Spesso ci si è chiesti, dopo aver letto un romanzo eccellente, quale sia stata l’idea ispiratrice iniziale magicamente instillata nella mente del suo autore. Se ripensiamo ad uno dei capolavori del secolo scorso, come Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, romanzo storico epistolare del 1951, non possiamo non provare un fremito di curiosità che ci spinge ad immaginare la genesi di quest’opera.

Il libro venne concepito dalla sua autrice quando era giovanissima, appena ventenne, tra il 1924 e il 1929: in questo periodo venne scritto, rielaborato, modificato e, in fine, distrutto. A martellare nella mente di Marguerite un suo appunto, ritrovato nel 1927 in un volume di Flaubert della sua biblioteca, che riportava la frase: “Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo”. Indicava l’inizio di un sogno. Marguerite riprese i lavori al libro nel 1934, per poi riabbandonarli e riprenderli nel 1937, dopo aver scritto una quindicina di pagine ritenute definitive. All’epoca immaginava il romanzo come una serie di dialoghi nei quali sarebbero intervenuti molti personaggi illustri dell’antichità, ma col tempo comprese che la voce di Adriano si perdeva troppo tra le altre e non avrebbe reso la descrizione completa e totale che si era prefissata. La sola frase rimasta intatta di quella stesura fu: “Incomincio a scorgere il profilo della mia morte”1.

Aveva, così, scelto il punto di vista da cui osservare il suo Adriano, cogliendo il momento in cui un uomo, alla fine della sua vita, la osserva, la esamina, la giudica quasi dall’esterno. Per conoscere meglio il mondo di Adriano l’autrice si immergeva spesso nei suoi luoghi, visitando più volte Villa Adriana, l’Olympieion, l’Asia Minore, la Grecia, il Louvre, dove poteva osservare la testa dell’Antinoo di Mondragone. Nel 1937, durante il primo soggiorno negli Stati Uniti, fece ricerche nella Biblioteca dell’Università di Yale, e scrisse le prime pagine, inerenti al racconto dello stato di salute precario dell’imperatore, e delle sue passioni che ormai non poteva più praticare. Fino al 1939 continuò sporadicamente a lavorare al libro, ma sospese ben presto, perché si sentiva troppo giovane per riuscire a cogliere totalmente Adriano, un uomo che la sua esistenza l’aveva vissuta tutta e pienamente. Nel ’39 l’autrice partì per gli Stati Uniti lasciando il manoscritto e i suoi appunti in Europa, portando con sé solo dei riassunti fatti a Yale, una carta geografica dell’impero romano alla morte di Traiano e il profilo dell’Antinoo del Museo Archeologico di Firenze. Abbandonò il progetto fino al 1948, nonostante, come scrisse in Taccuini di Appunti, l’appendice allegata all’edizione, ci pensasse spesso, anche se con scoraggiamento, e un po’ di vergogna per aver avuto, per un attimo, l’ambizione di poter portare a termine un’impresa tanto ardua. In America, nei momenti di maggiore sconforto si recava spesso al museo di Hartford nel Connecticut, dove poteva ammirare la tela romana del Canaletto, in cui appaiono il Pantheon bruno e dorato immerso nel cielo limpido di un pomeriggio estivo. Quasi come dei segni del destino, lei e Grace Frick, la sua compagna, acquistarono in un negozio di colori a New York quattro stampe di Piranesi, in una delle quali veniva immortalata una parte di Villa Adriana, quella della cappella del Canopo, dove nel XVII secolo furono estratti l’Antinoo in stile egizio e le statue delle sacerdotesse in basalto, oggi in Vaticano.

La caratteristica particolare, però, che colpì irrimediabilmente Marguerite, fu il senso di decadenza e di rovina che l’autore riuscì a fermare, attraverso i rovi pendenti dalla struttura circolare, esplosa nella parte superiore, come un cranio da cui scendevano ciocche di capelli. Il senso tragico di quella immagine, l’interiorità che vi si scorgeva, rimasero per sempre impresse nella mente dell’autrice. Riprese il nome di Adriano, che sembrava ormai obliato nei meandri della sua mente: in questi anni l’autrice visse il suo tentativo di avvicinarsi sempre di più ad Adriano come un modo per riempire i vuoti della sua vita, dedicandosi alla continua lettura di autori antichi, quasi per cercare di riprodurre la biblioteca di Adriano, per immaginarne lo spessore culturale e riproporre, con un fervido processo di immedesimazione, i rituali gesti della vita quotidiana. Ne è un aspetto anche il desiderio continuo di tornare a Villa Adriana, testimoniato dalle innumerevoli visite della scrittrice. Aveva bisogno di immergersi nei luoghi e nelle cose care di Adriano, per sentirlo vicino.

