‎בראשית ברא אלהים את השמים ואת הארץ

[In principio creò Dio i cieli e la terra]

(Gen. 1:1 BHS)

בחכמה מן־לקדמין ברא וייי ושׁכליל ית שׁמיא וית ארעא

[Dal principio con sapienza il Signore creò e portò a compimento i cieli e la terra]

(Gen. 1:1 FTT)

Bereshit è una parola creativa

(Zohar, 1,16b)

Nella cabala ebraica, Dio è definto spesso En Sof (אין סוף) o Ein Sof, che letteralmente significa «nessuna fine». La parola En si presta anche alla vocalizzazione Ayin (אַיִן), che vuol dire «nulla», e per questo molto spesso Dio è chiamato il Nulla. L’identificazione di Dio con il nulla è uno dei principi fondanti della cabala. En Sof o il Nulla è il principio di tutto ed indica la divinità prima della sua automanifestazione attraverso le dieci sefirot. En Sof è il Dio infinito, indeterminato, impersonale, che risponde all’Uno plotiniano. En Sof precede Keter Elyon, la Corona Suprema, la prima sefira, cioè, l’emanazione divina. Tutto viene da Ayin, dal Nulla. Emerge chiaramente come anche la cabala sia stata profondamente condizionata dalla filosofia di Plotino e dalla teologia negativa. Dal momento che di Dio non si può dire nulla, egli è il Nulla. In realtà se di Dio nulla si può dire, anche definirlo il Nulla è una determinazione che non gli conviene!

Daniel Chanan Matt, uno tra i massimi studiosi di cabala, nonché traduttore e curatore dello Zohar - Pritzker Edition, definisce Ayin come «il “nulla” creativo di Dio, da cui emana tutto l’essere».

L'Ayin, il Nulla, è più esistente di tutto l'essere del mondo. Ma poiché è semplice, e ogni cosa semplice è complessa rispetto alla sua semplicità, si chiama Ayin.

Il potere interiore è chiamato Ayin perché il pensiero non lo coglie, né la riflessione. A questo proposito, Giobbe disse: “La saggezza nasce dall'Ayin”.

La profondità dell'essere primordiale è chiamata senza confini [En Sof, ndr]. A causa del suo occultamento da tutte le creature di sopra e di sotto, è anche chiamato Nulla. Se si chiede: “Che cos'è?”, la risposta è: “Nulla”, cioè: Nessuno può capire nulla di esso. È negato da ogni concezione. Nessuno può sapere nulla su di esso, tranne la convinzione che esista. La sua esistenza non può essere colta da nessun altro che non sia lui. Perciò il suo nome è “Io sono in divenire”.

Potrebbero chiedervi: “Come ha fatto Dio a far nascere l'essere dal nulla? Non c'è un'immensa differenza tra l'essere e il nulla? “La risposta è la seguente: “L’essere è nel nulla nel modo del nulla e il nulla è nell'essere nel modo dell'essere”. Il nulla è l'essere e l'essere è il nulla. Il nodo dell'essere, che inizia a emergere dal nulla all'esistenza, si chiama fede. Il termine “fede”, infatti, non si applica né all'essere visibile, comprensibile, né al nulla, invisibile e incomprensibile, ma piuttosto al nesso tra nulla ed essere. L'essere non deriva solo dal nulla, ma piuttosto dall'essere e dal nulla insieme. Tutto è uno nella semplicità della non differenziazione assoluta. La nostra mente limitata non può afferrare o comprendere questo, perché si unisce all'infinito.

Dio è l'annientamento di tutti i pensieri, incontenibile da qualsiasi concetto. Infatti, poiché nessuno può contenere Dio, è chiamato “Nulla”, Ayin. Questo è il segreto del versetto: “La saggezza nasce da Ayin”. “Tutto ciò che è sigillato e nascosto, totalmente sconosciuto a chiunque, si chiama Ayin, il che significa che nessuno ne sa nulla”1.

Il fatto che la Saggezza (Chochmah) - cioè, la seconda sefira (emanazione) di Dio - derivi da Ayin, significa che Keter Elyon, la prima sefira, è lo stesso En Sof, il quale è anche chiamato l’Antico di giorni o «Vecchio dei vecchi», il «Nascosto dei nascosti» e il «Mistero dei misteri». Il Dio biblico, YHWH, secondo la cabala, altro non sarebbe che la manifestazione di En Sof, che risponde all’Uno di Plotino. Gerschom Scholem, il massimo studioso delle maggiori correnti della mistica ebraica, ha evidenziato come l’En Sof-Nulla e la sua automanifestazione (YHWH) siano un’unica realtà indistinta e indistiguibile.

Israele fu assalito da Amalek, perché aveva fatto una distinzione tra il Vecchio nascosto, che si chiama Nulla, e lo Ze‘ir anpin, che si chiama YHWH.

