Da quanto aveva atteso quel giorno? Da troppo tempo, pensava Markus, mentre l’auto risaliva i tornanti e una vista grandiosa sulla vallata si apriva davanti ai suoi occhi. Che fosse commosso, se n’era accorta anche la moglie Erika che per tutto il viaggio aveva osservato il marito. Anche lei aveva atteso a lungo quella vacanza. Per anni era stata rimandata perché le loro condizioni economiche per lungo tempo non l’avevano resa possibile.

-Guarda Lisa!
Aveva esclamato Markus ad un tratto rivolgendosi alla figlia seduta sul sedile posteriore. Una grande nuvola vaporosa stava salendo proprio in quell’istante, liberando il campanile a cipolla del villaggio. Sullo sfondo ora si potevano vedere con chiarezza anche i ghiacciai perenni e le cime più alte.
-È tutto intatto, come allora!
Aveva detto Markus tutto concitato, sbandando con l’auto da una parte all’altra della strada. -Il Piz Buin! Lo Schwarzhorn! Che spettacolo, guardate! Me li ricordo come se fosse ieri...

La casetta della famiglia Holzer, situata fuori dal paese, era l’ultima prima del bosco. Come tutte le costruzioni tradizionali della zona anche casa Holzer si presentava strutturata con i locali per le bestie a piano terra e il fienile e l’abitazione al piano superiore. Una recente ristrutturazione l’aveva trasformata, rendendo abitabili entrambe le parti. Se non fosse stato per l’aggiunta di un’ampia finestra in stile moderno, si sarebbe detta - tra tutte quelle della zona - la più integra e meglio conservata.

“Respirerete un’atmosfera d’altri tempi”, aveva cinguettato al telefono l’operatrice dell’ufficio immobiliare locale alla quale, mesi prima, Markus si era rivolto. “Speriamo che non se ne vadano subito anche loro come i clienti precedenti”, aveva chiosato in sottofondo una sua collega coprendosi la bocca con la mano per non farsi sentire dal nuovo cliente. “La casa è molto confortevole. Con tutti i servizi. Ideale per famiglie”, aveva intanto aggiunto la donna.
-Molto bene, allora prendo nota del suo nome... ecco sì, mi dica, Markus Gruber... Da dove chiama? Da Berna? Conoscevo una famiglia Gruber che veniva sempre in ferie qui da noi... ma era parecchi anni fa, un signore di Berna... aspetti, come si chiamava?
-Gerard Gruber - disse Markus.
-Esatto! - rispose la donna tutta sorpresa - vi conoscete?
-Era mio padre! - aveva esclamato Markus.
-Ma pensa che combinazione! - disse la donna, incuriosita - lei allora è uno di quei due ragazzini che erano con il signor Gruber e la sua signora... ma che bello!
-Eh sì, sono il più giovane dei due.
-Sono proprio contenta. Ora che ci penso ricordo meglio suo fratello Bruno, ecco sì… Mi è rimasto in mente il suo nome. Un gran bel ragazzo... eravamo coetanei…
-Purtroppo, Bruno è morto di recente. Un brutto male se l’è portato via - disse Markus chiudendo gli occhi per un attimo.
-Oh! Ma come mi dispiace, questa notizia mi rattrista molto. Mi ricordo molto bene la vostra famiglia e di voi due fratelli. Al tempo io ero molto giovane ma già aiutavo i miei genitori in ufficio. Siete venuti in vacanza sul nostro alpeggio per parecchi anni di fila, sì... ora ricordo... stavate sempre nella stessa casa, casa Schmid, nel centro del paese… anche se... vostro padre... vostro padre…
-Avrebbe sempre voluto affittare casa Holzer! - intervenne Markus toccato da quell’inaspettato ricordo.
-Allora adesso sarà lei a realizzare il sogno di suo padre - disse la donna.
-Mio padre era molto attratto da quella casa. Diceva sempre che era la più bella, quella con maggior fascino. Lui di case se ne intendeva. Per tutta la vita ha fatto il falegname restauratore…
-Sono proprio contento per lei caro signor Gruber, allora l’aspetto a fine ottobre, come d’accordo.

