Da poco pubblicata, un’opera senza precedenti: Baudelaire è vivo. I Fiori del Male tradotti e raccontati da Giuseppe Montesano, già autore di Lettori selvaggi, infinito vaso di Pandora dedicato alla storia della creatività umana.

In questo caso, invece, troviamo il racconto di un unico poeta, considerato il più grande della modernità.

La poesia di Baudelaire è un discrimine fondamentale tra ciò che fu e quel che venne dopo di lui, tanto da rendere vano l’appellativo di poeta maledetto. Benché, si tratti certamente di un personaggio contraddittorio, eternamente in bilico tra luce e tenebra, fu impossibile da incasellare.

Secondo Montesano, infatti, ridurre Baudelaire ad una mera macchietta simbolista o decadente vuol dire vanificare la forma di una poetica che ingloba il passato, viene scritta nell’Ottocento ma riguarda noi. Quella di Baudelaire è una scrittura magica, trascinante, pronta ad aprire porte inaspettate ed inesplorate. Una poetica che lo rende costantemente vivo, eternamente legato ad un tempo che verrà!

La Parigi-Mondo di oltre due secoli fa è, infatti, una città destinata a ripetersi e ad affascinare in un moto perpetuo che la straordinarietà dei testi di Montesano sa cogliere. Le sue traduzioni tendono la mano ai lettori, fornendo imprescindibili apparati critici.

Facendo un balzo avanti di qualche anno, ci troviamo nel 1886, anno cruciale per la nascita dell’arte moderna.

Lo sapeva bene il critico e storico John Rewald, autore di due volumi imprescindibili per chiunque voglia approfondire la propria conoscenza dei pittori impressionisti ed i loro successori: La Storia dell’Impressionismo, edito da Johan & Levi, nel 2019 e Dopo l’Impressionismo, fuori catalogo.

Non è un caso, dicevamo, che la scelta di una data simbolo sia caduta proprio sull’anno in cui Seurat termina La Grande Jatte e pone lo spettatore al centro di un dialogo che non presuppone più la mera osservazione, ma un esercizio di completamento dove nulla è lasciato al caso.

Partendo dai volumi di Rewald e dal dipinto di Seurat, giungiamo naturalmente ad una figura cardine dell’intera epoca: Félix Fénéon, salutato dai contemporanei come il primo ‘critico scientifico’. La sua Revue Indépendente recluta collaboratori fra i ranghi degli ultimi veristi e fra quelli dei nuovi decadenti, primo fra tutti Huysmans.

Huysmans fa suo l’ideale di Gustave Moreau: il sogno come catalizzatore e l’immaginario come fonte primaria di ispirazione. Ciò porta alla necessità di creare un mondo mai esistito prima. Pensiamo a Des Esseintes, il protagonista di Au Rebours, dello stesso Huysmans. Personaggio chiave di tutta la corrente decadentista, con il suo amore sfrenato per l’illusione, il falso, l’effimero che acquistano un significato nuovo.

Tuttavia, lo stesso Fénéon, può contendere a personaggi veri e reali lo scettro di dandy, come testimonia il volume del Musée d’Orsay: Félix Fénéon. Critique, collectionneur, anarchiste, che ne ripercorre la rocambolesca biografia soffermandosi sulla figura enigmatica, di cui conosciamo molti aneddoti, ma quante verità?

Questo straordinario catalogo ne analizza le gesta soffermandosi sulla poliedrica collezione di opere d’arte (definendolo: ‘collezionista insaziabile’) e sugli scritti che ne evidenziavano l’innegabile fascino che fu in grado di esercitare sull’intera scena artistica dell’epoca. Articoli spesso scritti dietro pseudonimo, nei quali sottolineava la propria visione pionieristica dell’arte, con un occhio sempre rivolto al nuovo ed all’inedito.

Nella sua lunga carriera editò Rimbaud e diede man forte a Seurat agli albori del movimento puntinista. Fénéon conobbe l’arte di Seurat all’Esposizione degli Indipendenti del 1884, dove rimase incantato da Une Baignade à Asurères. Si conobbero personalmente (guarda caso!) nel 1886 e nemmeno la morte prematura di Seurat avrebbe interrotto il loro sodalizio, poiché il critico ne promosse l’opera fino alla fine dei propri giorni.

Senza allontanarci da questo periodo storico, troviamo un altro libro degno di nota.

Il volume Le Cabaret du Chat Noir di Richard Khaitzine (1997) è il compendio definitivo per riscoprire la storia di quello che fu il locale più importante del circolo bohemien parigino di fine XIX secolo e che pose le basi per tutti i cabaret futuri, dettando legge fra i vari movimenti artistico-letterari dell’epoca.

Il testo di Khaitzine, rivisto e corretto, è un excursus storico, politico e artistico che non cessa di affascinare, senza lesinare sui dettagli che fecero della ‘creatura di Rodolphe Salis’ un punto di riferimento eterno.

Le Chat Noir nacque come teatro d’ombre e cabaret situato proprio nel cuore di Montmartre, a Parigi, nel 1881 e fu un locale ‘selettivo’ interamente rivolto a pittori e poeti, i quali iniziarono a scrivere su di una rivista omonima per promuoverne le iniziative. La figura dell’artista aveva abbandonato l’aura tenebrosa e sacrale dell’epoca di Baudelaire, per un’accezione più giocosa.

Salis stesso, senza false modestie, era solito sottolineare questi cambiamenti, affermando che:

Dio creò il mondo, Napoleone la Legion d’Onore, ma io ho creato Montmartre!