Volevano sapere [come distinguere] tra l’antico, l’occulto degli occulti, che è chiamato Nulla, e lo Ze‘ir anpin, che è chiamato YHWH; perciò non è scritto: «il Signore è in mezzo a noi o no?» ma: «il Signore [YHWH] è in mezzo a noi o il Nulla?» (Es, 17,7). Se è così, perché furono puniti? Perché fecero una distinzione e una prova, come è scritto: «perché misero alla prova il Signore» (loc. cit.). Israele disse: «Se è questo [vale a dire, se il Vecchio è in mezzo a noi], allora chiederemo in un modo; ma se è quello [lo Ze‘ir anpin], chiederemo in un altro modo» (Zohar, II, 64b)2.

In un commento allo Zohar, Scholem spiega che il Nulla divino è quell’aura che circonda l’Infinito prima ancora che questo esca dal proprio sé ed erompa in manifestazione alla creazione in qualità di Ehyeh, cioè, la prima sefira. Il Nulla divino è, dunque, l’essersi dell’Infinito in se stesso che decide di prorompere e per questo è chiamato anche «volontà originaria». Attraverso questa lettura, la creazione dal Nulla esprime una dinamica emanazionista.

La prima sefirah, l’aspetto più interiore di tutti, che rappresenta il rivolgersi, imperscrutabile in eterno, del Creatore alla creazione, è il nome Ehyeh, «Io sarò». L’uscita dall’Infinito, che non è ancora un vero e proprio uscir «fuori», ma soltanto la spinta con cui Egli rompe la chiusura del proprio «in sé», nello Zohar come in tutta la Qabbalah viene chiamato il Nulla. È la più profonda di tutte le luci, l’aura […] che circonfonde l’Infinito. In questo Nulla divino, e perciò chiamato anche «assoluto» – in conformità alla formulazione «ortodossa» ma con ambiguità esoterica –, si compie la vera «creazione dal nulla» così come la intendeva la Qabbalah medioevale. In altri luoghi dello Zohar il Nulla è chiamato invece «volontà originaria»3.

Scholem menziona poi una certa esegesi che vede nel Nulla il soggetto sottinteso posto tra bereshit e bara’ del primo versetto della Torah “In principio (bereshit) [Esso, cioè, il Nulla] creò (bara’) Dio (Elohim)”. Secondo questa lettura il Nulla creò Dio.

Nonostante l’ammonimento degli antichi di guardarsi da un’esegesi così pericolosa, l’interpretazione mistica ha sempre inteso come oggetto di un soggetto taciuto perché innominabile, ossia del nascosto «Esso» o «Egli» del Nulla: al principio Egli creò «Elohim»4.

Per alcuni cabalisti, come Nachmanide di Gerona, En Sof è un ente impersonale al di sopra di tutte le sefirot, cioè, le emanazioni. Viene definito come «qualcosa di nascosto», espressione che si richiama indirettamente all’Uno, al deus absconditus.

Tuttavia, in un passo in cui parla di ciò che sta al di sopra di tutte le emanazioni e sefiroth, egli nondimeno accenna in maniera del tutto impersonale a quel «qualcosa nascosto, che sta all'inizio della Corona (ovvero della prima sefirah)» e al di sopra di essa. Un «qualcosa nascosto», una connotazione dell'ultimo fondamento della divinità davvero insolita in bocca ad un teosofo ebraico, per altro instancabile nel parlare di Dio secondo le immagini personali del credo biblico! In modo più impersonale non si poteva certo parlare del deus absconditus!5

Ad esplicitare maggiormente i tratti neoplatonici della cabala speculativa è Azriel di Gerona, filosofo, talmudista e cabalista spagnolo, che visse tra il XII e XIII secolo, e fu insegnante dello stesso Nachmanide. Scrive Scholem:

Nachmanide si tiene di fatto a distanza dal linguaggio neoplatonico, mentre il suo più vecchio compatriota Azriel ci sguazza. E questi propriamente che ha introdotto tale predicazione negativa circa Dio nella forma dei nomi cabbalistici, spogliandola di ogni aura numinosa. Nel suo catechismo sulle dieci sefiroth, immerso in immagini personali, come quella del capitano che governa la nave, saldo al suo posto lo En sof figura proprio come il Dio della teologia filosofica convenzionale. En sof è Dio, così come noi tutti lo intendiamo nell'ambito della teologia. Egli opera per mezzo delle sue sefiroth che ha liberato da sé come tramiti per la creazione; ma è anche la divinità che abita in esse. Tuttavia, nei suoi altri scritti di carattere più spiccatamente speculativo, è percepibile una più forte impronta plotiniana, sicché le determinazioni negative e paradossali del nascosto, dell'unità indifferenziata - che contiene l’identità delle opposizioni, ma proprio perciò risulta anche inafferrabile al pensiero - dominano i suoi trattati.

Johannes Reuchlin, che per primo nel mondo cristiano intraprese un'attenta esposizione degli insegnamenti cabbalistici, conosceva questo ed altri testi di Azriel, pur non avendone chiarita del tutto l'attribuzione. Ed è Reuchlin, grande estimatore di Nicolò da Cusa e della sua dottrina della coincidentia oppositorum in Dio, che intuì l'affinità tra il cabbalista spagnolo e il cardinale tedesco6.

