Il 30 Aprile si è conclusa Tenebra, personale dell’artista g. olmo stuppia, presso gli spazi di SPARC*-Spazio Arte Contemporanea nel cuore di Venezia, a cura di Francesca Giubilei e Luca Berta. Una magnifica riflessione “per navigare la peste e sublimare il buio” dove la cultura brilla insieme ad un’accesa coscienza critica. Ne abbiamo parlato assieme all’artista tra riflessioni e confessioni.

Paesaggio architettonico, politico, alchimia femminista sono le tue tematiche di ricerca. Ci racconti com’è il tuo essere poetico, o meglio cosa significa essere poetico - oggi?

È avere la febbre, e togliersi la museruola. È affondare il dito nella “carne” dei sensori ottici dei droni micro e macro che circondano la poca aria pulita rimasta. È reimparare la lentezza, portare dei fiori, è studiare a fondo la teoria ma farle una pernacchia con la pratica. È vivere da novembre ad aprile in un hotel vuoto, in Canal Grande.

La chiamata di un amico, inaspettata, che ti scalda il cuore, il suo accettare di darti una mano, per tastare la pelle rugosa e profumata della tenebra.

Sai, cara Federica, la chiesa Cattolica, diede ragione a Galileo nel 1992 e in molti luoghi del mondo e d’Italia ancora si pensa alla donna come riproduttrice, al maschio come forte portatore di certezze, la scuola neo hegeliana risorge (e cosa ancor più grave contamina molti curatori e artisti), giudicante e fascistoide, piombiamo in un “nuovo feudalesimo” e di un ritorno “dell’accademia” che interessano solo ed esclusivamente ai comitati di affari che le sospingono e spesso i più “radicali” altro non son che reazionari con una buona cera mascherata.

Tenebra è il tuo ultimo progetto espositivo ospitato presso gli spazi di SPARC* - Spazio Arte Contemporanea a Venezia ci racconti la genesi di questo titolo?

Prendere la barca, infrangere ogni dogma. Ho preso la mia vecchia latta, per navigare. La stessa che esposi in Piazza San Marco, con Skype Mirror. Col cuore di Alabastro dalle ali troppo lunghe arenato su fondali troppo bassi e caldi. Un cuore infranto, una lattina ammoniacata al caffè imbevibile del Veneto. Tenebra è voce sublime del “fascio di luce” che l’essere “biologicamente diversi” dalla massa ci proietta in viso.

Due incontri fatali in Tenebra: il tassista Giustiniano Brunato e il pittore Armando Bozzola. Ci racconti questi due favolosi personaggi che hanno incontrato parte di una tessitura di trame veneziane? Da Togliatti a Sinatra.

Armando è un pittore che abita lo spirito stesso, un po’ burbero ma meravigliosamente timido. Un ritratto di questa Regione, a Nord Est, terra di Pirati e Nobili; una regione che ospita l'utero d'Europa: la Laguna Veneta. Una laguna al bromuro di Sodio e piombo "margheroto" (un polo esistenziale che ospita insieme Venezia, Laguna, Biennale, Palazzi Antichi e la piú alta concentrazione per metro quadro di Bellini, Tiziano, Tintoretto al mondo).

È un pittore fedele alla “bellezza”. Vive in una casa Ater. È un uomo del suo tempo, un essere sublime nella sua imperitura forza di animare e animarsi, seppur nella difficoltà della sua umile condizione, e di trascinare innanzi la sua meravigliosa “carcassa”. La sua voracità, la sua frustrazione assomigliano a quella di ogni anima che si domandi qualcosa in più oltre all’aumentare i cuoricini sulla sua schermata “omicida”. E su questo schermo che scorrono odi, odio, emozioni e canti, ma anche meravigliose grafiche, come quelle progettate da Roberto Vito d’Amico per Tenebra. Una sorta di colonscopia, dentro il buio del proprio intestino mentale. Un viaggio a cavalcioni delle stelle e dell’ano solare.

Nella tua ricerca artistica non mancano mai riferimenti colti, a tanti autori e molteplici testi. Se dovessi fornire una bibliografia trasversale di Tenebra quale sarebbe?

Leggo a frammenti, estraggo pezzettini, ad esempio: Basilisse, Appunti di Viaggio di Rita Bonfiglio (Carthago edizioni, 2019); La Tenebra divina, Saggi di Metafisica, di Ananda K. Coomaraswamy Adelphi (2019); The Rubicon di Tom Holland (Abacus, 2004), Amo a te di Luce Irigaray (Bollati Boringhieri), Cose che accadono di Notte di Peter Cameron (Adelphi 2020).

Ma tanto, rimaniamo “il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa” Orson Welles ne La ricotta di Pasolini.

Per Tenebra hai lavorato su più dispositivi: dal video alla scultura - lo spazio espositivo si è trovato così in uno stato di “atmosferologia” - ci racconti meglio il concetto che vuole esprimere questo termine che si rifà a due maestri filosofi: Martin Heidegger prima e a Tonino Griffero poi?

È proprio il contrario del capitalismo esperienziale tanto caro alle mostre baraccone piene di touchscreens. Mostre tutte normalizzate, per non capirci un tubo se non l'immediato "effetto wow". Un effetto che ti ghermisce. Un effetto che ti affetta e ammorba come il Covid che risulta tanto caro agli istinti pecorili del rinnovato individuo qualunquista e consumista dell'oggi.

Un corpo fragile, vestito e variopinto, modificato biologicamente su cui i pubblicitari e la medicina moderna imperversano, fabbricando ormai da 70 anni una immagine e un tessuto neurale nuovo, evirato da ogni senso biologicamente critico e colmo di gusto psicotico, biancastro, sfavillante. Scherzosamente la chiamo “l’estetica del Cocainomane in Autogrill”. Con Tenebra propongo allo spettatore di “accecarsi” e guardare profondamente dentro di sé. Heidegger come Griffero sono filosofi che annodando il “fare poesia” al pensiero. Chi cerca un obsoleto white cube rassicurante ha sbagliato indirizzo. O forse no. Se davvero si parla di sacro…

Con questa mostra ci racconti, quasi sussurrando, una Venezia meravigliosa quanto catastrofica. Può, questa città, essere metafora dello stato dell’arte? Fare arte, parlare di arte, riflettere sull’arte non è una questione perenne di dicotomia di forze contrastanti, citandoti “per navigare la peste e sublimare il buio”?

Non ho l’ambizione di sapere quale sia lo stato dell’arte. Laguna è utero. Accoglienza e malfidenza, vibrazione canora e gorgoglii sommessi. Sprigionando tenere candeline di torta, sorette da sculture in argento, piccoline, tenere.

In che punto della tua ricerca artistica si inserisce Tenebra? E perché? Come interagisce Tenebra con altri tuoi progetti e ricerche?

Tenebra è una matrioska elaborata in contingenza alle sollecitazioni e alle azioni dei due curatori sul mio fare e disfare. In essa converge il cielo stellato e puntinato di droni di Sicilia (Cassata Drone) e si unisce ad una vocazione antropologica alla “deriva” su e con la Laguna Veneta in cui affondo le mie radici legnose di mezzosangue siciliano come milanese. Convergono quindi tre ricerche distinte: la nuova volta stellata di droni armati e possenti verso la Libia trasmutati dalla Statua della Libertà che viene “coccolata” e con enorme sforzo issata su un pick up noleggiato “abbusivamente”. La voce di un trasportatore di umani pericolosi (VIP direbbero i periodici di oggi) e la tremenda frustrazione di un artista inascoltato. Frammenti che implodono in questo nobile contenitore che è Spazio Sparc, anch’esso fatto e disfatto, indice del mio misfatto.

Ultima domanda: c’è qualcosa che non hai mai raccontato di Tenebra ma che può trovare luce in queste ultime righe?

La pasta Molisana ricciola e limone; un drone che ronza sopra la testa, una colata di lava, un motore Yamaha 5 Cavalli che scoppietta all’alba. Ogni successo è figlio di un miliardo di gioie fallite.

Uscirà presto un libro a titolo Tenebra, per l'escavazione della contemporaneità, e sarà un’opera “magna” quanto poetica e leggera, che accompagni gli appunti, che condivida le sensazioni di questa mostra-vita che ha abitato Campo Santo Stefano per due mesi. E di questo immenso lavoro ringrazio i curatori, gli editor Alessandro Castellani ed Elena Abate, la voce di antico greco Eva Andreato e ringrazio il pulsante e vitale ciclo lagunare, come un utero cangiante e creativo, che protegge l’oscurità.