“Out of Control”: il debutto del chitarrista Marco Mattei, un concept all’insegna di un prog-rock contemporaneo e avvincente. Ospiti speciali Tony Levin, Jerry Marotta, Pat Mastelotto, Chad Wackerman e tanti altri.

Out of Control è il tuo debutto e mette in mostra il tuo mondo musicale. La prima cosa che si nota è l’impostazione concettuale. Qual è il tema chiave del disco?

Out of Control è un concept album sulle cose che non possiamo controllare. L’intuizione chiave è la realizzazione che molti aspetti di ciò che percepiamo definire la nostra identità non sono sotto il nostro controllo. E il messaggio principale è che questa realizzazione dovrebbe portare a un cambiamento di prospettiva: quando ci mettiamo nei panni degli altri, ci permettiamo di diventare più aperti ed empatici. L’altro aspetto è che non possiamo controllare la mano che ci viene data, ma possiamo sicuramente decidere come giocarla. Oltre alla mia passione per la musica, diffondere questo messaggio di empatia e inclusione è una delle cose che mi motiva.

Il secondo elemento di forza è strumentale: da una parte le tue chitarre, dall’altra vari strumenti acustici ed etnici. Un dialogo che supera i generi?

Certamente. Il tentativo è proprio quello della ricerca di un sound originale attraverso la diversità nella strumentazione e la contaminazione di generi. In realtà è stata per me scelta abbastanza naturale, perché riflette le influenze di tanti anni vissuti in Paesi diversi e il mio amore per diversi generi musicali.

Tony Levin, Fabio Trentini, Jerry Marotta, Pat Mastelotto, Chad Wackerman e Clive Deamer sono alcuni degli special guest che impreziosiscono l’album. Spesso figure del genere vengono coinvolte come specchietti per le allodole: come hai agito con questi big per renderli autenticamente parte del progetto?

Dopo aver scritto musica e testi del disco ho iniziato a collaborare con una serie di ottimi musicisti per registrarlo, per la maggior parte amici e collaboratori di lunga data. Per un paio di brani, Would I be me e On your side, avevo in mente un suono ed un groove specifico. Ho chiesto a diversi batteristi di suonare nello stile di Jerry Marotta ma nessuno riusciva a farlo in maniera soddisfacente. Da lì ho avuto l’idea di provare a contattare Jerry. Dopotutto chi meglio di lui avrebbe potuto suonare nel suo stile? Dopo aver ascoltato i brani, Jerry ha molto gentilmente accettato di suonare. Poi mi ha detto: “Secondo me dovresti far suonare il basso a Tony Levin su questi brani”. “Stai scherzando?” gli ho detto. “Certamente!” Jerry Marotta e Tony Levin, la sezione ritmica di Peter Gabriel dei primi dieci anni della sua carriera solista, una combinazione fantastica. Poi avevo un altro brano, Void che aveva una parte di batteria molto tecnica. Ho pensato che Chad Wackerman sarebbe stato perfetto, e così è stato. Un altro brano, Picture in a Frame, è tutto in tempi dispari ma volevo che scorresse in maniera fluida. Ho pensato che Pat Mastelotto sarebbe stato la scelta ideale per una cosa del genere.

Insomma, dal mio punto di vista, la chiave è stata quella di coinvolgere questi grandi in maniera funzionale alle necessità dei vari brani, scegliendo di volta in volta il musicista più adatto allo scopo e chiedendogli di essere se stesso. Ovviamente per me è stata una soddisfazione particolare non solo vedere come siano riusciti a realizzare in maniera brillante e personale la mia visione musicale ma anche aver collaborato con alcuni dei miei punti di riferimento come musicista.

Nel tuo curriculum spicca l’esperienza con gli Snowdogs, tribute band dei Rush. Quanto è stato importante il contributo del trio canadese nel tuo disco e in generale nel tuo modo di fare musica?

I Rush sono probabilmente il mio gruppo preferito ma allo stesso tempo credo che musicalmente sia un’influenza minima, se non completamente assente in Out of Control. È difficile da spiegare. Forse è proprio la mia passione e conoscenza della musica del trio canadese che mi farebbe percepire come non mio tutto ciò che fosse influenzato dal loro stile. Forse semplicemente è uno stile difficile da imitare. La mia esperienza come compositore, che penso sia comune a tanti, è che quando si scrive cercando di ascoltare la propria voce interiore è difficile prevedere cosa uscirà fuori. In ogni caso se c’è un’influenza dei Rush è probabilmente più nei testi e nell’approccio concettuale al progetto.

DeBlaise e Snowdogs sono ancora attivi?

I DeBlaise hanno interrotto le attività dal vivo quando mi sono trasferito all’estero. Ciononostante, il gruppo non si è mai formalmente sciolto e sono rimasto sempre in contatto con Paolo Gianfrate, Gianni Pierannunzio e Duilio Galioto, che peraltro sono anche ospiti di Out of Control. Inoltre, ultimamente abbiamo cominciato a collaborare da remoto anche sulla musica dei DeBlaise. Non c’è niente di definito ma spero davvero che questa attività porti da qualche parte.

Gli Snowdogs si sono sciolti quando ho lasciato l’Italia ma dalle loro ceneri sono nati i La Villa Strangiato, che a mio parere sono una delle migliori Rush tribute band d’Europa. Ho continuato a collaborare con loro mixando e producendo le loro registrazioni dal vivo.

Hai firmato tutti i brani, fatta eccezione per una rivisitazione di Gone di Andy Timmons: come mai questa scelta?

Musicalmente ho sempre amato quel brano. Anche il tema, che è la tragedia dell’11 settembre, mi sembrava inerente a Out of Control. Ma c’è anche un’altra ragione. Facendo ascoltare il disco, mentre era ancora in lavorazione, a Gianni Pierannunzio, batterista dei DeBlaise che ha anche suonato su Out of Control, mi ha colpito un suo commento che non sembrava un album di un chitarrista. Da un lato mi ha fatto molto piacere perché la mia intenzione era proprio quella di focalizzarmi sulla composizione. Dall’altro mi ha fatto venire voglia di inserire un brano prettamente chitarristico.

Autore, chitarrista, uomo di band prima e solista ora. Quali sono stati i tuoi riferimenti, gli “eroi musicali” grazie ai quali hai cominciato questa avventura?

Da adolescente ho ascoltato molto rock anni ‘70. Poi mi sono appassionato sempre più al prog. Ho consumato dischi di Genesis, Yes, King Crimson, Pink Floyd e Rush. Successivamente ho scoperto Peter Gabriel e la world music ed apprezzato sempre più le contaminazioni dei generi.

Vista la sua natura – e visti anche i tempi pandemici – Out of Control sembra essere solo una creazione di studio. Ci saranno possibilità di vederlo dal vivo?

A breve termine ci sono una serie di complicazioni logistiche ed organizzative che rendono molto difficile la possibilità di portare Out of Control dal vivo. Il prossimo progetto sarà quasi sicuramente un altro album, per il quale ho già iniziato a scrivere nuovi brani. Ma mai dire mai… spero che arriverà il momento giusto in cui riuscirò a portare questa musica dal vivo.