È molto interessante questa coincidenza tra il pensiero cabalistico e l’umanesimo rinascimentale, che fece del neoplatonismo la sua matrice filosofico-teologica. Non sappiamo se il pensiero cabalistico abbia influenzato gli umanisti o se entrambe – umanisti e cabalisti - siano stati pervasi dallo spirito gnostico del neoplatonismo in tempi e luoghi diversi e si siano poi influenzati a vicenda. Dagli scritti di Azriel emerge chiaramente come En Sof sia belimah (lett. «senza alcunché»), cioè, il nulla, e sia definito come «ciò che è infinito», anziché «colui che è infinito».

image host De Castro Pentateuch, Scribe: Netanel [ben] Daniel (?), Masorator: Levi ben David Ha-Lev, 1344

L’influsso di Plotino è evidente, ma lo diventa ancor di più con Isacco il Cieco, per cui l’En Sof è indeterminato, impersonale e, quindi, privo di volontà, «dunque il vero deus absconditus. Qui Plotino – scrive Scholem - ha soppiantato del tutto il concetto biblico di Dio, il quale, nella sua determinatezza, viene rievocato di nuovo solo per il mondo delle sefiroth». Non è un caso che molti cabalisti abbiano letto l’inizio di Genesi «In Principio creò Dio il cielo e la terra» proprio come una teogonia. Essendo il verbo creò dopo le parole In principio e prima del termine Elohim (Dio), molti - ancora oggi - leggono: «In principio [il Nulla] creò Dio», poiché prima del verbo non c’è nulla.

Per Azriel belimah è sinonimo di En sof, ed egli ne intende il significato precisamente come «ciò che ha nessun alcunché», ovvero come ciò che è assolutamente privo di determinazioni. Le sefiroth sono dunque le determinazioni dell'indeterminato, le delimitazioni in cui si esprime creativamente il senza-limiti e l'imperscrutabile. Introdotto come persona, come timoniere della nave del mondo, nel prosieguo della discussione, l’En sof viene, dunque, delineato in forma del tutto impersonale. «Ciò che è illimitato ha nome En sof »; si badi bene: non colui che è illimitato, che sarebbe certo la spiegazione più prossima, e allo stesso modo anche in frasi analoghe. È evidente che il cabbalista si sforza qui di integrare la determinazione personale del creatore con quella impersonale dell'Uno plotiniano.

Cinquant'anni dopo Azriel, nell'opera principale della cabbala spagnola, lo Zohar, questo conflitto tra il personale e l'impersonale si riproduce ancora al livello supremo della divinità. […] Tuttavia, per quanto abbastanza di rado, l'intenzione rivolta ad un fondamento neutrale o impersonale del deus absconditus, si è mantenuta anche qui.

Il paradigma fin qui esaminato ricalca più o meno la medesima struttura plotiniana: dall’Uno indeterminato e impersonale (metafisica henologica) si passa all’Essere o Anima mundi, all’Anima e, infine, al mondo, attraverso un processo continuo e degradante (emanatismo), che sfocia ineluttabilmente nel panteismo. Ciò che emerge è la trasposizione del salto ontologico tra il non-essere e l’essere delle creature in Dio stesso, il quale passa dalla sua forma impersonale e indeterminata alla sua automanifestazione e determinazione. La creatio ex nihilo, che esprime appunto il salto dal non-essere all’essere delle creature, viene trasformata in un emanatismo degradante, che ha il suo punto di snodo proprio nell’automanifestazione (o autocreazione) di Dio, nel passaggio, cioè, dal Nulla all’Essere.

Si tratta, a nostro avviso, di un maldestro tentativo di celare sotto il tappeto la polvere imbarazzante da cui siamo stati tratti, a causa dell’incapacità di accettare il limite creaturale che ci attua, che ci definisce e, quindi, che ci vincola all’Essere assoluto, più di quanto un ruscello dipenda dalla sorgente. È la perenne illusione dell’uomo di farsi dio senza Dio, di porsi come infinito senza fare i conti con la propria finitudine, cioè, il proprio non esserci prima dell’esserci, che per certi versi ricorda una delle avventure raccontate dal barone di Münchausen, quando uscì indenne dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli. È un paradosso di autoreferenzialità.

(Estratto da Le Radici del male da Platone a Dugin. Illuminati, magia e potere, vol. II, Chaos Mega, 2025, pp. 58-65)

Note

1 Matt, D. C., The Essential Kabbalah. The Heart of Jewish mysticism, Castle Books, New Jersey, 1997, pp. 66-69.
2 Scholem, G., La figura mistica della divinità. Studi sui concetti fondamentali della Qabbalah, Adelphi, Milano, 2010, pp. 43-44.
3 Scholem, G., I segreti della creazione, Adelphi, Milano, 2003, pp. 49-50.
4 Ibidem, p. 51.
5 Scholem, G., Concetti fondamentali dell’ebraismo, Marietti, Milano, 2010, p. 16.
6 Ibidem.