17 dicembre 2020

Ieri, nel primo pomeriggio, sono andata al Parco della Pace con Valeria, la mia fotografa preferita e Gigi. Volevo che Valeria scattasse fotografie al mosaico pavimentale L'Albero della Vita di Mimmo Paladino, realizzato da ex allieve e allievi dell'istituto d'arte per il mosaico 'Gino Severini' di Ravenna.

Nel Parco della Pace non è il solo mosaico, eppure è quello che ha scatenato nella mia mente la volontà potente di indagarne i contenuti, di contraccambiare, di conversare con lui e tentare risposte. La mia passione per gli alberi ha radici lontane. Non conoscevo ancora Italo Calvino e il suo Barone rampante che già trascorrevo i pomeriggi estivi nel giardino dei nonni nella mia casa in cima al grande abete. Gli alberi erano Dei, scesi dal cielo per renderci felici e qui, sotto i miei piedi, c'è l'Albero della Vita: un albero disteso a terra che si dona. E come accade nella realtà contiene il bene e il male, la bellezza, l'inquietudine, la paura. Mi ricorda l'Angelus Novus di Paul Klee. Anche qui il passato, con le sue immagini primarie, è l'altra faccia del presente - è il presente che genera dal suo interno il proprio passato - come lo stiamo vivendo ora.

Parto con la scrittura e con un po' di storia perché L'Albero della Vita non è collocato nel nulla. Attorno a sé altre opere monumentali di artisti italiani ed europei realizzate a mosaico da maestranze ravennati, fanno di questo parco un museo all'aperto e uno dei primi musei che con la raffigurazione della pace e con le diverse nazionalità degli artisti racconta la volontà di una Europa unita nell'arte. Ne parlerò ancora e più a lungo onorando anche Isotta Fiorentini Roncuzzi, una grande donna, che con tanta passione ha voluto e seguito la realizzazione del parco.

Elena Pagani, una mia amica, che insegna progettazione e laboratorio di mosaico, ha collaborato alla realizzazione del "cartone" di Paladino. Ecco un brano del suo intervento sul settimanale Ravenna e dintorni del 2019:

... erano gli anni ‘80. Gli stessi anni in cui si realizzavano i grandi mosaici per il Parco della Pace. Un momento aureo per il mosaico contemporaneo, con iniziative di stampo ravennate, grazie all’entusiasmante tenacia di Isotta Fiorentini Roncuzzi. Tantissimi i mosaicisti ravennati coinvolti. Alcuni partirono per raggiungere gli artisti all’estero, nei loro rispettivi studi per dare il loro contributo alla stesura dei progetti e realizzare parti dei mosaici. Esperienze uniche come la collaborazione con Edda Mally. A Ravenna, in un laboratorio allestito temporaneamente all’interno di Palazzo Verdi in via Pasolini, un gruppo di 15 giovani ex-allievi dell’Istituto d’Arte realizzano il grande mosaico dell’Albero della Vita, su “cartone” di Mimmo Paladino. Era il 1986. Il progetto misurava 30 x 42 cm. Fu un lavoro di squadra immenso, oltre ogni individualismo: 300 metri quadrati di mosaico pavimentale. Un confronto a più mani con la guida dei maestri mosaicisti e un momento di aggregazione importante che ha segnato il percorso di molti della mia generazione, rimasti legati all’ambiente del mosaico.

...che' la diritta via era smarrita

Il parco si trova a circa un chilometro dal centro della città. È circondato da edifici scolastici e da abitazioni. Potrebbe essere un luogo ricco di iniziative culturali e artistiche.

Invece niente di niente. Il nulla, il vuoto, l'assenza, l'oblio.

Nessuna indicazione, i nomi degli artisti non si leggono più. Neanche un turista! Questo itinerario deve essere ignorato anche dalle guide della città. Assente una bacheca che ne descriva le origini e le ragioni artistiche e umanitarie.

Solo qualche passante che, attraversandolo, accorcia la strada. E soprattutto i mosaici da lungo tempo chiedono aiuto, perdono tessere e il mio preferito è traballante. Da poco tempo sono iniziati i restauri, ma è già tutto fermo.

È vero. È inverno.

È vero. C'è la pandemia. Ma credo che i problemi siano altrove. Ravenna è una città distratta. È sempre altrove. Raramente si trova nel luogo e nel tempo giusto per vedere i suoi artisti, custodi e innovatori, impegnati a tenere in vita la sua vocazione musiva e riportarla agli antichi splendori, rinnovata e attenta all'arte e alla cultura contemporanea.

