Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Milena Sgambato (Assemini CA, 1970).

Il colore. Il colore che scorre. Morbidamente. E forgia presenze. Oppure le graffia, qualche volta le accenna. Definisce spazi, oppure li annulla. Ma il colore è carne della pittura. E costruisce mondi. Accompagnato dal pennello, modellato dal pennello, trasla ciò che l’artista sente in quello che vede. È questo che accade nei dipinti di Milena Sgambato, che con una tecnica a metà strada tra Munch e la Dumas, rielabora il mondo reale con pennellate che educano ad una nuova sintesi della realtà. Una sintesi tra quello che accade fuori e quello che la pittrice riamalgama attraverso il proprio filtro emozionale. Insegnandoci che, per raccontare del mondo il più intimo battito, non occorre riprodurne fotograficamente i dettagli. La pittura, il battito più intimo del mondo, sa afferrarlo e trasporlo facendo del colore soltanto, il suo strumento. E il colore, usato con una tecnica sintetista e simbolista alla Gauguin, può ghermire frammenti delle contemporaneità e restituirceli su altri piani di lettura.

Il modus operandi di Milena Sgambato è questo. Portare la realtà su nuovi piani di lettura attraverso l’uso, spesso arbitrario, del colore. Di un colore che parla la sua lingua. Milena Sgambato vive e lavora a Milano. Questa è la sua voce creativa per voi.

Chi è Milena?

Un essere umano con mille passioni, troppe per una vita sola!

Dove ti rifugi quando hai bisogno di ritrovarti?

Mi sono sempre rifugiata nella musica e continuo a farlo anche adesso. La musica ha il potere di rendere più sopportabile un momento di malinconia e di amplificare qualsiasi emozione! È una droga. Quasi tutti i miei quadri sono nati ascoltando musica, qualsiasi cosa io faccia ci sono sempre delle note e parole che mi accompagnano.

Cos’è, per te, la bellezza?

È un segreto svelato.

E cos’è, per te, la pittura?

Il mio grande e incondizionato amore. Se penso alla pittura penso a qualcosa di eterno, che possa parlare a tutti, sempre, in ogni epoca con un linguaggio universale. Mi rimanda a un archetipo primordiale, ancestrale, mi fa sentire in connessione con l’origine, il principio dell’uomo è un gesto fisico oltre ad essere intellettuale, per dipingere basta poco, una tela e dei colori, per altre forme d’arte c’è bisogno di una tecnologia più sofisticata. Essere una pittrice è come portare avanti un messaggio antico, più volte ne è stata decretata la morte invece siamo nel 2020 ed è più viva e pulsante che mai.

Un libro che ti ha cambiata.

Ce ne sono un’infinità, amo molto leggere e un libro lo trovo valido proprio quando produce un cambiamento, quando ti fa vedere il mondo sotto una luce diversa, in un certo senso ti illumina. Cito Il codice dell'anima di James Hillman, l’allievo di Jung che ha portato avanti il suo pensiero in maniera determinata. Il libro si focalizza sulla teoria della ghianda, la quale afferma che ognuno di noi ha un’immagine, carattere, genio, vocazione, da seguire per realizzare la propria natura.

Concordo! Il codice dell’anima è un libro che ha illuminato anche me. Invece… una canzone che ti culla.

Il suonatore Jones di De André, tratto da una stupenda poesia di Edgar Lee Masters. La amo perché è l’espressione autentica e sincera di un artista che ha vissuto liberamente il suo talento, arrivando al termine del suo viaggio con tanti ricordi e nemmeno un rimpianto.

Il dipinto dentro al quale vorresti passeggiare.

La Venere di Botticelli. Ci ho già passeggiato un’infinità di volte. L’incontro con la potenza dell’amore, con la bellezza nelle sue imperfezioni. La meravigliosa nascita della natura. Che stupisce ogni volta che si rinnova.

Un o una artista che avresti voluto conoscere e frequentare.

Sicuramente Marlene Dumas, è bravissima, mi sono ispirata moltissimo a lei quando ho iniziato a dipingere. Credo che abbiamo degli interessi in comune. Forse un giorno la conoscerò.

Un o una artista che avresti voluto esser tu.

Non ho mai voluto essere un’altra persona, cerco di impegnarmi in quello che faccio, di realizzare quella che sono, o almeno di provarci. Di persone che stimo molto e che mi hanno fatto crescere, ce ne sono tantissime, te ne cito due: Rita Levi Montalcini, non è un’artista, ma è una donna che mi ha insegnato tanto e Leonardo Da Vinci.

Quando hai iniziato a dipingere?

