare le facce opposte della distruzione e della rinascita che si genera in un ambiente dove nessuno immaginerebbe nulla. Oggi voglio descrivere la poesia delle storie che un fotoreporter come Giorgio Bianchi riesce a raccogliere anche in un Teatro di Guerra, in quel Teatro dell’Assurdo che non dovrebbe fare Spettacolo, dove i personaggi sono veri e muoiono realmente, cessano di vivere nei loro corpi straziati, ma anche nelle loro anime annientate. Dalle bombe, dalle esplosioni, dai rumori assordanti, dai frantumi lasciati in ogni angolo da un nemico sempre più invisibile, che non è nemmeno in chi combatte, ma nelle ragioni di chi manovra i soldatini come in un grande gioco.

Giorgio Bianchi parla attraverso le sue immagini straordinarie come lo sguardo del soldato stupito da una scena apocalittica, la luce che illumina il volto di una donna seduta sul sedile del treno dell’oblio, gli occhi innocenti di un bambino venuto al mondo nonostante tutto, la poesia delle ballerine vestite di sole raggiante, i paesaggi desolati fatti di macerie, come campi da seminare per la Rinascita di un Popolo.

Il suo nome, Giorgio, deriva dal greco antico Γεώργιος (Geṓrgios), composto dai sostantivi γῆ (gê, "terra") e ἔργον (érgon, "lavoro"), significa letteralmente "contadino", "agricoltore", "lavoratore della terra". Se ci pensate bene, egli semina empatia nei popoli stravolti dalla guerra e fa nascere dalle macerie della distruzione germogli di bellezza, come mostrano le sue foto immerse in una dimensione senza tempo. È un mestiere difficile fatto sui luoghi della sofferenza, del dolore, della distruzione, dell’annullamento dell’uomo e della vita. I viaggi sono pericolosi, ancor più la permanenza nelle zone di conflitto, eppure anche in situazioni rischiose il nostro reporter resta freddo e continua a scattare, entra in uno stato di trans in cui perde la percezione del pericolo creando una distanza con la realtà. Allora sono il soggetto o l’oggetto dello scatto che gli interessano, si concentra sul suo obiettivo, lo prende di mira e ne fa emergere il cuore. Davanti alla sua macchina fotografica, uomini forti, armati di tutto punto, si allontanano spaventati e spariscono per paura di farsi immortalare perché, come afferma Giorgio stesso, «la fotografia è un mezzo potentissimo, è un ricordo che si innesta direttamente dalla retina del fotografo nel cervello dello spettatore e diventa a sua volta un ricordo dello spettatore».

Non dimentichiamo il libro di Giorgio Bianchi "Teatri di guerra contemporanei" (Edizioni Mimesis per la collana Sguardi e Visioni), dove sono raccolte storie e immagini dei suoi viaggi nei luoghi di guerra. Come egli afferma «è stata un’occasione di aggiungere una terza dimensione alle mie immagini che è quella delle emozioni del fotografo, delle sensazioni e delle atmosfere che sono dietro a questi scatti per arricchire un lavoro che dura oramai da anni».

Egli racconta «storie di singoli personaggi per cercare di descrivere in maniera indiretta le conseguenze della guerra», vite paradigmatiche come quelle «dei minatori, di cui in Ucraina vi è una lunga tradizione». A volte non sappiamo cosa avviene nei luoghi di conflitto, come trascorrono le esistenze dei civili, così il nostro artista ce lo mostra e ce lo dice: «ho seguito la vita dei soldati in prima linea, delle ballerine del Teatro dell’Opera. La cosa che mi ha più colpito di questo conflitto è che quando io arrivai a Donetsk la città era pressoché disabitata, ma il Teatro dell’Opera continuava a funzionare. La maggior parte degli artisti e delle maestranze si sono riunite e, pur non percependo la paga per un lungo periodo, hanno continuato a dare vita agli spettacoli per dare sollievo alle persone». Ma si narrano anche le vite della gente che resta ancora oggi a Spartak, un piccolo villaggio di una cinquantina di anime nella periferia di Donetsk, dove abitano persone che non hanno voluto lasciare le loro case nonostante vivano «senza acqua corrente, senza elettricità, senza riscaldamento anche a -20°». Nonostante la situazione sia spesso estrema, la loro cultura è così permeata dall’attaccamento alla tradizione, alla famiglia e alla lingua che continuano a praticare il culto per l’ospitalità.

Da questo gioco di immagini emergono due grandi sensibilità: quella di dipingere la vita che si srotola comunque nel fragore del periodo bellico e quella di mostrare come da un occhio magico i paesaggi di morte e distruzione, con lo spirito raffinato di chi coglie il filo che genera nuove trame.
Riuscire a farsi narrare vita morte e miracoli in una situazione così drammatica che lascerebbe muti anche i più loquaci, non è opera semplice. Forse riesce a entrare in intimità con la gente grazie al suo entusiasmo, alla sua luce interiore, alla sua partecipazione al dolore del popolo e al suo desiderio di conoscenza diretta della verità.