La casa era bellissima, di un fascino che superava ogni aspettativa. C’erano due camere da letto, una piccola - la mia tana - l’aveva subito ribattezzata Lisa e una più ampia, con un grande letto matrimoniale e l’accesso a un bagno privato. Al piano inferiore, invece, lo spazio era unico con una cucina, un ampio salotto e al centro una grossa stufa intorno alla quale erano stati posizionati il tavolo e le panche. Pavimenti e pareti erano interamente rivestite di legno antico e anche sui soffitti c’erano plafoni decorati con motivi floreali e losanghe intarsiate di gran fascino. Dalle finestre si poteva ammirare il villaggio e sullo sfondo, l’orizzonte irregolare delle cime.

Finite le operazioni di scarico dei bagagli, stremati dalle emozioni e dal lungo viaggio, i tre si erano rintanati nelle rispettive camere, crollando sui letti. Erika, prima di addormentarsi, aveva cercato l’intimità del marito. Erano mesi che, a causa di tensioni e conflitti, ciò non succedeva. Chiusero gli occhi sorridendo, abbracciati.

Poi giunse la notte maledetta. Che arrivò inattesa, senza alcun segno premonitore. Quel giorno, il terzo della settimana programmata, era scivolato via lievemente, come gli altri. Il cielo, già al mattino luminoso, era stato un invito a uscire e a godere di ogni attimo. Avevano scelto di salire all’Alpe di Grisha, una meta ideale per famiglie. Lassù avevano visitato la malga della famiglia Buser e si erano fermati a mangiare seduti al sole. Markus aveva comprato del burro fresco, esattamente come suo padre trent’anni prima. Sulla via di casa si erano trattenuti nel bosco a raccogliere mirtilli e Lisa aveva visto una volpe.

Stanchi ma appagati erano tornati poi a casa dove, dopo una cena frugale, avevano deciso di rifugiarsi sotto i piumoni. L’atmosfera era lieta. Erika, prima di addormentarsi aveva sussurrato a Markus:
-Abbracciami, il vento mi fa paura.

Il vento in effetti si sentiva più del solito quella sera. Lo si udiva provenire da fuori, dove tutto il bosco aveva cominciato ad animarsi. Ma anche dentro la casa, producendo sinistri cigolii tra le travi del tetto. Markus inquieto, era rimasto inizialmente in ascolto. Poi, piano piano si era rilassato lasciando che il vento avvolgesse anche i suoi sogni.

All’inizio si erano uditi dei colpi sordi. Qualcuno stava bussando alla porta. Chi poteva esserci là fuori con quel tempaccio? Sceso dal letto Markus si era accorto subito che c’era qualcosa di strano. Tutto l’ambiente era cambiato, la casa sembrava diversa, sordida e cupa, mancavano il divano e la cucina. Un fuoco acceso nel camino impregnava l’aria di fumo. Davanti alla cappa penzolavano dei grossi pezzi di carne lucida.

Sentì bussare ancora, con insistenza.

Nel buio della stanza si udì una voce, poi nell’oscurità, una candela illuminò il volto di una donna ma non si trattava di Erika. Chi mai poteva essere? Prima che Markus potesse esprimere il suo stupore la donna l’aveva guardato negli occhi impaurita, dicendo…
-Sono tornati! Ho già nascosto la bambina. Lo sentivo che sarebbero arrivati stanotte… lo sentivo...

In quel momento si udì un urlo, la porta venne sfondata e scaraventata all’interno della casa. Nella semi-oscurità Markus vide quattro, cinque uomini vestiti di pelliccia e armati di spade e bastoni. Non fece in tempo a reagire, fu subito preso, pestato e buttato a terra con violenza da due di questi, mentre un terzo gli mise uno stivale in faccia per fargli capire chi comandasse. Nonostante ciò, Markus riuscì a urlare: “Lisa! Erika!” La sua voce straziata rimbombò a vuoto nella stanza.