Nel 1948 ricevette dalla Svizzera un baule pieno di carte di famiglia e lettere vecchie. Con pazienza trascorse giorni interi ad eliminare ciò che non le sarebbe servito, e tra i fogli, scorse delle carte ingiallite dal tempo, dattiloscritte, recanti la scritta: “Mio caro Marco…”2. Era l’incipit del romanzo, Hadrien, che aveva abbandonato; insieme c’erano Cassio Dione nella stampa di Henri Estienne e un volume di un’edizione comune della Historia Augusta. Furono le due fonti principali su cui si basò per la scrittura del romanzo. I ricordi di un tempo sembravano improvvisamente riaffiorare e, insieme ad essi, anche l’antica fiamma che accendeva il suo spirito fino a farle pensare di riprendere il lavoro. Aveva, ormai, tutte la capacità per farlo: aveva superato i quarant’anni e il bagaglio di esperienze e di cultura che aveva accumulato le avrebbe permesso di vedere con più lucidità nell’animo di un uomo tanto complesso e vissuto. Riusciva già bene a cogliere aspetti che a vent’anni non considerava, come la visione più ufficiale di Adriano, la sua veste di imperatore, oltre che di uomo. Di getto, il giorno dopo, scrisse la prima parte del romanzo, quella sulla malattia, sulle passioni, sul cibo, sul sonno, sull’amore. Dopo tre anni di assidue ricerche, e “d’una partecipazione costante, la più chiaroveggente possibile, a ciò che fu”3 venne fuori dalle pagine il suo personaggio, completo.

Bisogna sottolineare però che, come l’autrice stessa disse nell’intervista con Matthieu Galey, il bagaglio culturale accumulato grazie alla lettura di testi antichi, utile per comporre Hadrien, l’ha acquisito negli anni, dalla giovinezza alla maturità, non di botto, chiudendosi in pochi mesi nelle biblioteche. È stata la passione per il mondo che leggeva a guidarla, e a permetterle di impregnarsi totalmente di Adriano, a interiorizzarlo. Come Adriano, poneva un piede nell’erudizione e uno nella magia, intesa come ‘simpatia’, e trasferimento con il pensiero nell’interiorità di un altro. L’utilizzo della prima persona fu un espediente per eliminare il più possibile ogni intermediario, anche se stessa, tra il lettore e Adriano. Leggendo un passo di Taccuini di appunti, si può avvertire tutta la poetica della Yourcenar e la sua visione del romanzo storico:

Chi colloca il romanzo storico in una categoria a parte dimentica che il romanziere si limita a interpretare, valendosi di procedimenti del suo tempo, un certo numero di fatti passati […] Ai tempi nostri, il romanzo storico, o quello che per comodità si vuol chiamare così, non può essere che immerso in un tempo ritrovato: la presa di possesso d’un mondo interiore. Il tempo non c’entra per nulla. Mi ha sempre sorpreso che i miei contemporanei, convinti d’aver conquistato e trasformato lo spazio, ignorino che si può restringere a proprio piacimento la distanza dei secoli. Tutto ci sfugge. Tutti. Anche noi stessi. La vita di mio padre la conosco meno di quella di Adriano. La mia stessa esistenza, se dovessi raccontarla per iscritto, la ricostruirei dall’esterno, a fatica, come se fosse quella d’un altro. Dovrei andare in cerca di lettere, di ricordi d’altre persone, per fermare le mie vaghe memorie. Sono sempre mura crollate, zone d’ombra. Fare in modo che le lacune dei nostri testi, per quel che concerne la vita di Adriano, coincidano con quelle che potevano essere le sue stesse dimenticanze. Il che non significa affatto, come si dice troppo spesso, che la verità storica sia sempre e totalmente inafferrabile; accade della verità storica né più né meno come di tutte le altre: ci si sbaglia, più o meno. Le regole del gioco: imparare tutto, leggere tutto, informarsi di tutto e, al tempo stesso, applicare al proprio fine gli esercizi di Ignazio di Loyola o il metodo dell’asceta indù, che si estenua anni e anni per metter a fuoco con maggior precisione l’immagine che ha creato sotto le palpebre chiuse […]Sforzarsi di leggere un testo del II secolo con occhi, anima, sensi del II secolo; immergerlo in quell’acqua madre che sono i fatti contemporanei; eliminare finché è possibile, tutte le idee, i sentimenti che si sono accumulati, strato su strato, tra quegli esseri e noi; e, al tempo stesso, servirsi con prudenza, o soltanto a titolo di studi preparatori, della possibilità di accostare e ritagliare prospettive nuove, elaborate poco a poco attraverso tanti secoli e tanti avvenimenti che ci separano da quel testo, da quell’avvenimento, da quel personaggio […] imporsi di ignorare le ombre che vi si sono proiettate successivamente, non permettere che la superficie dello specchio sia appannata dal vapore d’un alito, prendere come punto di contatto con quegli uomini soltanto ciò che c’è di più duraturo, di più essenziale in noi, sia nelle emozioni dei sensi sia nelle operazioni dello spirito: anche loro, come noi, sgranocchiarono olive, bevvero vino, si impiastricciarono le dita di miele, lottarono contro il vento pungente, contro la pioggia accecante, l’estate cercarono l’ombra di un platano, gioirono, pensarono, invecchiarono, morirono.[…]La struttura dell’essere umano non muta4.

