Qualche anno fa, dopo aver visto Midnight in Paris di Woody Allen, sono corso in libreria a comprare Autobiografia di Alice B. Toklas di Gertrude Stein, motore narrativo che di certo ispirò la sceneggiatura del film e la cui lettura consiglio vivamente, per immergermi negli anni venti di una Parigi popolata da Matisse, Apollinaire, Picasso ed Hemingway tutti dediti a roteare vorticosamente attorno alla dimora della eccentrica scrittrice e collezionista d’arte. Contemporaneamente alla lettura però mi ronzava così insistentemente in testa il motivetto trainante della colonna sonora che ho dovuto mettermi a cercarlo su internet e scoprire essere Bistro Fada del chitarrista francese Stephane Wrembel. È un brano di genere manouche che accompagna come un leit motiv tutte le scene principali.

Chi mi conosce sa che amo sognare a occhi aperti, un po’ come il protagonista di Midnight in Paris, e quella volta l’ho voluto fare in grande: tentare la scrittura di un brano per due chitarre che riecheggiasse lo stesso stile di Bistro Fada ma che strizzasse contemporaneamente l’occhio al progressive rock, genere del quale sono da sempre appassionato. L’impresa potrebbe sembrare assurda ma mai come quella di volerne girare qualche tempo dopo il videoclip nel refettorio del Monastero della Stella, uno dei luoghi simbolo del recupero di un patrimonio artistico in provincia di Cuneo. Però andiamo con ordine.

Dopo aver ascoltato e riascoltato il pezzo di Wrembel l’idea del brano da scrivere mi è nata contemporaneamente al titolo, che doveva essere ‘manus’, vocabolo latino che significa mano ma anche mani (è della quarta declinazione); volevo ricreare un gioco di parole che facesse capire il senso del titolo solo dopo l’ascolto del pezzo. Spostando l’accento la parola diventa manùs il cui suono assomiglia al termine francese manouches che indica il gruppo etnico dei Sinti. Trattandosi di musica però è evidente il riferimento a un particolare stile portato in auge negli anni ’30 a Parigi dal leggendario chitarrista Jean “Django” Reinhardt e poi esportato in tutto il mondo. Si tratta di un genere molto swingato che fa uso di melodie orecchiabili estremamente abbellite con mordenti e note di passaggio che richiedono una tecnica raffinata e un virtuosismo notevole.

La musica che lentamente stava prendendo forma in apparenza era un valzer della più classica tradizione manouches ma a tratti mi divertivo a condirla di elementi estremamente irregolari: la cadenza in tre quarti, ballata e apprezzata in tutto il mondo, fu presto intervallata da battute in sette ottavi che rendono il pezzo estremamente zoppicante e difficile da eseguire, una vera sfida lanciata al variegato mondo dei chitarristi acustici.

Una volta completato il tutto, per ottenere il giusto risultato era necessaria la mano di un professionista del settore, uno che avesse sì dimestichezza con il genere manouche ma che non disdegnasse la sperimentazione o fosse contro le contaminazioni musicali; chi rispondeva a queste caratteristiche era (ed è) Luca Allievi, noto chitarrista piemontese che, dopo aver analizzato lo spartito e averne decretata la fattibilità, è riuscito in una impresa assai complessa: registrare il brano sia come accompagnatore sia come solista. Come già detto, l’estrema irregolarità e la notevole velocità di esecuzione fanno sì che mantenere il tempo corretto durante la sessione di registrazione dell’accompagnamento (anche con l’ausilio di un supporto metronomico) sia molto complicato ma assolutamente indispensabile per potersi poi sovraincidere al momento dell’esecuzione melodica. Il risultato è stato notevole e affascinante e, grazie alla maestria di Allievi, non ha richiesto più di una decina di takes.

Fatto ciò il prodotto era finito e pronto per la distribuzione ma il sogno era solo a metà, volevo che Manus fosse supportato da un videoclip e che quella musica risuonasse in un luogo di sicuro effetto acustico e di impatto visivo: esiste a Saluzzo, splendida città d’arte in provincia di Cuneo, un piccolo scrigno di bellezza conosciuto come Monastero della Stella. Originariamente il monastero femminile di S. Maria fu fondato nel 1219 a Rifreddo da Agnese, figlia di Manfredo II Marchese di Saluzzo ma dal XVI secolo venne trasferito a Saluzzo; si sa che questa chiesa fu edificata sul disegno di Fra Giacinto Poncino, converso domenicano, ma non si conosce la data precisa. Mons. Morozzo, vescovo di Saluzzo dal 1698 al 1729, pose la pietra fondamentale della chiesa oggi visibile che venne dedicata a Santa Maria della Stella.

In questo monastero, per permettere alle monache la partecipazione alle sacre funzioni, gli ambienti di clausura, presenti sia al piano terreno sia al piano primo, si affacciavano sulla chiesa per mezzo di finestre con grate e tende, ancora attualmente visibili e di grande suggestione. A partire dalla seconda metà del ‘900 il complesso subì un lento abbandono e un conseguente degrado ma nel 2007 la Fondazione Cassa Risparmio di Saluzzo lo acquistò e dopo alcuni anni iniziò l’intervento finalizzato al recupero e alla sua riconversione in un centro polifunzionale per eventi culturali, conferenze, concerti, esposizioni e mostre.

Quello sarebbe stato il luogo ideale non solo come location in un ambiente architettonicamente e storicamente prestigioso ma anche fornito di un apparato tecnologico all’avanguardia: il refettorio delle monache è diventato la sala confe¬renze del Monastero ed è dotato di un sistema di proiezione video immersivo affidato al NEC PX1005QL, laser al fosforo da 10.000 lumen con risoluzione nativa Ultra-HD 4K e di due NEC PA803UL per proiettare contenuti con 18 metri di base sulle pareti laterali. Questa incredibile tecnologia a servizio dell’arte avrebbe permesso di calare la mia musica in uno sfondo spettacolare: grazie alla disponibilità di Michele Scanavino, segretario generale della Fondazione e al contributo economico della stessa, il regista saluzzese Andrea Leonessa ha potuto sfruttare tutti i sistemi di proiezione del Monastero per ricreare, modificando filmati originali della NASA, un cielo stellato sulla volta del refettorio; l’idea concettuale del regista, una volta saputo il titolo del brano, è stata infatti quella sottintesa ma essenziale che lo spettatore fosse parte di un tutt’uno sotto l’immensa volta stellata, frutto della mano creatrice divina.

Essendo il brano scritto per due chitarre ho voluto che il videoclip fosse registrato non solo da Luca Allievi ma anche da Enrico Gosmar, bluesman piemontese di chiara fama e chitarrista della storica band Lou Dalfin. Il 6 maggio 2025, giorno del mio compleanno, il sogno è diventato realtà ed è uscito sui principali stores digitali Manus, Ep contenente anche una versione del brano completamente stravolta e trasformata in musica elettronica che si può ascoltare sui titoli di coda del videoclip.