-Avete sentito? - esclamò a quel punto l’uomo con gli stivali mentre Markus ne osservava il volto terrificante illuminato dai bagliori del fuoco.
-Ci devono essere le sue due figlie! Questa notte ci divertiamo un po'- aveva poi aggiunto sghignazzando, senza mai smettere di guardarsi in giro.
-Trovatele!
-Lasciatele stare! Lasciatele stare! - aveva urlato Markus, terrorizzato.
-Prendete me! - aveva improvvisamente esclamato la donna nell’oscurità. Nostra figlia non c’è ... è rimasta dai nonni… sull’alpe... vi prego non fateci del male.

A quel punto, volgendo lo sguardo alle sue spalle, Markus vide tre uomini molestare e picchiare la donna e altri due, seminudi, infoiati come bestie, pronti ad abusarne... Fu lì che Markus sentì arrivargli sulla testa un primo colpo e poi subito un secondo. Prima di perdere conoscenza, in mezzo a quel frastuono di ceramiche frantumate e urla selvagge, fu attraversato da un’ultima, lucida consapevolezza: una voce che ripeteva incessantemente: lei è nascosta, lei è al sicuro. Non la troveranno... non la troveranno…

-Non la troveranno! - così urlò nella notte svegliando Erika di soprassalto, la quale cercò subito di tranquillizzare il marito.
-Markus! Markus! Siamo qui, siamo qui. Respira. Tutto bene. C’è anche Lisa, guarda.
-Papà! Che succede? - aveva aggiunto la figlia spaventata, appena sbalzata dal letto.

Le tracce di quel tragico sogno svanirono quasi subito. Rimase però in Markus una strana sensazione di pericolo incombente, soprattutto quando si trovava in casa. In particolare, un inafferrabile senso di inquietudine gli procuravano la vista delle travi scure del tetto e l’angolo della stube dove ogni sera cenava con Lisa ed Erika.

Fu proprio lì che un giorno, notò alle sue spalle, sul rivestimento di legno, una macchia scura. Non l’aveva mai vista prima di allora. Anzi, era stata Erika, per prima, che guardando la parete aveva detto:
-Che strana macchia, cos’è?

Markus si era voltato e istintivamente l’aveva toccata pensando a dell’umidità... ma sulle dita gli era rimasto un liquido scuro e oleoso. Quell’esperienza gli procurò subito un’ansia terribile. A fatica riuscì a rispondere alla moglie.
-Ci deve essere stata una infiltrazione - disse cercando in tutti i modi di mantenersi calmo. Pulì la macchia con un tovagliolo di carta e sorrise noncurante mentre la figlia, già da qualche minuto, lo stava osservando, perplessa.

Anche quella notte Markus faticò a prendere sonno. Ritornarono, intermittenti, le immagini del terribile incubo di due giorni prima e nel dormiveglia rivide più volte la scena della bambina che veniva nascosta in un’intercapedine del muro. Si alzò di soprassalto e cercando di non svegliare la moglie scese da basso per controllare di nuovo la macchia sul muro. Sperando di non trovarla.

Invece era là e pareva viva ed era anche scesa più in basso, espandendosi. La pulì per bene ancora una volta, eliminando tutto con cura, ma non ebbe più il coraggio di tornare a letto, preferendo restare di guardia. Stappò una bottiglia di birra e rimase in silenzio, guardingo.

La moglie lo trovò così, il mattino dopo. Sul tavolo c’erano cinque bottiglie di birra vuote e accanto Markus, ancora seduto sulla panca, stravolto, con le mani nei capelli. Quando si accorse di lei si voltò di scatto e senza dire una parola indicò la parete alle sue spalle. Sopra la sua testa, sul rivestimento di legno del muro, si era ripresentata la macchia.

Il giorno seguente, per la prima volta, Markus udì le voci. All’inizio fu un impercettibile mormorio, udibile specialmente di notte. Poi si ripresentò a tutte le ore, più netto, riconoscibile come una voce di bambina. Si trattava per lo più di invocazioni di aiuto, singhiozzi, pianti. Che stranamente solo Markus poteva sentire.

