I musicisti bolognesi registrano dal vivo in una torre medievale un pugno di nuove canzoni, tra cui tre brani dei primi Pelican Milk.

Instancabile Savelli. Dopo il lavoro in duo – ma con tanti ospiti – insieme a Massimo Manzi, ti congiungi al trio No Stress per una nuova produzione. Rispetto a Gettare le basi la prima cosa che balza all’occhio è la formazione stabile e definita.

Sì, una situazione nuova, conseguenza naturale di una forte amicizia nata e consolidata nel corso degli ultimi due anni. Passioni in comune come il buon cibo, la musica, l’arte, la poesia, l’ironia hanno creato il terreno fertile per questa collaborazione che, dopo tanto tempo, mi ha restituito il sapore originale di una vera band, fatta di elementi che, ancor prima di suonare, godono del tempo che trascorrono insieme. Penso che questo al giorno d’oggi sia molto raro e possa ancora fare la differenza.

Quando sento parlare di superband mi viene sempre in mente una metafora di un caro amico: se metti insieme cinque grandi falegnami è ovvio che faranno un bel tavolo, ma lo spirito di una band è tutt’altra cosa, non si può comprare in quanto non ha prezzo.

Doing Nothing è un disco rock con caratteristiche marcate e sorprendenti. La prima: un live in studio. Come mai la scelta della presa diretta, senza finzioni?

Abbiamo scelto tutti brani che ci saremmo divertiti a suonare live, è stato il must di questa produzione insieme al già citato spirito di band e mi è sembrato normale puntare su una presa diretta per trasmettere a pieno questi messaggi sani, in un’epoca in cui sono tutti bravissimi a fingere e la tecnologia offre infinite possibilità per nascondere i propri limiti e sembrare qualcun’altro. Abbiamo messo sul piatto pregi e difetti perché eravamo certi che i primi avrebbero prevalso sui secondi.

La seconda caratteristica dell’album è la sua fisionomia rock che prescinde da generi, correnti, sfumature e altro. Rock tutto d’un pezzo, verrebbe da dire, nonostante poi le provenienze tue e dei NoStress.

Sicuramente è un album rock ma in senso molto lato. Lo stile dei NoStress mi è sempre piaciuto quando li ho sentiti fare loro i brani di altri e la scelta di un album acustico arrangiato assieme a questa band è stata vincente; un disco rock di canzoni ma di facile ascolto proprio perché ha in sé il calore di una situazione acustica e la verità e l’energia del live.

Altro elemento decisivo: il ritorno a certe sonorità Pelican Milk. Come mai hai deciso di riprendere tre brani della tua storica band?

Avevo già in mente, dopo la produzione Savelli/Manzi, di realizzare un disco acustico con chitarra e voce; non sapevo bene di che tipo, se un album di cover, editi, inediti, un disco misto… La sola cosa che sapevo è che, essendomi trasferito in una torre medievale un anno fa come naturale evoluzione del mio percorso di vita e artistico iniziato con Gli Arroccati, volevo incidere un disco acustico in mezzo a quelle pietre antiche e quei legni caldi, su quelle colline. Abbiamo scelto i brani insieme suonando all’aperto dopo splendidi pranzi e cene estivi, abbiamo scartato molto per arrivare all’attuale scaletta. I brani dovevano essere stimolanti per tutti, questa era la prerogativa fondamentale, è stato un processo condiviso dall’inizio alla fine.

A proposito di band, che sono organismi delicati che si muovono tra equilibri, contrappesi e osmosi varie, quanto hai assorbito dai NoStress e quanto pensi che loro abbiano preso da te?

Avendo deciso di suonare insieme molto tempo dopo che ci eravamo conosciuti, è stata una cosa naturale e non una operazione commerciale decisa a tavolino: visto che ci piaceva veramente trascorrere tempo insieme potevamo anche suonare insieme. Penso che lo scambio sia stato reciproco come la soddisfazione; io ho messo a disposizione la mia esperienza di songwriter e di produttore artistico, loro hanno una perizia musicale e un gusto nell’arrangiare che sono stati preziosissimi. Penso che abbiamo imparato tutti divertendoci e questa è già una soddisfazione importante e un dono raro.

Il mastering è stato realizzato a Los Angeles da una vecchia conoscenza del mondo hard & heavy: Alex Elena, che tanti ricordano alla batteria con un certo Bruce Dickinson (e non solo)… Come mai questa collaborazione?

Io e Alex ci siamo conosciuti a Londra nel 1994 e abbiamo avuto modo di improvvisare spesso insieme negli anni successivi, è stato un personaggio molto importante per la mia formazione musicale oltre che un amico. Ci siamo persi di vista a causa del suo spostamento in America e ci siamo tornati a sentire di recente. Avevamo deciso insieme a NoStress di masterizzare il disco all’estero ed eravamo indecisi tra Abbey Road o altri studi inglesi e americani; appena Alex mi ha detto che era disponibile non ho avuto esitazioni, per la sua bravura come produttore, per una vasta cultura musicale che ci accomuna e per la sua sensibilità artistica che va ben oltre la musica (Alex Elena è tra le altre cose anche un ottimo fotografo). Ero sicuro che avrebbe aggiunto valore al nostro lavoro e così è stato!

Sei autore delle musiche ma anche dei testi: ogni brano tratta un argomento a sé o c’è un filo conduttore?

Sono autore di tutte le musiche e testi a parte The Seaside First, la cui musica è stata scritta da Paul Lapiddi mentre io ho curato il testo di Would You Kill Me? di cui io ho scritto la musica e Ivan Paci il testo. Mi piaceva l’idea di realizzare un album di storie e non mi sono preoccupato di raggrupparle per significato ma alla fine, come spesso accade, un filo le collega tutte e tutte trovano un senso all’interno del disco. Sono canzoni che parlano di storie d’amore andate male, di altre che resistono nonostante i mille problemi, di ambientalismo, di inerzia collettiva e di scelte che devono riportarci al senso profondo dell’esistenza e richiedono il coraggio di tutti.

Tutti i testi hanno assunto un significato ancora più potente e vero a causa dell’epoca che stiamo vivendo, anche gli stessi brani di Pelican Milk di vent’anni fa (The Secret, Days e See You Later) si sono dimostrati estremamente attuali e significativi se riproposti in questi giorni.

Doing Nothing esce per l’appunto in un momento difficile per chi fa musica, soprattutto per chi come voi ha vissuto profondamente nel live: come affronterete questo periodo?

Doing Nothing nasce prima della complessa situazione attuale ed è pensato per il piacere dei musicisti che lo suonano e del pubblico che lo ascolta, lo abbiamo inciso alla fine di dicembre e mixato in gennaio appena prima delle restrizioni dovute al virus. Nessuno sa cosa accadrà ma dovremo tornare alla normalità e dovremo tornare a stare insieme, abbracciarci, suonare, cantare, ballare come non ci fosse un domani e questo disco ha proprio il sapore del piacere di stare insieme e dell’importanza della condivisione. Come tutte le mie produzioni anche questa non è legata alle mode e alle tendenze del momento e quindi non teme il tempo ma con esso convive in armonia. Proprio per questi motivi non c’era momento migliore per far uscire Doing Nothing.