Il 1924, con l’uscita del primo Manifesto del surrealismo di André Breton, segna la nascita del movimento d’avanguardia francese. Spesso se ne è rintracciata l’origine nelle ceneri del dadaismo. I futuri surrealisti Aragon, Breton, Ėluard, Péret rappresentarono, infatti, il gruppo dada francese fino al 1922. Per la loro ideologia è stata determinante l’esperienza della guerra: il primo conflitto mondiale era stato una guerra di logoramento combattuta non solo in trincea. Lontano dai campi di battaglia, la popolazione doveva fronteggiare la fame e gli stenti, doveva fare i conti con le migliaia di perdite, di vittime, di mutilazioni, di feriti, di prigionieri.
La conoscenza e l’analisi di tali atrocità, porta questi intellettuali alla sfiducia nei confronti del Sistema, a un nichilismo radicale rispetto alla loro epoca: si registra un fallimento esteso a tutti i fronti. Quando nel 1914 scoppia la guerra, Breton viene richiamato in artiglieria. Animato da uno spirito anarchico e antimilitarista, non può combattere per qualcosa che va contro i suoi principi. Così, riesce a farsi trasferire dal fronte e a prestare servizio, dal 1915, nel centro neurologico dell’ospedale di Nantes.
Qui conoscerà Jacques Vaché che lo inizierà alla lettura di Jarry, Roussel, Lautréamont e Rimbaud. Saranno, queste, esperienze fondamentali per l’elaborazione di quel pensiero surrealista che trova nella distruzione totale dei legami imposti dalla famiglia, dalla morale, dalla religione, il suo punto di forza. Questa “distruzione” si attua attraverso un linguaggio e una poesia nuovi: per i surrealisti il poeta non è semplicemente colui che “è ispirato”, ma soprattutto colui che “ispira”, che esprime pensieri e azioni sconosciute.
Il loro obiettivo è “inventare” una nuova vita anche con l’ausilio di chiunque si proponga come apportatore di segreti. Proprio con questo fine venne creato un “Ufficio di ricerche surrealiste” che invitava chiunque avesse qualcosa da dire, da confessare riguardo al desiderio di liberarsi dalle reti e dai lacci della misera e della piatta vita quotidiana. Vengono così accolti pazzi, inventori, disadattati, rivoluzionari. Il suo organo è La Révolution Surréaliste, una rivista letteraria molto atipica perché, intenzionalmente, dà un’impronta scientifica agli argomenti trattati. Qui si affronteranno inchieste e dibattiti di vario tipo, contrari al comune intendere e alla morale comune.
In un primo momento, per il movimento surrealista - tra cui si annoverano anche Soupault, Artaud, Desnos, Naville, Masson, Leiris, Vitrac - la rivoluzione deve attuarsi solo sul piano delle idee, nella poesia e non nell’attività concreta. Aragon dirà in proposito:
[…] lo spirito di rivolta è sempre stato ed è per me molto al di sopra della politica, qualunque essa sia1.
Breton, però, coglieva i limiti di tale atteggiamento. Sarà negli anni tra il 1923 e il 1925, durante la guerra marocchina, che i surrealisti anteporranno alla rivoluzione dello spirito la rivoluzione sociale.
Si tratta, questa volta, di un conflitto non contro un altro stato capitalista, ma contro un popolo colonizzato di cui i surrealisti prendono le difese. Fanno “fronte unico” con alcune organizzazioni comuniste o paracomuniste come “Clarté”, “Philosophies”, postesi in difesa dei ribelli. Nonostante quest’adesione, Breton e il suo gruppo vogliono mantenere la loro indipendenza, gelosi come sono “del valore delle loro idee per confonderli con una dottrina rivoluzionaria che si fonda principalmente sull’economia e sui rapporti di classe”2 . Ciò che rivendicano è proprio l’autonomia dell’arte.