Già molto provato dalle notti agitate e dalle reminiscenze del suo sogno terrificante, l’uomo cominciò a perdere colpi. Adducendo un malessere, invitò la moglie e la figlia a uscire per approfittare delle lunghe giornate sole. Ma rimasto solo a casa, invece di riposarsi, si mise in ascolto delle voci e non riuscendone a trovare la fonte, cominciò ad uscire di senno.

-È venuto l’idraulico? - aveva chiesto Erika al suo ritorno, vedendo il marito ancora agitato.
-No – aveva risposto Markus con un filo di voce.
-L’ho visto oggi in paese e l’ho sollecitato. All’inizio pareva quasi che volesse schivarmi facendo finta di non conoscermi. La gente di montagna a volte è veramente strana, non pensi? - aggiunse la donna.
-Non so più cosa pensare. Hai visto la macchia? Non capisco cosa sia. Si riforma in pochi minuti.

In quel momento si udì nettamente la voce di una bambina. Pareva provenire da sotto il rivestimento del muro. Proprio quello su cui si era, nel frattempo, riformata la macchia.
-Papà, papà… è così buio qui…

Markus non attese un secondo di più, si precipitò verso il camino, afferrò il pesante tubo di ferro, che normalmente veniva utilizzato per attizzare le braci e cominciò a colpire il rivestimento di legno sfogando così tutta la sua angoscia e la sua rabbia.

-Dove sei! Dove sei! Maledetta bambina! Non ne posso più di sentire la tua voce! Basta!
-Aiutami papà! - si sentiva la vocina soffocata dal rumore dei colpi di Markus.
-Fammi uscire da qui... non riesco più a respirare.

Markus, completamente fuori di sé, non si fermò e prese a sfondare anche le panche del salotto e qualunque cosa gli capitasse a tiro e solo quando, da una breccia tra le assi scheggiate, apparve lo sguardo terrorizzato della piccola Lisa, si fermò restando per qualche secondo immobile a guardare la figlia.

-Lisa! - ma cosa diavolo ci fai tu qui sotto? - urlò Markus incredulo.
-Mi ero nascosta, volevo fare come fanno i topolini - rispose candidamente la piccola.
-Ma tu...
-Papà... papà… perdonami. Avevo trovato un passaggio sotto la cassapanca e volevo farti una sorpresa... non volevo farti arrabbiare... perdonami... ti prego perdonami.

Nell’aiutare la figlia a uscire, Markus si sentì sollevato. Per un attimo si convinse di aver neutralizzato l’origine della sua psicosi. Si voltò cercando nello sguardo di Erika un segno di approvazione. Trovò invece il volto terreo della moglie senza riuscire a decifrarne la sua espressione gelida e distaccata.

-Lisa, prendi le tue cose che tra poco partiamo, papà non sta bene - si udì la voce tagliente della donna sullo sfondo.
-Erika… scusa non capisco… cosa stai facendo - disse Markus cercando di opporsi.
-Avresti potuto ucciderla con quel ferro - rispose secca Erika - non so cosa ti stia succedendo in questi ultimi giorni ma non ti ho mai visto così, Markus tu mi fai paura... scusa ma non mi sento tranquilla qui… tu che insisti con questa storia delle voci... e tu così strano... no, no... noi ce ne torniamo a casa. Chiama qualcuno Markus, fatti curare… mi dispiace ma noi non possiamo aiutarti… devo proteggere Lisa.
-Erika! Erika! Ti prego non fare così. Si aggiusterà tutto... sono solo molto stressato, tu lo sai che… esclamò Markus sempre più preda della disperazione.
-Non mi toccareee! - urlò Erika nel momento in cui lui cercò di abbracciarla…

La bambina si mise a piangere.
-Vieni amore, ora andiamo a casa. Non avere paura. C’è mamma che ti protegge…
Indietreggiando piano piano, senza perdere di vista Markus, quasi si trattasse di un cane rabbioso, madre e figlia raggiunsero la porta di uscita.

Si udì il motore di una macchina accendersi e una brusca partenza sulla ghiaia. Markus, che non ebbe la forza di opporsi, rimase singhiozzante in ginocchio davanti alla porta chiusa con alle sue spalle il soggiorno sventrato dalla sua furia cieca.

Cinque minuti dopo, due donne davanti all’unico negozio di alimentari del paese

-L’hai vista?
-Che cosa?
-L’auto dei bernesi
-Che cosa è successo?
-È sfrecciata qui davanti pochi minuti fa.
-Vuoi dire che…
-Sì, ne sono convinta... Anche loro non hanno potuto resistere a Greta.
-Povera bambina... che brutta storia.
-Sono passati secoli; eppure, il suo spirito non sembra voler andar via da lì...
-Hai visto che esce del fumo dalla casa?
-Ah! Ora capisco perché nell’auto c’erano solo la madre con la figlia.
-Ma cosa fa l’uomo ancora lì?
-Questo non lo so...
-Dobbiamo avvertire il comandante Tobler?
-Fatica inutile. È un coniglio. L’anno scorso ha atteso più di due mesi prima di fare un sopralluogo alla casa.
-In effetti non ha tutti i torti... l’altro giorno si è sentito un urlo da far gelare il sangue nelle vene…
-Non ti ho chiesto come sono andati i tuoi esami del sangue l’altro giorno… tutto bene?
-Sembra di sì, anche se ho ancora questo fastidioso mal di testa...

Perchè non le aveva seguite? Perchè non si era opposto a quella partenza? Queste erano le domande che Markus continuò a ripetere a se stesso nelle ore successive a quel drammatico distacco.

Si era illuso - pensava tra sé e sé - che sarebbero potuti bastare quei pochi giorni di vacanza sui monti per mettere a posto tutto. Era da molto che le cose non andavano tra loro e che la fortuna gli aveva voltato le spalle. L’esperienza appena vissuta era lì a confermarlo. In passato, dopo le prime cadute, Markus aveva faticato a rialzarsi e aveva affrontato le successive sfide carponi, con la testa bassa e ciò gli aveva evidentemente precluso la possibilità di orientarsi veramente… Per questo, tutte le scelte successive lo avevano completamente portato fuori strada, conducendolo verso nuovi fallimenti.

Sebbene non capisse cosa diavolo gli stesse succedendo in quella casa, sapeva di non avere alternative. Non avrebbe potuto presentarsi da Erika e Lisa, non in quel momento, almeno. Inutile correre da loro, cercare al più presto di raggiungerle nel loro piccolo appartamento alla periferia di Berna. Anche i due vicini di casa, i signori Meyer, non avrebbero sopportato un’altra delle sue sfuriate serali, avevano già minacciato una volta di chiamare la polizia. No… no… era meglio non muoversi da lì.

Fece un veloce giro della casa per capire quanto cibo fosse rimasto e soprattutto se ci fossero ancora birre, di quelle più di tutto sentiva il bisogno. E poi la legna. La stagione stava cambiando, il freddo al mattino era pungente e i larici dorati già punteggiavano l’oscurità delle abetaie sui crinali delle montagne. Da lì a poco sarebbe tornato l’inverno.

Markus cercò inizialmente di contrastare l’angoscia tenendo sempre le luci di casa accese e il camino attizzato. E proprio lì, davanti al fuoco, la prima sera crollò addormentato sul pavimento.

Al mattino seguente, nel ritrovarsi nella stessa posizione, rabbrividì. La casa, nonostante le luci ancora accese, appariva più che mai vuota e desolata.

Pioveva a dirotto.

Rimase a rimase a lungo alla finestra a guardare il villaggio in lontananza. Durante una tregua del temporale, vedendo il fumo uscire da alcuni comignoli, pensò che sarebbe stata una buona idea andare in paese, magari per raccontare a qualcuno delle proprie vicissitudini o anche solo per comprare qualcosa al negozio. Un minuto dopo aveva cambiato idea, troppo pericoloso farsi vedere così, non si sentiva per niente bene, chissà la gente cosa avrebbe pensato. Forse l’avrebbero anche messo in difficoltà. No… no… meglio non farsi vedere.