Una parte suggestiva delle sue immagini è legata ai ‘minatori’, a quel mondo sotterraneo misterioso, dove gli esseri del sottosuolo come gli gnomi e i nani nascondono le vene d’oro e la ricchezza interiore, i talenti di ogni essere umano e della terra. Di certo rivela il segreto dell’abbondanza che possiede la terra ucraina, dei cui vantaggi e profitti viene derubato il suo popolo.

C’è davvero molta poesia e delicatezza nella vita di questi minatori per raggiungere i quali Giorgio ha dovuto costruire un lungo rapporto fatto di fiducia, tanto da essere ospitato da una coppia che non ha avuto remore a mettere in comune la loro intimità. Egli racconta di due fratelli gemelli cresciuti in orfanotrofio, lontani dal cliché che ci aspettiamo: «queste persone che entrano in questi luoghi oscuri, che lasciano sulla pelle il nero del carbone ma, di fatto, di questo nero sulla loro anima non rimane quasi traccia perché poi, quando arrivano a casa, si trasformano in uomini dolci, amorevoli, bravi genitori. Secondo me noi reporter non dobbiamo concentrarci solo sugli aspetti negativi delle guerre e delle crisi».

Uno dei suoi personaggi è Sasha, l’emblema di un uomo senza vista fisica, che si muove agevolmente nei cunicoli della miniera profonda. L’incontro con Giorgio, contribuisce a restituirgli anche la vista materiale. Questo è un bel regalo che fa a Sasha e alla sua famiglia attraverso una raccolta fondi, ma se fissiamo l’attenzione sulla metafora del “restituire la vista a un cieco”, proviamo a chiederci a quanti “ciechi” il lavoro di Giorgio sta restituendo la vista. È un dono per la gente che apre il terzo occhio, ma anche per se stesso che riesce a mettere in moto il dubbio che glielo fa schiudere…

Poi c’è la sua attenzione per le ballerine, Alina e le altre, la danza, il Teatro, quegli abiti raggianti e rifiniti, lo sfolgorio delle luci dello spettacolo, la vicinanza di gente appassionata, i momenti di gioia e di stupore, che aggiungono speranza e magia all’esperienza del viaggio, generando una crescita interiore all’occhio navigato del fotografo.

Il contrasto tra il mondo militare e quello del teatro si integra nella relazione tra Spartaco e Lisa. Un italiano avvilito dalla lotta per l’esistenza, grazie alla sua formazione militare (paracadutisti Folgore ed Esercito Italiano), parte da Brescia e si arruola nel battaglione Vostok nel Donbass, combatte in prima linea e si ferisce tre volte, ma nella tragicità di questa sua esperienza incontra l’amore… Giorgio racconta una Fiaba, con un pennello intimo e delicato, dove Spartaco e Lisa sono i protagonisti, il principe e la principessa senza trono e senza regno, uniti nella loro integrità di uomo e donna che la guerra non è riuscita a distruggere. I luoghi descritti «ricordano certe atmosfere del film “Il deserto dei tartari”, con questo nemico che sta dall’altra parte ma non si vede e si manifesta solo talvolta con i bombardamenti».

Al nostro artista “l’informazione tradizionale” non bastava più per cui ha sentito l’esigenza di «andare a vedere di persona queste situazioni. Maidan attirò la mia attenzione per via della situazione altamente scenografica, con queste iconiche scene di guerriglia urbana».

In genere chi fa una scelta di vita come questa, non ha una famiglia che aspetta il suo ritorno, è libero di vagare nello spazio e nel tempo, invece lui ha un figlio di circa tre anni, che da quando è arrivato ha cambiato il ritmo delle sue partenze e dei rientri. Il bimbo, inoltre, lo ha condotto a non correre più rischi inutili come la morte, la mutilazione, l’invalidità: «Mio figlio ha cambiato tutto. Certe cose della vita non le capisci se non le vedi attraverso gli occhi di un genitore. Capisci cosa voglia dire quando Liza, la moglie di Spartaco, volontario italiano che combatte con i soldati autonomisti, mi raccontava dei bombardamenti e della sua paura di rimanere uccisa, non tanto per sé stessa quanto per la paura di lasciare i suoi figli orfani. Capisci cosa vuol dire la perdita della tua dimensione per una dimensione collettiva che è quella tua e di tuo figlio».

Eppure come afferma in una intervista parlando del bambino «nel contempo spero che un giorno lui possa essere fiero del mio lavoro e capire che la lontananza si è tradotta in qualcosa di utile anche per le altre persone, per capire determinati contesti. Mi auguro di poter tornare in questi luoghi, spero pacificati, per fargli vedere dove il suo papà ha lavorato e a cosa ha dedicato gran parte della sua vita».

Questo bimbo rappresenta le nuove generazioni che nascono in questi anni bui: Giorgio lascia le sue immagini a questi bambini, agli adolescenti eternamente connessi e alla nostra società di uomini-bambini.