Breton aveva un idolo: Trotskij e si recò anche in Messico nel 1938, durante il suo esilio, per conoscerlo. Da questo incontro nasce lo scritto a quattro mani Per un’arte rivoluzionaria e indipendente. Benché il russo non condividesse l’impostazione poetica e i referenti culturali di opere come Nadja e Les vases communicants, si trovò perfettamente d’accordo sulla rivendicazione dell’autonomia artistica. Il trotskijsmo rappresentava, per lo scrittore francese, l’unica opposizione rivoluzionaria allo stalinismo, impossibile da coniugare col surrealismo.
In realtà Breton, all’interno del suo gruppo, agirà seguendo i dettami meno nobili della politica dei partiti marxisti, come le epurazioni (basti pensare a quelle degli amici Antonin Artaud, Vitrac e Soupault) o le gerarchie che si erano venute instaurando all’interno di questo cenacolo di artisti. Breton si mostra un vero egocentrico, accentratore, oserei dire lo “Ubu Roi” del surrealismo. Egli, con le sue azioni, contraddiceva quello stesso lavoro di équipe, quel collettivismo che aveva posto come cardine del movimento. Venne aspramente criticato per questo, ma lui andava fiero delle sue scomuniche.
L’avanguardia continuerà ad affrontare due percorsi paralleli: lo studio dell’inconscio, dell’ignoto, della profondità umana, del processo di liberazione del desiderio e l’altro, quello della rivoluzione politica. Nel 1930, con la rivista Le surréalisme au service de la révolution, si palesava l’intento e la necessità di un cambiamento radicale della società: spettava a loro - a questi intellettuali rivoluzionari, contrari a qualsiasi regime - dimostrare che l’arte poteva essere avulsa e indipendente da qualsiasi forma di governo e che poteva, così concepita, essere uno strumento indispensabile per la liberazione dell’uomo perché “si rendono conto che le sbarre della prigione in cui si dibatte l’uomo non sono state spezzate”3.
Questo proposito non era che un’utopia. In seno al surrealismo stesso, un esponente di prim’ordine come Salvador Dalì aderisce al franchismo, andando ad allargare le fila di quegli intellettuali che, per convinzione, per opportunismo o per paura, appoggiarono i regimi. Nel 1939, da un’emittente radiofonica negli Stati Uniti, Breton stigmatizza Pétain, Hitler, Mussolini e invita i giovani a non conformarsi alle idee dei dittatori, a non farsi ingannare.
Viene, così, anche ribadita l’importanza di difendere quella libertà artistica che ha nei regimi totalitari dei nemici accaniti. Non si è mai spento in Breton il senso per la rivolta, l’unica creatrice di luce. Questa luce coincide con la poesia, l’amore, la libertà.
Surrealismo e humour noir
Tutto è da fare, tutti i mezzi devono essere utilizzati per demolire le idee di famiglia, di patria, di religione4.
Si legge nel Secondo manifesto del surrealismo (1930) di Breton: è dichiarato, qui, l’intento del movimento. Per il surrealismo poesia e rivoluzione, individuo e collettività sono un’unica esigenza. Si vuol liberare l’uomo dalle due costrizioni fondamentali: da una parte la logica e la lingua; dall’altra la società borghese e i suoi principi intoccabili: patria, famiglia, religione.
Il surrealismo, infatti, si è sforzato di compiere due rivoluzioni simultaneamente, quella dello spirito e della società. La provocazione pubblica, l’anticonformismo, il senso etico della sovversione erano atteggiamenti ripresi da Dada, ma per il movimento di Breton era necessario avviare un “lavoro di ricostruzione” e, diversamente dal dadaismo, rivendicare una tradizione.
Le teorie freudiane, particolarmente la scoperta dell’inconscio e delle libere associazioni di idee, furono alla base dell’ideologia surrealista. Infatti, per Breton e il surrealismo, l’inconscio è la realtà privilegiata rispetto alla realtà cosciente. Quest’ultima è dominata dalla razionalità borghese e dalla sua cultura, dalle censure, dai tabù sessuali e morali.
Inconscio, desiderio, mondo onirico, immaginazione, sono invece, la realtà superiore, la surrealtà (termine coniato da Guillaume Apollinaire) che deve essere assolutamente liberata dalle “prigioni” della razionalità repressiva. La surrealtà è una dimensione “altra” che originariamente apparteneva a tutti, ma essendo stata rimossa o dimenticata può essere recuperata solo grazie al sogno e all’immaginazione.