Si rintanò in casa.

Quando nel pomeriggio udì di nuovo la voce, non ci fece quasi caso. In certi momenti essa appariva meno molesta, accompagnando la solitudine di Markus con delicatezza, come una nenia ipnotica. In altri tornava ad essere la colonna sonora di un incubo senza fine. Quando succedeva così, Markus si buttava a terra e restava rannicchiato su se stesso per ore, annichilito, a piangere o pregare.

Le cose precipitarono quando Markus cominciò a confondere il giorno con la notte. La luce dell’autunno contribuì a creare quella dimensione sospesa e cupa e probabilmente non fu un caso se Markus, improvvisamente credette di poter dialogare con la voce misteriosa. Ogni volta che la udiva ora provava a risponderle, cercando un contatto...

-Chi sei bambina mia? - ripeteva nel vuoto.
Provò numerose volte, a tutte le ore, senza risposta. Poi si arrese.

Un altro giorno, perseguendo forse un inconscio anelito di libertà, lasciò la casa per esplorarne i dintorni. Fatti pochi metri, si smarrì nel bosco. Logorato nello spirito e nel corpo dallo stress dei giorni precedenti, fu facile preda del panico e per ore camminò in direzione contraria convinto di riconoscere i luoghi. Solo più tardi, nel buio più completo, ferito dai rovi e assetato, vide in lontananza una luce e si sentì salvo. Avvicinandosi capì trattarsi di una finestra accesa. Qualcuno lì mi aiuterà, pensò. Rincuorato affrettò il passo. Quando fu a pochi metri capì di essere tornato a casa sua. Felice, confuso, perso in se stesso, pianse e rise da solo, come un pazzo.

Durante la notte che seguì si ripresentò il sogno con i bruti, gli abusi, le urla. Markus si svegliò urlando nel cuore della notte e fu terribile ritrovarsi solo. Si sentì perduto, nessuno a confortarlo, solo freddo e vuoto. E una sensazione di perdita indicibile.

L’incubò si ripeté altre volte, ossessivamente. Durante una di queste, Markus colse inaspettatamente nel volto di uno dei suoi aggressori qualcosa di famigliare e con sorpresa capì trattarsi di se stesso. Il profondo turbamento iniziale lasciò ben presto spazio ad una inattesa consapevolezza. Cosa ci faceva tra quegli aguzzini? Poteva veramente tirarsi fuori da quel tipo umano? Dirsi diverso da quel mostro? Cominciò a farsi spazio nella sua memoria un evento a lungo occultato. Anche lui, anni prima, era stato capace di cose terribili, nel suo caso certo erano stati solo pensieri, ma non per questo meno gravi. Gli vennero in mente alcuni momenti bui della sua vita, il giorno in cui era stato licenziato, la disperazione di Erika, la bambina piccola che non smetteva mai di piangere. Lui ad un certo punto aveva meditato di strozzarle entrambe, sì, per la prima volta lo riconosceva, lui era stato pronto a eliminarle, per farla finita. Il solo pensiero di aver desiderato di compiere un gesto così crudele lo aveva per lungo tempo annichilito. Il rimorso si era sommato alle promesse mancate e alla sensazione di fallimento di una vita intera.

Mai prima di allora aveva riconosciuto in se stesso quei sentimenti oscuri. Che cosa gli stava succedendo? Un soffio l’aveva trattenuto dal diventare un mostro come quello che nel sogno gli premeva la testa con lo stivale, ridendo.

Il risveglio da quell’esperienza fu duro.

Il giorno seguente Markus si scolò tutte le birre rimaste nella credenza e dopo aver barcollato in giro per la casa crollò a terra semi-svenuto.