Tardissimo, sono un caso raro, forse unico. La passione per l’arte l’ho avuta sin da bambina ma ho fatto altri studi: il Liceo Scientifico, Scienze Motorie, specializzazioni varie, poi finalmente mi sono iscritta all’Accademia, volevo semplicemente imparare a disegnare. Dal primo momento in cui ho messo piede a Brera ho provato un’emozione fortissima e ho pensato: questa è casa mia! Mi sono concentrata prima sul disegno e in un secondo momento sulla pittura. Da allora non ho più smesso di dipingere.

Che cosa accade nel mondo che i tuoi dipinti racchiudono?

È un mondo in cui identificarsi ma anche mettersi in discussione attraverso delle domande. Quando dipingo parto con un’idea che alla fine dell’opera cambia quasi sempre, spesso è la pittura a prendere il sopravvento e io non faccio altro che seguirla, c’è qualcosa di misterioso anche per me.

Chi sono i protagonisti delle tue opere?

I miei personaggi non hanno un’identità ben definita, sono più che altro dei simboli, come il colore dei loro capelli, la lunghezza, i vestiti che indossano, ad esempio, sono reinterpretati, sono così non perché li indossa qualcuno in particolare ma più che altro perché simboleggiano qualcosa o nel mio immaginario o in quello collettivo.

Hai scelto una figurazione non realistica, non fotografica, non didascalica. In che direzione vai?

Non mi interessa riprodurre la realtà così com’è, la natura è già bellissima non potrei equipararla e non mi gratificherebbe neppure, non ho nessun stimolo in questo. Amo osservare il mondo e poi restituirlo secondo il modo in cui lo sento, mi interessa molto quello che rappresenta a livello simbolico, ad esempio, un colore, oppure dei piccoli gesti che apparentemente sembrano insignificanti hanno invece la forza di cambiare la modulazione di un’opera.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Si può prendere spunto dalla propria vita, da quella di amici o conoscenti, oppure dai libri letti e dalle canzoni. Il modo in cui lo si rappresenta su tela scaturisce da una visione personale, il mondo creato dall’artista è originale, gli appartiene.

Un tuo quadro che è stato l’inizio di un percorso.

Sai, credo che non ci sia un quadro che rompa drasticamente con quelli che ho realizzato precedentemente, ogni mia opera porta qualcosa di quelle passate.

Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Spesso quello che leggo è fonte d’ispirazione. I libri di psicologia, mi ripeto, sono stati molto illuminanti per comprendere meglio me stessa e di conseguenza gli altri.

Scegli 3 delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.

Ti parlo di tre opere della serie By this River su cui sto lavorando. Ho iniziato a riflettere su questa tematica l’anno scorso. L’idea prende spunto dal Decamerone, così come nell’opera di Boccaccio un gruppo di ragazzi fuggono dalla peste rifugiandosi in campagna, allo stesso modo i miei personaggi hanno come cornice fissa la riva del fiume, dove rifugiarsi in un momento difficile. Portano con sé quello che hanno di più caro per proteggerlo, può essere un oggetto oppure un’emozione.

By this river.1, rappresenta la protezione della delicatezza e della tenerezza.
By this river.2, rappresenta due ragazze che sono insieme ma isolate, sembra vivano in mondi diversi, pur essendo così vicine sono distanti, probabilmente è proprio il cellulare di una che non facilita la comunicazione, la tecnologia che avanza in contrapposizione ad uno sguardo al mondo senza filtri. Oppure potrebbero essere due personalità di uno stesso essere umano, questo non ci è dato di saperlo.
In By this river.3, due ragazzine salvano il gioco, una delle capacità che l’essere umano perde man mano che diventa grande, immergono i piedi in un’acqua purificatrice, una sorta di limbo dove nei momenti difficili è possibile rifugiarsi e ritrovare la linfa vitale.

L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?

Ci sono molte opere che amo e penso che il mondo avrebbe perso molto se non fossero state realizzate! La prima che mi viene in mente è The Floating Piers di Christo, forse perché è un viaggio che ho fatto in prima persona e che non dimenticherò mai.

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Vari, non uno in particolare.

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

La donna dovrebbe tirar fuori tutta sé stessa, quello che per un motivo o un altro non ha potuto fare nel passato lo dovrebbe fare adesso! Con coraggio e determinazione!

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Cauto, caotico, esterofila. Con le dovute eccezioni.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Sempre, qualsiasi cosa faccio, cerco di metterci l’aspetto creativo, mi capita spontaneamente, spesso non me ne rendo neppure conto. Ho una forte sensibilità nell’accordare i colori della vita.

Work in progress e progetti per il futuro.

Sto preparando una mostra personale per la Galleria Centometriquadri Arte Contemporanea. Mi trovo molto bene con il Gallerista perché è un uomo lungimirante.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

La vita è bella, nonostante tutto!