Siamo tornati allo smart working, una condizione di lavoro che può anche avere dei lati buoni, ma che ci mette tutti un po' a soqquadro, portando anche parecchi rischi nella nostra vita.

Il primo ha a che fare con l'equilibrio, perché lo smart working ha messo sotto sopra quelle che erano le nostre abitudini, i nostri tempi e la nostra organizzazione, chiedendoci di allestire una vera e propria postazione di lavoro in casa.

Vicino al forno ci ritroviamo la stampante e il portatile tra un po' rischia di fare capolino sul comodino, con buona pace della nostra casa, che da rifugio e luogo di intimità è diventato non solo ufficio, ma anche palestra, scuola, ristorante...

Insomma, una grande confusione, in cui rischiamo di sentirci infelici (e molto altro) a causa del disequilibrio che può nascere nei nostri quattro neurotrasmettitori della felicità, in particolare di due che si chiamano dopamina e ossitocina.

Le ultimissime ricerche scientifiche rivelano, infatti, quattro sostanze chimiche ben precise, quattro ormoni che sono responsabili della nostra felicità e che possono essere racchiusi nell'acronimo Dose: dopamina, ossitocina, serotonina ed endorfine.

Oggi parliamo della dopamina e dell’ossitocina.

La dopamina è conosciuta come la sostanza chimica del desiderio e della motivazione.

È la ragione della soddisfazione che proviamo dopo che abbiamo finito un compito importante, raggiunto un obiettivo o completato un progetto, o anche solo una parte di esso.

Sappiamo tutti quanto sia bello cancellare qualcosa dalla nostra lista delle cose da fare. Quella soddisfazione, quasi un piacere euforico, di aver fatto un progresso è dovuta principalmente alla dopamina.

Ora, in modalità smart working corriamo diversi rischi legati alla dopamina. Penso, ad esempio, a quello di voler fare mille cose assieme per poter progredire nel lavoro e magari avere più tempo per sbrigare le faccende che ci aspettano.

Faccende che ci sembrano non finire mai, soprattutto se abbiamo i figli a casa con la didattica a distanza, i genitori anziani da accudire e, per non andare tanto lontani, gli impegni pratici di ogni giorno a cui far fronte.

Corriamo e cerchiamo di fare mille cose, aumentando la dopamina ogni volta che completiamo qualcosa (magari fatta al volo e non bene come vorremmo) ma con il rischio di bruciare un mare di forze fisiche, emotive e psicologiche.

Un altro rischio della dopamina è che crea una fortissima dipendenza e talvolta ci porta a rafforzare abitudini che non solo non ci aiutano a realizzarci, ma che minano la nostra salute psicofisica o addirittura la nostra sopravvivenza.

In questa categoria rientrano anche i social media. Infatti, il richiamo dei nostri telefoni che ci dicono “Hai un messaggio” è molto potente. Abbiamo associato la sensazione di rilascio di dopamina alla ricezione di un testo o di un’e- mail. Il pensiero inconscio di sottofondo infatti è: “Ooh, qualcosa per me, qualcuno mi cerca”, legato anche a un altro aspetto basilare della dopamina che è l’elemento sorpresa, l’incertezza di cosa conterrà quel messaggio.

Ecco che il richiamo “il rumore del messaggio” insieme all’incertezza e alla curiosità diventano uno stimolo irresistibile.

In modalità smart working, farci risucchiare social, continuare a controllare i messaggi e le notifiche per verificare se qualcuno ci ha scritto, chiamato ecc. crea dipendenza e ci fa perdere un mare di tempo, scombussolando le nostre giornate e per lo più stancandoci, senza che delle volte ce ne rendiamo conto.

Cosa fare allora? Per riequilibrare il nostro livello di dopamina occorre sfatare il mito del successo chiediamoci allora: Come misuro la mia vita? Cosa significa successo per me? Cosa deve accadere perché io possa sentire che la mia vita è di successo? Farsi questa domanda significa capire esattamente quando è il momento di fermarci ad assaporare il momento di soddisfazione ed essere felici del traguardo raggiunto. Evitando di cadere nella trappola del “non è mai abbastanza”.

E ora veniamo all'ossitocina.

L’ossitocina è alla base di quella sensazione piacevole che proviamo quando siamo in compagnia di qualcuno che amiamo, con cui abbiamo creato uno stretto legame, o di cui sappiamo che ci possiamo dare. Ci dà un senso di appartenenza e ci ispira a voler lavorare per il bene della comunità. Per questo, si dice che l’ossitocina crei intimità, fiducia e aiuti la costruzione di relazioni stabili, forti e sane.

Bene, e come si fa ad avere a disposizione ossitocina, se magari siamo tutto il giorno soli davanti a un computer in modalità smart working? Se le uniche persone con cui ci relazioniamo sono i colleghi che magari sono iper stressati e con il loro comportamento abbassano ancor più i nostri livelli di ossitocina?

Puoi capire quanto lo smart working possa essere rischioso per la nostra felicità, ma la splendida notizia è che noi per primi possiamo fare qualcosa di concreto per capovolgere questa situazione e tornare finalmente ad essere felici.

Come stimolare l’ossitocina? In un mondo in cui guardiamo più i nostri telefoni che le persone che ci circondano, c’è un elemento chiave che ci aiuta a connetterci con gli altri esseri umani. Riesci a ricordare un tempo in cui qualcuno è stato gentile con te? Come ti ha fatto sentire? Noi saliamo sollevando gli altri. Fare del bene fa bene non solo a chi lo riceve ma anche a chi lo pratica. Un sondaggio del 2010 della Harvard Business School sulla felicità in 136 Paesi ha rilevato che le persone altruiste - in questo caso, persone generose dal punto di vista finanziario, ad esempio, con donazioni di beneficenza - sono state nel complesso più felici.

Pratichiamo atti di gentilezza a casaccio, perché la gentilezza riunisce le persone, migliora l’umore e aumenta la felicità.

In più, l’ossitocina è stimolata dal tocco, dall’abbraccio che ora vengono a mancare. In questo momento di distanziamento sociale, un’alternativa per mantenere l’ossitocina in circolo è guardarsi negli occhi e sorridersi, anche con addosso una mascherina. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima e questo semplice gesto ci permette di connetterci a un livello più profondo con le persone.