Il 2021 è l’anno di Dante, in quanto cadono i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta, noto soprattutto per quel grandioso viaggio nei regni dell’Oltretomba che è la Divina Commedia. Eppure, il concetto di viaggio nel mondo dei morti non è così originale nella letteratura: Dante aveva a disposizione un sacco di modelli precedenti alla sua opera. Vediamoli per cercare di comprendere cosa rende la Divina Commedia così diversa e speciale rispetto ad altre opere simili.

La letteratura greca ha già due celebri discese letterarie nell’Ade: quella di Ulisse nel canto XI dell’Odissea e il cosiddetto “mito di Er” nella Repubblica di Platone. Ma Dante non conosceva il greco e, almeno nel primo caso, non si tratta di una vera e propria discesa negli inferi: Ulisse, infatti, evoca le ombre dei trapassati mediante un rito particolare: non è lui a scendere, sono i morti a salire. Più diretto è il rapporto col testo del canto VI dell’Eneide di Virgilio, nel quale l’eroe Enea discende negli inferi accompagnato dalla Sibilla. Non a caso Dante sceglie proprio il poeta latino come sua guida, riprendendo anche talune suggestioni virgiliane, come Caronte e Cerbero.

Ma forse ancora più interessanti dei modelli classici, ridotti alla fine al solo Virgilio, sono quelli medievali. Dante è a conoscenza di opere delle quali forse avremmo già perso ampiamente la memoria se non fosse stato grazie al fatto che gli sono servite come fonti di ispirazione.

Su tutte spicca il cosiddetto Libro della Scala di Maometto, un testo religioso musulmano nel quale si narra il cosiddetto “Viaggio Notturno” o Miraj del Profeta a cavallo del mitico Buraq per esplorare i mondi dell’aldilà. Questa tradizione del Viaggio Notturno di Maometto si origina dai primi versi della diciassettesima sura del Corano nota come “sura del Viaggio Notturno”. Del Libro della Scala sopravvive ironicamente solo una traduzione latina mentre è andato perduto l’originale arabo. Grazie agli studi di Maria Corti si sono potute notare diverse analogie tra il testo musulmano e la Commedia: Maometto, che parla in prima persona, è accompagnato dall’arcangelo Gabriele esattamente come Dante con Virgilio: a questo potrebbe ancora richiamare Enea accompagnato dalla Sibilla.

È la struttura dell’Oltretomba islamico, fatto di gironi infernali e di cieli, che richiama in maniera impressionante la geografia oltremondana dantesca. L’Alighieri pare aver fuso lo schema dell’Oltretomba musulmano con la concezione aristotelico-tolemaica dell’universo. I proverbiali fiumi d’inchiostro sono stati sparsi sulla tematica del rapporto tra Dante e l’Islam, proprio a partire dal Libro della Scala. E questi studi hanno anche alimentato speculazioni sull’esoterismo dantesco, collegandolo a volte al mondo templare e a volte addirittura al sufismo.

Altro possibile modello di Dante è la cosiddetta Visio Tnugdali (Visione di Tnugdalo) un testo latino del XII secolo che riporterebbe la visione ultramondana avuta da un cavaliere irlandese. Il testo, scritto da un monaco chiamatio Marcus, per la badessa del monastero di San Paolo a Ratisbona, racconta le vicende di un superbo cavaliere che disprezza la Chiesa e che, rapito da una visione durante un banchetto a Cork, si purifica attraverso la visione dei tormenti infernali e delle gioe del paradiso. Lo spirito ricorda molto quello del viaggio purificatore del poeta fiorentino dalla Selva Oscura sino alla Candida Rosa.

Infine, abbiamo un poemetto di un frate della generazione precedente a quella di Dante, Giacomino da Verona, il quale scrive il De Babilonia civitate infernali e il De Jerusalem celesti. L’opera di Giacomino da Verona, probabilmente destinata alla predicazione presso le masse analfabete, è ricca di un realismo molto ingenuo. Ma questa caratteristica venne sfruttata da Dante per le descrizioni, a volte assai popolaresche, dei tormenti infernali.

Quindi, in cosa l’opera di Dante si differenzia da tutti questi precedenti?

Nell’empatia che Dante prova verso le anime. Nelle opere precedenti il protagonista vede le ombre dei defunti quasi come in un film: sembra che queste non abbiano storia. Nella Divina Commedia ogni defunto che si presenta al Poeta ha una storia da raccontare e spesso Dante, e noi con lui, arriviamo ad empatizzare con l’anima, a vederla come una persona. Addirittura, Dante prova sentimenti di pietà o di ammirazione per anime dannate come quelle di Francesca, o Ulisse o Farinata.

È l’umanità che distingue Dante e lo rende immensamente più grande di tutti i suoi predecessori, tanto che quei morti ci appaiono più vivi dei vivi.