Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il nostro mondo, quantomeno qui in Europa, è cambiato. O forse è cambiata la nostra percezione del mondo, il che, a ben vedere, è lo stesso.
Dopo circa due anni dall’invasione dell’Ucraina, avvenuta nel febbraio del 2022, è stato rieletto alla Casa Bianca Donald Trump. La sua rielezione ha dato un ulteriore scossone alla stabilità europea, non soltanto per la minaccia e l’introduzione di nuovi dazi sulle merci europee, ma soprattutto per la sua dichiarata volontà di non essere più disponibile a garantire la sicurezza europea con i soldi americani (taccio qui sulle colorite espressioni utilizzate dal neo eletto inquilino della Casa Bianca, in quanto intendo mantenere la qualità del dibattito a un livello alto, senza scadere nel turpiloquio e nell’offesa volgare).
Che piaccia o no, dopo l’invasione dell’Ucraina e dopo l’elezione di Trump alla Casa Bianca, l’Europa intera ha cominciato a rivedere i suoi piani strategici per gli investimenti futuri.
Naturalmente ciò è avvenuto in ordine sparso, com’è nel costume europeo, dove i singoli paesi, puntano spesso più a difendere i propri interessi nazionali, piuttosto che svolgere un’azione di stampo comune, finalizzata al bene dell’Europa.
Il fatto che il perseguimento dell’interesse nazionale, come accade in questa affannata circostanza, vada a coincidere e a ricadere, nell’interesse comune dell’Europa, non toglie niente all’impressione, percepita chiaramente anche all’estero, capace di evidenziare come il più vecchio e glorioso continente del mondo, sia diviso e frastagliato più che mai.
Eppure qualcosa sta cambiando. Che sia in meglio o in peggio, questo è ancora presto per dirsi. Lo si vedrà in seguito. Quel che qui interessa, ai fini del nostro discorso, è che qualcosa stia cambiando.
Forse l’Europa sta cominciando a capire, che non è più sufficiente una unione di interessi economici e che stia arrivando il momento di stringere degli accordi più stretti e vincolanti anche su un terreno diverso da quello economico e finanziario, come ad esempio un consorzio militare o magari, in senso più ampio, dei vincoli più squisitamente politici.
Gli stati che premono maggiormente per questo avvicinamento militare sono sicuramente quelli dell’ex Patto di Varsavia, che ben conoscono la protervia e lo spirito imperialistico che anima i leader moscoviti e che mai accetterebbero di buon grado di tornare sotto l’egida del controllo di Mosca, tanto più dopo che hanno assaporato la libertà di cui essi hanno goduto e godono all’interno dell’area occidentale di riferimento europeo.
Ma anche stati come la Francia, bisogna riconoscerlo per completezza di analisi e per onestà intellettuale, non hanno certo perso l’occasione per rilanciarsi e autoproporsi come paese leader dell’Europa, cercando ancora una volta di coronare così il loro sogno egemonico, mai sopitosi, sin dai tempi di Carlo Magno, passando per le guerre fratricide con l’atavica rivale inglese e per il tentativo imperiale dei due Napoleoni (durato assai poco il primo e mai iniziato veramente il secondo).
Eppure, nonostante l’evidenza del pericolo che incombe sull’Europa, non mancano i detrattori dell’Unione Europea, che continuano a propugnare il suo scioglimento e il ritorno ai vecchi stati nazionali, integri nella loro competenza sovrana, ivi compresa quella monetaria, quella militare e quella economico-politica più in generale.
Non voglio scrivere di quei faccendieri, presenti anche tra i politici italiani di un certo rilievo, che pare figurino sul libro paga della Russia e degli USA, pagati per contribuire al tentativo di dissolvere l’Unione Europea.
Non voglio parlare di questi personaggi politici, sicari prezzolati per impallinare, dall’interno, le fragili strutture dell’UE, in quanto essi sono comunque rappresentanti del popolo italiano; e se i loro elettori li votano, risponderanno della loro azione politica nei loro confronti. E se quello che pongono in essere in maniera dissimulata, corrisponde al mandato elettorale palese, allora i soldi presi da queste potenze straniere, diventano un problema morale di coscienza (sempre ammesso che questi soggetti asserviti allo straniero ne abbiano una).
Voglio scrivere e parlare invece delle tante persone che, in buona fede, sono convinti che l’Unione Europea sia un’istituzione nefasta per la loro patria, che essi amano con sincerità.
Non si tratta di una componente compatta e uniforme, ma piuttosto di una galassia frastagliata: dentro ci sono i no-vax, i terrapiattisti, i leoni da tastiera, i nostalgici e le anime candide del bel tempo andato, che mal sopportano le imposizioni di stampo unionista, come l’eccessiva burocratizzazione, l’abuso di informatica che ci mette sotto il controllo attento dell’occhio elettronico del sistema al quale soggiacciamo ormai in maniera asfissiante, attraverso i pagamenti elettronici, le varie app, la tracciabilità dei diversi spostamenti. Per non parlare della profilassi sanitaria alla quale tutti siamo stati sottoposti in occasione dell’ultima pandemia da Covid 19 e dei green naif che non si riconoscono nei techno green di matrice istituzionale europea.
L’astio è veramente tanto contro questa Unione Europea.
Seppure io sia un europeista convinto, devo confessare che neanche a me piace tanto questa Europa a prevalenza economica, nido e rifugio di finanzieri d’assalto, fucina di burocrati grigi e disperati, teatro di prevaricazioni e luoghi comuni vecchi e nuovi, frontiera in cui vige e prevale ancora il nazionalismo più sfrontato e bieco (reso intollerabile dall’esercizio del diritto di veto, improvvidamente riconosciuto anche ai paesi più piccoli e agli ultimi arrivati, che ne abusano in maniera sfacciata, quasi senza pudore). Neanche a me piacciono i rappresentanti elitari della nuova imprenditoria finanziaria, nata come una costola e discendente diretta dell’imprenditoria industriale, di quelli che un tempo venivano chiamati i “padroni delle ferriere”.
