Caspar David Friedrich non è stato semplicemente uno dei più grandi artisti della storia. Troppo facile catalogarlo così, tout court, giusto per dargli una definizione. Lo sapete, non tollero le banalità e le futili classificazioni in genere. Preferisco cogliere, in uno spartito, la forza misteriosa delle pause alla più evidente linea sinfonica della melodia. Per questo motivo provo a parlarvi di Friedrich osservando l’invisibile e non solo il visibile, l’infinito e non solo il finito.

La prima parola che trovo si accosti meglio al suo nome, per questo motivo, è la seguente: romantico. Caspar David Friedrich, che abbia rappresentato nelle sue opere un paesaggio, un’alba, un tramonto, una montagna, non lo ha mai fatto in modo oggettivo e pedissequo ma simbolicamente, esotericamente, in occulto.

Lo spirito romantico di Friedrich gli ha infatti permesso di scrutare l’invisibile nel visibile. Facciamo un esempio: una montagna rappresentata dall’artista (prussiano d’origine e tedesco d’adozione) non è semplicemente una formazione rocciosa naturale che svetta verso l’alto ma un moto dell’anima, una verticalità spirituale, un afflato verso l’infinito. Da notare che Friedrich non dipingeva en plein air: ogni suo quadro è nato in studio. La montagna rappresentata non era per lui un elemento esteriore ma una rappresentazione di sé stesso, della propria interiorità, trasposto sulla tela.

Un romanticismo antico e modernissimo in realtà, quello di Friedrich, che non a caso fu scoperto e portato sugli allori dall’immenso Goethe e, sempre non a caso, fu anticipatore di mille correnti e avanguardie artistiche dell’800 e del ‘900. Soprattutto la sua eredità è un discorso non ancora colto in pieno, un messaggio per il terzo millennio, per i nostri tempi e per quelli a venire, a tutt’oggi ancora intasati da provocazioni antiestetiche, squallidi tentativi di becero stupore e mercantili operazioni pubblicitarie. Vi assicuro: il futuro è nella direzione di Friedrich e non di Jeff Koons.

In Friedrich il paesaggio assume il carattere assoluto di pura rappresentazione del sublime e della meraviglia nella nostra esistenza. La provocazione massima è quella di riportare l’animo umano alla dimensione soprasensibile e dell’infinito, della creatività dello spirito umano e non certo quella di riportarci al livello infimo delle pulsioni animali, come succede da qualche decennio. Questa capacità di elevare l’essere umano al piano del sacro e del sublime è il cuore del vero Romanticismo, che a questo punto non è da intendersi come mero periodo storico, artistico e filosofico (che possiamo collocare come nascita codificata agli inizi dell’800) ma come autentico “sentimento vivente”, presente in ognuno di noi, dal momento della nascita alla vecchiaia, obnubilato solo dai continui e invadenti messaggi pregni di superficialità della nostra società. Il Romanticismo, quello vero, è immanente in noi, da sempre e per sempre.

Le opere di Caspar David Friedrich, infatti, non descrivono mai avvenimenti che abbiano una correlazione storica tra oggetto e soggetto, non ci ricordano precisi momenti temporali scanditi nel calendario degli eventi umani da ricordare; piuttosto ci descrivono i silenzi senza spazio e senza tempo che fanno da intervallo misterioso tra gli accadimenti storici stessi e ci permettono di comprendere, nel profondo della nostra anima, come siano proprio quelli i momenti più importanti nel ritmo del respiro nella vita di ognuno di noi e in quella dell’intera umanità. L’uomo compie la storia, quella che riportiamo successivamente nei libri, completa di luoghi precisi e date buone per le ricorrenze ma è nei momenti di raccoglimento, nel contatto con il sublime mondo che ci circonda, nel collegamento con la natura pantocreatrice che l’uomo si fa davvero Uomo, che l’essere umano accoglie in sé la dimensione del sacro secondo quella sottile linea rossa che collega Zoroastro, Leonardo, Leopardi e Mircea Eliade. L’uomo, tale senso dell’infinito divino in sé, lo intuisce e lo ispira, fino a trasformare l’invisibile in visibile, il silenzio in suono, il grigio in colore, la pausa in una serie di note che erano già lì da sempre e che bastava ascoltarle per trasformarle in realtà.

Per secoli si è assimilato, in modo assolutamente improprio da parte di tanta gente comune (e di parte della critica, ricordiamolo) il termine romanticismo al sentimentalismo edulcorato, retorico, direi quasi permettetemi il neologismo confettoso. Niente di più sbagliato; basta fare un nome come quello di Beethoven per capire quanto in realtà lo spirito romantico sia profondamente pervaso di eroismo, epicità, divinità, di afflato verso l’infinito tempo e l’infinito spazio.

Il romantico, il vero romantico, è coraggioso, fantasioso, capace di ricercare le regole dell’universo e farle sue per creare nuovi mondi e nuovi universi. Einstein era un romantico, in tutto e per tutto, per esempio, non meno di Gandhi. Il romantico, quando parla, recita proclami, enuncia manifesti, vocalizza preghiere, materializza mantra. Il romantico è il sacerdote del mondo ma ne è anche scienziato. Torniamo allora alla figura di Goethe, colui che rivelò Caspar David Friedrich al mondo e che per primo lo comprese come nessun altro: il romantico è colui che non subisce passivamente la storia: si sforza per crearla. Nessuna evoluzione dello spirito sarebbe possibile senza romanticismo; avremmo solo evoluzione darwiniana, quella di chi meglio s’adatta, quella del caso che poi, caso non è.

Nel mio percorso di artista e pensatore, il termine romantico è l’unico che sento mio del tutto, fino al midollo. Mi immergo nell’unicità vertiginosa della vita umana, nel non accontentarmi della quotidiana sopravvivenza, nel sentire il fuoco della storia e degli incredibili spazi che si aprono intorno a noi, nel riconoscere e farmi inno della perenne scintilla del Sacro.

Per me e fortunatamente non solo per me il termine Romanticismo si riassume in tutto questo. Io sono, romanticamente sono; romantica è la mia stessa essenza.

Friedrich fu il primo portavoce visivo del Romanticismo storico: i suoi paesaggi urlano ancora di assoluto, gli esseri umani raffigurati siamo tutti noi nel nostro misterioso e incredibile viaggio che è la vita stessa. Fu anche il primo dei simbolisti, dei surrealisti, dei metafisici, oltre che appunto il primo dei pittori romantici.

I suoi dipinti sono autentiche icone non solo per l’uomo del suo tempo ma anche per l’essere umano del terzo millennio.

Friedrich non è mai passato: Friedrich è e sarà, romanticamente per sempre.