Uno dei pilastri della democrazia (parlo di quella vera, non dei simulacri di essa sparsi un po' in tutto il pianeta) è la libertà di stampa che, nel momento in cui viene compressa da chi esercita il potere, perde la sua stessa ragione d'essere.

D'altra parte, come ha sostenuto una corte di giustizia americana (nel caso giudiziario reso famoso dal film The Post), la stampa è al servizio di chi è governato, non di chi governa. Mettere limiti all'attività dei giornalisti, nelle svariate forme in cui tale coercizione può essere esercitata, è cosa che lede non solo i diritti della libera stampa, ma la stessa democrazia, che in questo modo viene sfregiata.

Ho voluto fare queste premesse per non essere equivocato, per evitare che qualcuno, magari leggendo frettolosamente queste righe, possa ritenere che io pensi che occorrano, in Italia, nuove regole e, soprattutto, restrittive per l'esercizio della libertà di stampa.

Ma il recente caso della fuga di notizie sul provvedimento che il Governo stava per adottare per frenare l'espandersi del Coronavirus pone, a mio modestissimo parere, un problema di altro genere.

Ovvero, come le Istituzioni possono difendere il loro operato - che si presume abbia sempre come fine unico e primario la tutela del Cittadino - se qualcuno al loro interno, violando nel caso specifico la riservatezza che la materia dell'epidemia del virus imponeva, ha ritenuto di rivelare la bozza ad alcuni organi di informazione che, come è giusto che sia, l'hanno immediatamente resa pubblica, rispondendo innanzitutto al loro azionista di riferimento, il lettore, cioè tutti noi.

Per dirla con una frase non certo elegantissima, i giornalisti hanno fatto il loro mestiere, dando per scontato che la bozza sarebbe assurta di lì a poco a testo definitivo e quindi non ponendosi il problema che magari potesse essere modificata, vista la delicatezza dei problemi trattati.

Ma il passaggio di tale pubblicazione sul quale mi sembra necessaria una riflessione è su chi sia stata la ''gola profonda'' del decreto, su chi, quando ancora si discuteva e si mettevano a punto i dettagli del provvedimento, ha pensato bene di girarlo al giornalista amico.

Non credo assolutamente al detto - attribuito a Giulio Andreotti - secondo cui a pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina. Ma credo che chi sta al timone del Paese, in questa delicatissima contingenza, dovrebbe interrogarsi sulla lealtà dei collaboratori di cui si circonda, che siano ministri, sottosegretari o boiardi di Stato o i vertici delle Regioni. E, mi permetta il premier Conte, fare la voce grossa in conferenza stampa contro la ''manina'' che ha girato la bozza del provvedimento ai giornalisti e fermarsi lì mi ha dato l'impressione di una reprimenda ad uso e consumo dell'opinione pubblica oltre che delle telecamere.

Il presidente del Consiglio, se ne ha voglia, può fare ricorso ad una serie di strumenti per capire chi - ancora prima perché - ha tradito la sua fiducia. A cominciare da una denuncia (sia pure contro ignoti), demandando all'autorità giudiziaria il compito di identificare chi ha messo in moto un meccanismo che poi è stato alla base della fuga di massa dalle regioni del Nord verso il Sud di persone di origine meridionale. Persone che, certo, data l'ampiezza delle misure adottate e che le riguardavano, non erano nella migliore condizione per dirsi tranquille in ordine alla propria salute.

Che tra di loro ci fossero anche portatori inconsapevoli del virus al momento non è dato sapere, anche se le probabilità sono alte. Una reazione d'istitinto che era facile intuire anche da parte di chi ha deciso di fare bella figura con i giornalisti, fregandosene della salute pubblica.

E mi si consenta di aggiungere che se tale possibilità (creare il panico, anticipando che alcune vaste aree del Paese sarebbero state sigillate) non è stata considerata da chi ha rivelato la bozza del decreto allora ci troviamo di fronte o a un cretino o a un criminale. Oppure, come credo, ad un criminale-cretino. Solo che un cretino non può finire davanti ad un magistrato, un criminale sì.