Questo non significa che il surreale si opponga al reale: non si rifiuta il razionale, ma si avverte la necessità di integrarvi nuovi strumenti conoscitivi come la dimensione dell’immaginario poiché l’uomo non è solo pura razionalità. Egli apprende anche in momenti agli antipodi della conoscenza logico-razionale. La surrealtà, in cui l’uomo può conciliare sogno e veglia, coscienza e inconscio, immaginario e realtà, si costruisce attraverso la sollecitazione psichica dell’inconscio, cioè l’automatismo.
L’automatismo è l’essenza stessa del surrealismo: attraverso l’automatismo psichico ci si propone di esprimere il funzionamento reale del pensiero, in qualsiasi maniera. Ė il dettato del pensiero, in assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale. A ben vedere, la definizione di automatismo psichico coincide con quella del surrealismo stesso.
Tale automatismo si traduce, in letteratura, nella scrittura automatica scoperta da Breton, come racconta nel Manifesto del 1924, grazie ad un’allucinazione ipnagogica manifestatasi con una frase fortemente insistente, martellante nella testa. Breton e Soupault fecero degli esperimenti facendo fluire i loro pensieri sulla pagina, dando così vita a “pensieri parlati”.
Questo tipo di scrittura andava contro l’istituzione letteraria perché “aggrediva” i codici etici, logici ed estetici. Essa, infatti, rifiutava ogni possibile censura, assumendo una funzione catartica oltre che conoscitiva. In virtù di questo procedimento è possibile cogliere analogie, scoprire somiglianze fra cose dissimili.
L’analogia, l’intuizione, la rivelazione sono i nuovi strumenti di indagine. L’analogia, in particolare, è la forma privilegiata perché consente di creare associazioni imprevedibili fra le cose più lontane scoprendone, così, le vicinanze. Secondo la lezione freudiana, trovare le somiglianze riposte tra elementi diversi è una facoltà del motto di spirito; questo è una delle tante manifestazioni dell’inconscio.
Dalle suggestioni di Freud nel definire il motto di spirito come “contrasto di rappresentazione”, “senso dell’assurdo”, “stupore e illuminazione”5, il surrealismo ricava la sua nozione di “humour” o, meglio, di “humour noir”. Già per Aragon era una regola di vita, ma sarà Breton, nel 1939, ad approfondire l’argomento dimostrando che il comico va sottratto alla marginalità e che è un elemento altamente morale. Nella prefazione alla sua Antologia dell’humour noir, ne sottolinea il carattere intellettuale, la componente di rivolta e la funzione liberatoria. L’humour noir - che nasce dall’osservazione degli “opposti” - non è semplice contorno, ma un mezzo di denuncia. Se l’osservazione dei vizi umani rende di cattivo umore, l’umorista ha il dovere di convertire il malumore in buon umore.
L’umorismo nero consiste nella “condizione di sofferenza […] che passa ad una condizione di piacere”6. In tal modo, l’umorismo si sottrae a qualsiasi autorità, anche a quella religiosa, ed è capace di ironizzarci. L’umorista, infatti, non si ferma neanche difronte alla pietra tombale: la morte è un ulteriore stimolo per l’umorismo.
Questa particolarità dell’humour noir è ben delineata nel brano tratto da En rade di Huysman (è stato lui, in un’autointervista, a parlare per primo di umorismo nero) - da Breton inserito nel suo florilegio - dove vi è un capovolgimento totale della realtà: viene reso risibile il dolore umano, si ironizza sul disfacimento dei corpi e si toglie qualsiasi valore alla funzione consolatrice del sepolcro.
L’antologia bretoniana raccoglie i più disparati brani, diversi e lontani tra di loro nel tempo e nello spazio. Ciò che li accomuna sono le ossessioni tematiche: morti violente, omicidi, violenze… Con lo humour noir, Breton recupera le componenti essenziali dell’avanguardia: la provocazione, lo scandalo, la sfida, la dissacrazione iconoclasta, la trasgressione rispetto a determinati valori.