E non mi piace il peso che hanno all’interno del sistema economico europeo questi potentati finanziari, come le banche di investimento che agiscono sotto il nome di Standard and Poor’s, Goldman Sachs, Fichte e simili, oppure dei potenti fondi pensionistici come Blackrock, Vanguard e JP. Morgan, capaci di mettere in crisi perfino un governo di un paese dello spessore di quello italiano (si pensi a quanto accadde nel 2011, quando lo spread italiano, sotto attacco da parte delle speculazioni del sistema finanziario, costrinse il premier Berlusconi a dimettersi per evitare il tracollo finanziario del sistema paese).
E si badi che queste istituzioni finanziarie sono tutte private e non sono neppure europee, ma per la maggior parte sono americane.
E quindi esse continuerebbero a fare i loro giochi sporchi anche se l’Unione Europea sparisse all’improvviso dall’orizzonte politico sovrannazionale. Vi lascio pertanto immaginare cosa sarebbe l’Italia, senza l’Unione Europea, lasciata in balia di questi speculatori finanziatori senza cuore e senza anima, con quel debito pubblico che ci opprime e ci farebbe diventare ostaggio di questi affaristi senza scrupoli.
Ed è anche per questo che io, non di meno, continuo a pensare che questa unione europea, così imperfetta e divisa, sia meglio di niente; e che l’unione monetaria adottata da buona parte degli stati dell’unione, costituisca da un lato un ottimo scudo di protezione contro i pirati della finanza mondiale, dall’altra un primo passo verso un’Europa più coesa e solidale, che possa fronteggiare adeguatamente, nel suo prossimo futuro, le sfide economiche contro i nuovi giganti economici mondiali: la Cina, in primis, ma anche l’India, il Brasile, il Sudafrica; ed eventualmente anche le vecchie potenze, come sono gli USA, che oggi non danno più quelle garanzie di lealtà e di stabilità che hanno assicurato al nostro continente un periodo di pace e di benessere che dura da ben ottanta anni.
O come la Russia, che tuttavia, invadendo l’Ucraina, ha mostrato tutta la sua debolezza proprio in questo sussulto di stampo imperialistico, emblematico di un paese che nel sistema bipolare, eclissatosi nel 1989, figurava come una potenza planetaria, ma che oggi, tutt’al più, può aspirare a mantenere uno status di potenza regionale (Turchia e Unione Europea permettendo). Non credo di essere il solo a vedere la Russia e gli USA come due potenze in declino.
Ma quale ordine internazionale andrà a formarsi, con l’eclissi inevitabile di queste due ex potenze planetarie? Sarà sufficiente l’ONU di oggi a garantire l’esistenza di un simulacro di governo mondiale?
È pur vero che la Cina, super potenza in continua ascesa, gode nel Consiglio di Sicurezza di uno dei cinque voti capaci di esprimere il diritto di veto che tutto blocca, escluse le guerre e le aggressioni dei forti contro i deboli; ma l’India, il Brasile, il Sudafrica, il Canada, l’Australia per quanto tempo ancora morderanno il freno, accontentandosi di giocare ai margini del campo di gioco, senza mai entrare veramente in partita? E il Pakistan, l’Iran e gli altri stati nucleari per quanto tempo staranno a guardare?
E noi europei, dovremmo essere rappresentati unicamente dalla Francia nel novero dei Paesi dotati di forza nucleare, visto che ormai la Gran Bretagna, l’altra potenza nucleare presente nel nostro continente, è uscita dall’Unione Europea?
Tutte domande alle quali è difficile rispondere e che creano non poca angoscia in tutti coloro che amano la pace e sono giustamente preoccupati di lasciare ai posteri un mondo capace di continuare il cammino di civiltà che l’uomo ha intrapreso migliaia di anni fa e che adesso, veramente, rischia di essere interrotto a causa della sete di rivalsa e di potere dei singoli stati.
Il compianto papa Francesco stigmatizzò l’esistenza di una terza guerra mondiale, seppure frammentata e frazionata, in tanti confronti regionali e in singole guerre soltanto in apparenza locali.
La seconda guerra mondiale si chiuse con le terribili deflagrazioni di Hiroshima e Nagasaki. Fu allora, a metà degli anni quaranta del secolo scorso, che i Grandi della Terra si resero conto che il mondo aveva bisogno di pace, per prosperare, convivere nel benessere e magari conquistare il Cosmo infinito che ci attende al di là di questa risibile stratosfera.
Quali altri grandi esplosioni porranno fine a questa terribile terza guerra mondiale? E cosa lasceranno, una volta deflagrate? Saremmo in tempo per costruire un nuovo ordine mondiale, capace di applicare in modo universale la giustizia sociale, la difesa dei deboli e la sicurezza internazionale dei popoli e degli stati?
Io spero che gli stati si muovano in direzione della pace e della giustizia internazionale, prima che sia troppo tardi. Non ho ricette da dare, anche se qualche idea ce l’avrei. Ma invito tutti gli uomini di buona volontà a prendere la penna in mano per manifestare il loro desiderio di pace.
Non dimentichiamo mai che l’oceano è composto da tante piccole gocce d’acqua. Muoviamoci per far sì che il male non prevalga mai sul bene. Anche se questa confortante verità sta scritta, spetta a noi uomini fare in modo che la profezia diventi realtà.