Nella sua carriera gli è anche capitato di incontrare, al museo di Damasco, un professore di musica che ha lasciato il suo lavoro per andare a combattere, per ben sette anni. Colpito dalla proprietà di linguaggio dell’uomo - ha studiato in Italia - e dalla sua capacità di spiegare le emozioni che lo attraversavano, gli ha proposto un’intervista, ma il professore ha risposto con queste parole: «la guerra è una cosa oscena, è una cosa della quale non bisogna parlare, solo chi l’ha vissuta può capire quello di cui io parlerei e quindi la tua audience non capirebbe quello che io ho da dire, e quello che io ho dentro lo devo dimenticare al più presto possibile se voglio sopravvivere». Insomma, mentre in genere le persone sono ansiose di raccontare la guerra, quest’uomo: «Essendo un animo particolarmente sensibile ed educato all’arte era rimasto talmente lacerato che aveva difficoltà a raccontare questa esperienza. Questo capitolo nel libro lo chiamo “La foto non scattata”, perché di fatto a volte capita ai fotografi di non riuscire a scattare una fotografia e di conservarla dentro sé stessi».

Fisicamente Giorgio Bianchi ricorda un personaggio di Pasolini, una figura cristica che somiglia davvero all’Uomo di Nazareth e potrebbe interpretare il ruolo di protagonista del “Il Vangelo secondo Matteo”, ma forse la sua missione è a suo modo quella di essere “salvatore” della verità che si confonde tra i due contendenti del conflitto a colpi di propaganda.

Giorgio cerca di far conoscere il vero ruolo interpretato in Ucraina, invece, dal Presidente Ucraino Zelenskj nella creazione dell’Apocalisse per il suo Popolo e si interroga sulla funzione di madre Russia nella liberazione dei popoli russofoni del Donbass oppressi dalla discriminazione e dalla dittatura, quella che per l’Europa è una democrazia.

Nel chiasso allarmante dei media filo-atlantisti, Giorgio prova a far sentire la sua voce, cercando di spiegare come la propaganda crei dissonanza cognitiva tra i più deboli e i disinformati.

Lo scenario della Guerra in Ucraina non è del resto dissimile da quello che egli narra nella sua esperienza in Siria da parte di chi vuole l’annientamento di questi Popoli, con la differenza che, come egli stesso ha spiegato, il conflitto in Ucraina è una «guerra fratricida perché di fatto queste sono popolazioni che hanno convissuto – la minoranza russofona e la maggioranza ucraina – da sempre e questa situazione ha generato fratture anche in seno alle medesime famiglie, in seno alle medesime comunità. Per quanto riguarda la Siria, quella è stata una guerra per procura perché si è deciso in Occidente di rovesciare il governo».

Del resto che compito si prefigge anche certa parte del cinema di Hollywood? E non solo, ci sono anche le serie distopiche di Netflix: con le continue liti, le fughe incessanti, le emergenze continue, le vendette e i dispetti, vi si possono cogliere le programmazioni, i disegni sottili, i messaggi subliminali, l’abitudine a un mondo di follia. Quali menti tracciano i solchi nelle nostre anime per condizionare le nostre vite, per creare odio, vendetta, rassegnazione, impotenza e naturalmente utili guerre?

Giorgio Bianchi è uno di quei “divergenti” che riescono a illustrare il disegno globale invisibile e che provano a renderlo visibile alle masse, cercando di accendere i lumi della consapevolezza.

In tutte le fiabe c’è un mostro che sembra impedire la crescita dell’eroe e che invece la facilita, spesso è un Drago con molte teste che emette respiri infuocati suscitando terrore nella popolazione. Nel Mito di San Giorgio, soldato originario della Cappadocia, martirizzato sotto Diocleziano, e dell'Arcangelo Michele, che guida la battaglia contro il drago apocalittico, si sostanzia il miracolo più celebre, quello dell'uccisione del Drago. Chi sono oggi le vittime del Drago e dei suoi tentacoli, come potrà San Giorgio a Cavallo neutralizzare il Drago, rendendolo mansueto, legandolo per la cintola e risvegliando il mondo affinché possa finalmente ucciderlo? Magari anche a colpi di macchina fotografica e di telecamera, o magari narrando la storia dei popoli innocenti che la guerra la subiscono.

Sarebbe bello che qualcuno riuscisse a liberare il mondo dalle malefatte del drago, non sapendo bene, come accade in tutte le Fiabe, chi è oggi il Drago e quali sono i suoi tentacoli. Chissà se abbiamo ancora qualche Speranza!

Certe volte penso che questo Drago di fuoco siano solo ologrammi inesistenti, a volte che siamo noi stessi a crearlo, oppure che sia un alieno che ci manovra da qualche oscuro pianeta se non addirittura dal sottosuolo della nostra terra. Chissà se oltre alla pandemia, alla guerra, ci sarà anche un’invasione di alieni falsificata dalla tecnologia o se l’uomo riuscirà a risvegliarsi in tempo…

Ve lo racconterò nella mia prossima Fiaba!