L’utilizzo surrealista dell’umorismo rientra, infatti, nella battaglia culturale di liberazione dell’uomo da ogni condizionamento repressivo, in particolare della società borghese, emblema di ottusità e meschinità. L’humour noir è critica dei mali, è una maniera politica per trasformare vita e mondo, è la “rivoluzione superiore dello spirito” (secondo la definizione di Léon Pierre Quint). Tale rivolta è inscindibile da quella linguistica poiché l’umorismo surrealista si configura come un nuovo modo di costruire il testo artistico.
Arte e humour sono gli strumenti di denuncia della condizione tragica dell’uomo e dell’assurdità del mondo. Tali assurdità sono colte grazie all’inscindibilità delle varie attività e funzioni della coscienza, dello spirito e della riflessione. Questi strumenti palesano la necessità di andare al di là della realtà, di svelarne il suo volto autentico.
È così possibile scoprire le contraddizioni insite nelle convenzioni sociali, nelle istituzioni, nei valori acquisiti passivamente. L’umorismo è, ancora, uno strumento conoscitivo della realtà, oltre che strumento di denuncia della stessa. Il concetto di humour surrealista è duplice, è molto complesso: esso ha una funzione etica positiva (nel senso che coglie gli “errori” della realtà), ma allo stesso tempo la creazione veramente umoristica induce al dubbio, alla perplessità, a un riso “turbato”, sconvolto da qualcosa che la sottende e che, inizialmente, è difficile cogliere. Talvolta si tratta di pietà, più spesso di malinconia.
L’umorismo inteso in senso surrealista, inoltre, non può essere disgiunto dal meraviglioso, dall’erranza, dal caso, dall’avventura, dall’attesa. Credo che questo tipo di umorismo sia precipuamente il segno della riflessione, della profondità di chi è triste, malinconico, di chi -secondo la teoria umorale ippocratea- ha uno squilibrio della bile nera. L’umorista nero penetra la vita, scava la terra, ammantando di “comico” il nero, la violenza, la solitudine, il dolore, la morte.
Il surrealismo nelle arti figurative e l’esposizione al Centre Pompidou
Le arti figurative seguono, ovviamente, i dettami dei Manifesti, concretizzando, attraverso le varie forme d’arte, gli ideali di libertà, lo humour, lo humour noir e le provocazioni espresse a parole. Le opere di Hans (Jean) Arp, Max Ernst, Marcel Duchamp, Francis Picabia, Man Ray, Yves Tanguy, André Masson, Salvador Dalì, Joan Mirò, René Magritte, Leonor Fini ed altri sono permeate - seppur con la soggettiva sensibilità - dagli stessi motivi che sono alla base di tutto il pensiero surrealista. L’inconscio, il paradosso, la provocazione (spesso gratuita, anche in ambito sessuale), il voler elevare a bello anche ciò che in apparenza è mostruoso sono caratteristiche precipue delle opere surrealiste cui “Surréalisme. Le surréalisme d’abord et toujours” al Centre Pompidou ha reso pienamente omaggi con la mostra temporanea dal 4 settembre 2024 al 15 gennaio 2025.
L’esposizione, strutturata come un labirinto - evocazione del Minotauro surrealista (scultura e titolo della rivista) - accoglie i visitatori in un ingresso alle cui pareti sono riprodotte delle grandi “foto tessera” dei più rappresentativi esponenti surrealisti (tre per ognuno) per poi avviarsi in una grande sala circolare dove viene proiettato un documentario molto sintetico ed efficace sulle origini e lo sviluppo del movimento. Al centro della stanza una grande teca circolare che conserva il manoscritto di André Breton del primo Manifesto (ottobre 1924), prestato a titolo eccezionale dalla Bibliothèque National de France.
La mostra-labirinto si articola in tredici tappe (o capitoli) che ripercorrono tutta la storia del movimento, senza tralasciarne influenze e retaggi culturali:
Entrata dei medium (Entrée de mediums è il titolo dell’opera di Breton), a rimarcare che la figura dell’artista coincide con quella del veggente.