La verosimiglianza rappresentò l’elemento fondamentale per l’autrice, che aveva come legge portante quella di non idealizzare mai il suo personaggio, né travisarlo, né costruirlo a suo piacimento, o renderne un’immagine distorta, troppo diversa da quella che fu.

Il processo di immedesimazione tra l’autrice e il suo soggetto si spinse talmente oltre da permettere a Marguerite quasi di rivivere, a tratti, parte delle abitudini quotidiane di Adriano: per descrivere le scene di delirio mistico del personaggio, lei aveva praticato metodi di contemplazione, e le praticava, come disse tranquillamente: erano tecniche di meditazione pacata, delirio solo per chi poteva osservare dall’esterno, votate al silenzio e all’eliminazione, durante la scrittura, di qualsiasi pensiero personale che potesse sporcare il personaggio, ogni pensiero dell’autrice stessa, quindi esterno, per lasciar fluire Adriano. Si basava sul mantenimento dell’attenzione, che eliminava i tre quarti del pensiero e le permetteva di fissare la propria concentrazione sul niente, o al massimo, su un’idea fissa, l’obiettivo.

Se si pensa che anche Adriano utilizzava pratiche simili, solo più intellettualizzate, si può almeno in parte comprendere quanto imponente e immensa fu la passione che aveva indissolubilmente e lentamente legato la Yourcenar all’imperatore Adriano, innovatore e riformatore, uomo di grande intelligenza e apertura mentale, che rese migliore la condizione degli schiavi ed emancipò le province senza mettere in pericolo la romanità; che applicò leggi riprese dai filosofi greci con un empirismo eccellente e divulgò il suo ellenismo senza imporlo; che guardò molto ai suoi predecessori, ma seppe essere lungimirante, rimanendo, per la Yourcenar, più vicino all’idea di intellettuale e sovrano rinascimentale, che di quello romano; che fu un grande diplomatico, capace di risollevare un Impero allo sfascio, donandogli una stabilità duratura intaccata, forse, solo dalla guerra Giudaica della fine del regno: uomo eccezionale e principe immortale, il cui nome continua a riecheggiare nei secoli, i cui principi continuano ad istruirci nel tempo.

Note

1 M. Yourcenar, Memorie di Adriano (trad.it.), Torino, 2014, p. 7.
2 Ibid., p. 5.
3 Ibid., p. 279.
4 Ibid., p. 280-281.

Bibliografia

M. Yourcenar, Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey (trad. it.) Milano, 2004.
F. Bonali Fiquet, "Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. Storia di un grande romanzo", in Marguerite Yourcenar. Adriano, l’Antichità immaginata, Mondadori Electa 2013, pp. 122-129.
N. Giustozzi, "Mon cher Hadrien. Marguerite Yourcenar, le Memorie, l’antico" in La Rivista di Engramma (online), ISSN 1826-901X, 106 Maggio 2013. M. Yourcenar, Memorie di Adriano (trad.it.), Torino, 2014.
M. Yourcenar, Taccuini di appunti, in M. Yourcenar (a cura di Lidia Storoni Mazzolani), Memorie di Adriano (trad.it), Torino, 2014, pp. 273-293.