Venne dicembre, le giornate si fecero ancora più corte. Terminata la riserva di legna, Markus cominciò sistematicamente a spaccare il rivestimento interno della casa per utilizzarlo combustibile nel camino. Durante questa operazione trovò un nascondiglio dietro la stufa. Si trattava di una nicchia con il soffitto molto basso, uno spazio capace di contenere una persona solo se rannicchiata e distesa. Lì dentro Markus trovò anche dei brandelli di tessuto, dei mozziconi di candela e una bambola di pezza. Costretto a farsi piccolo per stare in quello spazio Markus si ricordò di una volta in cui da bambino, si era nascosto in casa in un simile pertugio e di come da quel luogo avesse captato, senza essere visto, una conversazione tra i genitori.

Intatti, dentro di lui, riaffiorarono altre voci questa volta, voci conosciute ma non per questo meno inquietanti.
-Dimmi di chi è il bambino!
-Non ha importanza, a te, la nostra famiglia... non interessa più da tempo.
-Dimmi di chi è il bambino che porti in grembo!
-Gerard, lasciami stare!
-Brutta strega... ma con chi credi di parlare eh?!
-Con l’uomo che mi ha tradito e che spende tutti i nostri soldi al bar!
-E tu invece... che ti dai al primo che passa… ma forse ho capito con chi ti sei divertita...
-Meglio con lui che con un ubriacone senza lavoro...
-Non è colpa mia se hanno chiuso la segheria.
-Tutti sanno che alla segheria non ti hanno mai visto, una menzogna dopo l’altra.
-Io ti ammazzo! Giuro che ora ti ammazzo! - urlò l’uomo afferrando la donna per il collo.

Si udì il rumore di una colluttazione violenta, urla e… il piccolo Markus dal suo nascondiglio non si trattenne e urlò:
-Lascia stare la mamma!
-Chi ha parlato?
-Gerard... cosa mi hai fatto… che cosa mi hai fatto... sto perdendo sangue e mi fa male… qui…
-Frida… perdonami... vedrai non è niente... mi sono fatto prendere dalla rabbia. Vieni qui dal tuo Gerard.
-No… no… sei un mostro, stammi lontano... dimmi piuttosto dove sono Bruno e Markus... vai da loro, prima di venire da te li ho visti giocare vicino al fiume.

Era dunque stato quello suo padre?

Markus, tornato adulto e uscito dal suo nascondiglio, se lo chiese ripetutamente. Aveva speso una vita nel tentativo di essere diverso, di superarlo. Di competere con una perfezione illusoria che ora, dopo anni, appariva assolutamente inutile La sua esistenza si era basata su di un’idea sbagliata, assolutamente sconnessa… Che fosse stata quella la vera ragione dei suoi fallimenti?

Ci fu anche una nevicata, non certo la prima dell’inverno ma quella volta più fitta e prolungata tanto da sommergere la casa. Al mattino successivo, con le ultime forze rimaste Markus riuscì a liberare la porta d’ingresso e le finestre.

Alla sera, udì dei rumori e delle voci e qualcuno bussò alla porta. Sono tornati, pensò Markus stremato e già pronto ad arrendersi, cercando con fatica di muoversi nella penombra del soggiorno. Una luce fosca illuminava debolmente il soffitto proveniente dal camino, dove Markus aveva appena bruciato due vecchie panche intarsiate. Ormai nella casa era rimasto poco altro. Regnava ovunque un disordine spaventoso e già da qualche tempo l’aria era ammorbata da odori disgustosi.

Raggiunta la porta rimase per un attimo in ascolto e si stupì di non sentire alcunché, certo i predoni dei suoi incubi a quel punto si sarebbero già fatti sentire, pensò. Alzò il vecchio fermo arrugginito e con sua immensa sorpresa si trovò di fronte a un uomo e a una donna. Dal giorno in cui la figlia e la moglie di Markus erano fuggite nessuno era più venuto lì. Erano i primi esseri umani reali che incontrava dopo settimane di solitudine.

-Potresti darci un riparo per la notte? - disse l’uomo.
-Certamente! - rispose pronto Markus - fuori si congela - aggiunse cercando di scorgere i tratti del volto della donna che stava china su se stessa con il capo coperto da una sciarpa rossa.
-Abbiamo cercato anche in paese, ma senza fortuna. Nessuna ci ha aperto la porta. Tutti sembravano aver paura. Tu invece sei stato subito gentile. Sei diverso dagli altri. Tu non hai paura.