Traiettoria del sogno: l’opera di un artista non può essere, in una maniera o nell’altra, scissa dall’esperienza di vita. Quando fu assistente al centro di neuropsichiatria di Saint-Dezier, Breton scopre l’interpretazione dei sogni dei malati psicotici a scopi educativi, ciò che aveva anticipato Freud: così la psicoanalisi viene applicata alla poesia e a tutte le arti. L’interesse del surrealismo è suscitare quella meraviglia che si crea al margine del sogno. E non poteva mancare qualche fotogramma de Io ti salverò (1945) di Hitchcock, tutto giocato sulla psicoanalisi freudiana, dove un sofferente Gregory Peck deve fare i conti con i suoi terribili incubi, magistralmente rappresentati dalle scenografie di Salvador Dalì.
Macchine da cucire e ombrelli: in questa sezione tutte le opere ispirate alla strana e straniante bellezza che Lautréamont trova “nell’incontro fortuito tra una macchina da cucire e un ombrello su un tavolo di dissezione”.
Chimere: le figure tanto amate dai surrealisti per la loro forma composita. Leone davanti, serpente dietro e capra in mezzo, ricordano loro una figura che sembra essere uscita da un collage, composizione tanto amata (come dai dadaisti).
Alice: Elogio dell’Alice nel paese delle meraviglie di Carroll, per il surrealismo il trionfo del non sense, del meraviglioso e dell’assurdo. Ma anche il ritorno all’infanzia.
Mostri politici: è con l’ascesa dei regimi totalitari che gli artisti aboliscono la scissione tra creazione ed impegno politico.
Il regno delle Madri: ispirato da Goethe. Qui viene mostrato come il surrealismo non abbia mai finito di indagare la nascita e il mistero della creazione del mondo.
Mélusine: personaggio dei miti indo-europei, metà donna e metà serpente, è emblema del sentimento di fusione con la natura.
Foreste: labirinto naturale che ricorre in tantissime opere. “La foresta diventa per i surrealisti il teatro del meraviglioso, la metafora […] del percorso iniziatico”7.
La pietra filosofale: apologia dell’alchimia e dell’occultismo, altre vie della conoscenza, dell’intuizione, della scienza, della poesia.
Inni alla notte: la notte è mistero, è stupore, è la potenza dell’immaginazione e dell’inconscio. È il momento deputato per una conoscenza altra.
Le lacrime d’Eros: l’erotismo e la sua decantazione sono caratteristiche insite in tutte le opere surrealiste, sia letterarie che figurative.
Cosmo: la fine, l’uscita da questo grande labirinto accogliente che incanta ci prende la mano con la concezione che l’uomo è il centro dell’universo. A ben pensarci la teoria di Pico della Mirandola scevra, ovviamente, di qualsiasi connotazione divina.
Il movimento surrealista, oltre che rivoluzionario, è stato spesso considerato anche ostico per le varie tematiche affrontate a tutti i livelli. Vedere una scolaresca delle Scuole Elementari, seduta per terra, rispondere felicemente alle domande di un’insegnante su come è strutturata una mostra in generale e sul significato di questa in particolare, credo sia l’omaggio più bello e più alto che si possa offrire al Surrealismo nel suo centenario; non dimenticando la giovane poetessa Gisele Prassinas che incarna il genio poetico che il Surrealismo attribuisce all’infanzia.
Ė la dimostrazione che tutto può essere fruibile, che i bambini possono e devono essere educati all’arte. La loro meraviglia si è mischiata al mio stupore, là, dove tutto è nato.
Note
1 Maurice Nadeau, Storia e Antologia del surrealismo, traduzione di Marcello Militello, Mondadori, Milano 1980, p. 54.
2 Op. cit., p. 75.
3 Op. cit., p. 33.
4 André Breton, Manifesti del Surrealismo, Piccola Biblioteca Einaudi, Saggistica letteraria e linguistica, Torino 2003, p. 68.
5 Sigmund Freud, Il motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio, Boringhieri, Torino 1975, p. 35.
6 Giovanna Angeli, Surrealismo e umorismo nero, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 24.
7 Citazione da dépliant dell’esposizione.