Ricordare il numero del bancomat era una delle poche certezze quotidiane, ma è svanita, si è disciolta nella mente anche quella; la banca me lo ha rinviato e come l'ho visto mi è sembrato un codice sconosciuto. Prima di cedere alla realtà - sto perdendo completamente la memoria - ho pensato ad un impossibile errore bancario. L'errore umano, in realtà, è tutto concentrato nella mia testa e di conseguenza nelle mie azioni.

La mia, è una mente perversa e nello stesso tempo masochista, mi scombina e mi inquieta. La certezza l'ho avuta, quando dopo aver riconquistato la combinazione ho perduto il bancomat; dopo aver cercato anche nei vasi dei fiori - non si sa mai - è ricomparso per puro caso in mezzo ad uno degli innumerevoli bloc notes di foglietti bianchi, sparsi per casa.

La mia casa è invasa da foglietti bianchi.

Sono in ogni luogo. Sul tavolo dove sto scrivendo, sbucano dai libri, dai cassetti, ma soprattutto trascorrono molto del loro tempo nelle tasche dei giubbotti e dei pantaloni di Manlio. Sono elenchi della spesa, indirizzi, appunti.

Hanno acquistato la capacità di viaggiare e così, leggeri e sottili, volano per poi planare in altri luoghi. Dall'appartamento dove ormai non c'è più spazio neanche per loro, a frotte migrano. Se ne sono andati in garage e lì si sono infilati nelle tasche dell'auto, nelle sacche delle biciclette e si sono nascosti nei ripiani sovraffollati. Fanno capolino dietro scatole di scarpe, dietro scarponi da sci, ceste, bottiglie, ombrelli, retine da pesca, vasi, bombolette spray, pacchi di ricevute, di bollette, di resoconti bancari. Tutto rigorosamente del secolo scorso.

I foglietti bianchi hanno la loro origine, oltre che per l'elenco della spesa, per annotare indirizzi e numeri di cellulari rigorosamente senza nomi, per fermare quei pensieri che rapidi come saette attraversano la mente e fuggono via.

So che li perderò perché loro prendono altre strade - volano per poi precipitare - ma scrivo ugualmente con una Pilot a punta fine.

Mi dico che potrei usare una di quelle agende impilate anche loro da qualche parte, in giro.
Ma senza ordine e disciplina, punto all'inutile.

Queste sono le regole dello stato confusionale, e sono il mio ritratto: un po' di questo ma anche un po' di quello, così, per necessità il caos.

Lo stato confusionale nella mia vita è una presenza certa, l'ho abitato fin da bambina. La testa sempre altrove.

Sono corsa dietro gli eventi pensando luoghi e azioni sempre diversi. Fare i compiti con il desiderio sconsiderato del gioco. Fare, insomma, quello che mi veniva richiesto con la voglia matta di realizzare esclusivamente ciò che mi piaceva fare. Lo scontro tra il dovere e il piacere mi conduce, ancor oggi alla melanconia e infine alla depressione.

È uno scontro creato con le mie mani; sono l'unica responsabile. Se ora scrivo, in terrazzo, con un concerto di cicale che mi suggeriscono il ritmo della scrittura, lo faccio perché nella mia casa non c'è più spazio per organizzare un tavolo da lavoro.
Io sto.
Io sto fuori, in terrazzo, e ci sto bene.
Il problema nascerà quando i foglietti bianchi conquisteranno anche il terrazzo.

Dimenticare, cercare, trovare forse, non ricordare nomi parole episodi, ripetere le stesse cose all'infinito pensando di dirle per la prima volta; mi hanno sfinita.

Scrivo come terapia d'urto. Scrivo per la semplice ragione che mi piace scrivere e lo faccio con la mano sinistra perché nella destra ho quattro dita ustionate: mentre tiravo fuori una teglia dal forno pensavo di disegnare e dipingere nuvole.

Anche oggi la giornata è stupenda; nuvolette bianche se ne vanno in giro per il cielo limpido e azzurro.

Questa mattina Eugenia, la mia collaboratrice domestica, ha perso la chiave della mia bicicletta e questa è la terza in una settimana. Le ho scritto l'elenco della spesa nel solito foglietto bianco, ma lei continua a comperare quello che le pare. Per mettermi alla pari con lei, ho ordinato e sono andata a ritirare in una rosticceria un rombo con verdure al forno. Quando il negoziante mi ha consegnato un contenitore di alluminio molto grande ho capito che la giornata era proprio storta, ma sono uscita senza chiedere se erano possibili alternative dato che ero in bicicletta. Le persone fuori dal negozio mi guardavano e quindi con finta indifferenza ho infilato in verticale il contenitore nella sacca e sono partita. Ho poi fatto un giro lungo per muovermi un po' e per seguire il cammino delle nuvole, sperando che non accadesse quello che in realtà è accaduto. Il liquido delle verdure, con l'odore predominante del pesce ha inondato come un fiume in piena la sacca, le scale, il pavimento e il tavolo della cucina, naturalmente anche i sandali e il vestito. Per ripulire e togliere gli odori sgradevoli ho impiegato un'ora.

Per fortuna Marcella è venuta a pranzo alle 14.30. Ho un po' di nausea e vedo nere anche le nuvole bianche. Vado a letto per leggere il giornale alle 15.30 e dormo fino alle 18.

Ora apro gli occhi e vedo un cielo azzurro intenso attraversato da nuvole bianche che mi ricordano i cieli d'Irlanda.

Incantata guardo le loro forme mutevoli; metamorfosi orientate dal vento e come da bambina vedo volti, draghi, animali, mostri, figure drammatiche che cavalcano il cielo. Immagini maestose, mi appaiono come Dei che si mostrano per un attimo e poi svaniscono. Le fotografo e anch'io compio metamorfosi alla ricerca dell'origine di questo mio Stato Confusionale. E lo ritrovo nel cammino delle nuvole che come me si muovono in ordine sparso e mutano e svaniscono e così oggi, come ieri, la mia testa è proprio in mezzo a loro.

Sì, proprio tra le nuvole.