E, detto ciò, i due entrarono in casa accolti da un Markus sempre più incuriosito.
-Mi dovete perdonare – disse.
-Per cosa?
-La mia casa è così poco accogliente. Ho avuto un po' di problemi negli ultimi tempi.
-Capisco.

Facendosi spazio tra cumuli di immondizia, lattine di birra e pezzi di legno semi-carbonizzati, Markus fece accomodare i due ospiti sopra ad un materasso sfondato. Fu lì che si accorse che la donna era incinta e subito si preoccupò di trovare dell’acqua da offrirle.

-Scusate, non avevo visto che lei…
-Sì - rispose l’uomo - ci siamo. È questione di ore - aggiunse commosso.

Markus si preoccupò anche di aumentare il calore nella casa e fece con naturalezza quello che ormai era diventato un suo gesto quotidiano, staccare delle assi dal rivestimento in legno delle pareti, farle a pezzi e bruciarle. Poi uscì a prendere della neve con un secchio e ne mise un po' in un paiolo incrostato.

-Vorrei potervi offrire di più, sono molto dispiaciuto di accogliervi in mezzo a questo casino, ma, credetemi, non me la sto passando bene di questi tempi.
-Hai già fatto la cosa più bella e importante. Per quanto riguarda la casa non devi preoccuparti, ti aiuterò a sistemarla. Sono un falegname, non ci vorrà molto. Ora però devo concentrarmi sulla mia compagna e, scusa non ci siamo presentati, sono Joseph e lei è Marie.
-Io sono Markus - anche mio padre è stato un falegname. Avrebbe voluto che anch’io lo seguissi nella sua professione ma io ho preferito un mestiere moderno e sono andato a lavorare in fabbrica. Ma in questo momento ho dei rimpianti... per le scelte fatte.
-Vedrai, faremo tornare la casa come nuova, non preoccuparti. Volevo chiederti piuttosto… hai qualcosa da bere? Cibo?
-Sono messo maluccio - rispose subito Markus - le birre sono finite già da tempo ma dovrei avere ancora una busta di minestra liofilizzata e un mezzo pacchetto di farina. Temo che nella farina però ci siano già le farfalline - aggiunse quasi imbarazzato per la sua misera condizione.
-Faremo con quello che c’è e ti ringraziamo. Con la farina ti mostrerò come fare un buon pane sottile, ottimo per le emergenze. Io nella sacca dovrei ancora avere dei datteri.
-Datteri? - chiese Markus - ma da dove venite?
-È una lunga storia - rispose Joseph - te la racconteremo. Abbiamo tempo. Anche tu ci devi raccontare come sei finito in questo angolo remoto del mondo - aggiunse scrutandolo con intensità.
-Anche la mia è una lunga storia - disse Markus.
E nel pronunciare quelle parole sentì dipanare dentro di sé la nebbia della disperazione e per la prima volta dopo mesi di smarrimento e angoscia gli parve di poter respirare e tornare a vivere.

La serata continuò così, tra racconti di vita, momenti di condivisione, cibo - poco - in un crescendo di calore e profonda umanità. Più volte Markus, guardando i sorrisi dei suoi ospiti inattesi, ripensò alla solitudine dei giorni precedenti e fu pervaso da un gran senso di riconoscenza per quell’incontro.

Quando nella notte Marie diede alla luce il bambino, lui era lì e pianse con i neogenitori e si ricordò di essere lui stesso figlio e padre, permettendosi di immaginare qualcosa che credeva perduto per sempre: l’abbraccio della sua famiglia. Commosso dal suo fantasticare si alzò e corse ad aprire la porta quasi i suoi cari potessero essere già lì e lui stringerli a sé. Ad attenderlo trovò la notte, tornata limpida in tutto il suo splendore e il bosco ammantato di neve. Alzò lo sguardo verso il cielo immenso punteggiato da milioni di stelle e capì che da quel momento una nuova vita sarebbe stata possibile.