Questo racconto esce il primo gennaio 2021, l'anno del settimo centenario della morte di Dante.

Ravenna sta come stata è molt'anni...

La citazione è nel canto ventisettesimo dell'Inferno. Vorrei dire a Dante che nel frattempo la nostra città, oltre che immobile, è anche inconsapevolmente dolente perché sta precipitando nel vuoto e nel nulla. Ma ignora ciò che le sta accadendo.

L'improbabile in cerca di mistero continua a occultare la sua millenaria vocazione mortificando e ignorando le opere e gli artisti che le hanno donato e le stanno donando - perché di doni si tratta - grazia e bellezza. In quale girone infernale sta affondando questa città che continua ad andare a tentoni in reciproche cecità?

Ritorno alla mia esperienza.
Ho iniziato a conoscere il Parco della Pace portando i miei nipoti in questa zona verde per giocare: altalene, due casette di legno, attrezzi per educare il fisico.
I miei nipoti ben presto non sono più voluti venire perché non c'era nessun bambino con il quale giocare.

L'anno scorso, dopo un incidente, nelle prime passeggiate con le stampelle sono ritornata al parco sicura di non incontrare nessuno. Per questa via ha preso corpo una sacra conversazione tra me e questo spazio di bellezza e di solitudine. I primi passi incerti, si sono mossi alla ricerca del significato delle figure inquietanti dell'Albero della Vita.
In quelle ore sono stata una donna privilegiata.
Io e il luogo degli Dei.
Sola.

Intorno a me alberi maestosi che incorniciano opere musive di grandi artisti. Di fronte alla bellezza ripeto spesso che si tentano risposte e condivisioni. Così ho iniziato a invitare al parco amici e amiche; tra queste Diletta che vive spesso a Milano. Lì, al Teatro Franco Parenti diretto da Andrée Ruth Shammah, sviluppa le sue esperienze teatrali. È la prima alla quale ho parlato del desiderio di scrivere un soggetto tutto rivolto all'Albero della Vita e le ho chiesto se fosse interessata a realizzarne la regia. Ho sentito la necessità di avere, vicina, l'azione di un'artista molto più giovane di me. Mi interessava e mi interessa vedere se esperienze così diverse possono incontrarsi. Non so che piega prenderà questo nostro lavoro. Diletta sparisce poi ritorna e io riempio questi vuoti girando in tondo. Sì, girando intorno all'Albero della Vita. Sono diventata, con qualche distrazione di troppo, la sua custode. Infatti, gli sono stata lontana un mese e sicuramente ho combinato un guaio. Me ne sono andata a seguire i tappeti che le foglie, ancora cariche di colore e di luce, formano lungo i viali, nei campi, nei giardini, nei parchi. Nei parchi, appunto. Mi sono persa nello splendore delle foglie appena cadute nella sponda del fiume e ho dimenticato il tappeto che ricopriva l'Albero della Vita.

Così, quando ieri con Valeria e Gigi sono arrivata al parco, l'albero, con tutte le sue creature, era ricoperto da una coltre di foglie già spente pronte a tornare definitivamente alla terra.

Che sia un segno?

Con i miei passi ho cercato di svelare quello che c'era sotto. E mentre creavo sentieri di colore ho pensato che avrei potuto ridare luce all'albero realizzando un evento, possibile solo in questo autunno inoltrato. Continuando poi a liberare rami, figure, volti, pesci, un pavone, ho sentito che è necessario abbandonarsi al tempo, rispettarne i ritmi. Avrei voluto con me anche Diletta. Quando l'ho sentita mi ha ricordato che mi aveva parlato di coprire l'albero e poi scoprirlo: dalla morte alla vita. Questo è stato sin dall'inizio il suo pensiero. Dati i tempi, io sostenevo il contrario. Forse pensavamo in astratto. Pensavamo di realizzarlo in estate e l'estate ha altri elementi di verità. Questi sono solo pensieri suggeriti dallo stato di melanconia creato da questa stagione così vicina all'inverno, ma i pensieri strada facendo, mutano.

Qui non si misura il tempo... Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz'apprensione che l'estate non possa venire. Ché l'estate viene. Ma viene solo ai pazienti...Io imparo ogni giorno.

(Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta)