Regione che vai, nome che trovi. Salvanelli in Veneto, linchetti in Toscana, pamarindi in Friuli, farfareddi in Sicilia, monachicci in Basilicata, munacielli in Campania: ovviamente con tutte le possibili varianti lessicali dei nomi di questi spiritelli che nei rispettivi dialetti sono numerosissime. Per esempio, per quelli di Napoli e della Campania esistono due varianti: monacielli e munacielli. Il Dizionario etimologico napoletano di Francesco D’Ascoli, che è una sorta di testo sacro del dialetto partenopeo, assicura che la dizione corretta è quella con la “u”: munaciello. E spiega: “Spiritello, gnomo, folletto (che, secondo una vecchia credenza, prese le sembianze di un monaco, s’insinua di notte furtivamente in certe abitazioni in cui reca disordine e confusione, mettendo sossopra il mobilio)”1. In Basilicata li chiamano indifferentemente munaceddi e monachicchi.

Stiamo parlando di spiriti domestici. Questa la definizione di spirito domestico che troviamo nel Piccolo dizionario di Demoni e spiriti elementari di Leander Petzolold)”2: “Denominazione generica per designare esseri demoniaci che vivono in casa insieme agli uomini o che si stabiliscono nelle cantine, nelle stalle o nei fienili”. Il Petzold spiega: “Nella maggior parte dei casi sono invisibili e si mostrano agli uomini raramente e malvolentieri”.

Siamo dunque nel mondo dei folletti e degli gnomi, che riempiono le favole che abbiamo letto da bambini, ma che sono stati assai presenti, e spesso lo sono ancora, nelle tradizioni popolari di tutta Europa. Legano il loro nome e le loro presunte azioni, benevole o malevole che siano, a saghe e a feste popolari e contadine. Non di rado la loro presenza e la loro azione rimandano sia a riti scaramantici connessi alla lavorazione della terra e al raccolto, sia al culto dei morti. Sono diventati nel tempo protagonisti assoluti di leggende, di canti, di ballate popolari, di filastrocche, ma anche di racconti, novelle e commedie.

Sono descritti nelle fiabe e nelle leggende come esseri per lo più di statura piccola, dell’altezza di un bambino, di solito invisibili, ma tali da rendersi visibili in particolari occasioni, ma sempre in maniera fugacissima. E ce ne sono davvero di tutti i tipi: per la maggior parte benevoli e sostanzialmente inoffensivi, spesso scanzonati e allegri, tendenzialmente portati al gioco, alla beffa e allo scherzo, ma anche, all’occorrenza dispettosi. Assai raramente sono malevoli e perfidi. Ne citiamo qualcuno. Il coboldo. Il coboldo quando si rende visibile ha la corporatura di un bambino di tre o quattro anni; collabora sempre col padrone di casa e vigila sui beni, sulle riserve alimentari e sui tesori dei quali, però non rileva mai il nascondiglio; può nutrire antipatia per gli ospiti del padrone e prendersi qualche innocente licenza con la padrona di casa.

Lo hütchen. Appartiene alla grande famiglia dei coboldi, indossa sempre un cappellino di feltro e s’interessa soprattutto di lavori agricoli. Gli heinzelmännchen sono, anche essi, assai simili ai coboldi e ai folletti, ma sono più invadenti e fastidiosi quando si indispettiscono perché a differenza del coboldo e dello hütchen, che sono spiriti per lo più solitari, vivono e agiscono in gruppo. Il goblin è presente soprattutto in Inghilterra; è di aspetto assai simile al folletto, ma è temuto perché sarebbe spirito cattivo e malefico, tanto da prendere spesso sembianze grottesche. Per la maggior parte dei casi, queste creature sarebbero discendenti dei mani, dei lari e dei penati romani, che erano gli spiriti degli antenati ai quali era consacrato il focolare domestico e il cui atteggiamento benevolo andava incoraggiato con offerte sacrificali. La fede in questi spiriti domestici si collega al culto dei morti e al bisogno di mantenere un rapporto costante con chi ci ha preceduto. È una credenza che, come ritiene il già citato Leander Petzold, nel tempo si arricchisce di storie, di leggende e fantasie estranee alla tradizione greco-romana, intrecciate, tra il cupo, il tragico e il giocoso, alle mille formule fantastiche dettate dalle pratiche della superstizione e della scaramanzia.

La presenza di monachicchi, di linchetti e di munacielli si fa sentire più vivamente e vivacemente in quei territori, dove la tradizione popolare è più tenace e più resistente. Così, ad esempio, il munaciello napoletano, nascosto nelle case soprattutto antiche, o addirittura nei conventi, come ci testimonia una corposa tradizione novellistica e teatrale, non è solo legato solo alla tradizione dei penati e dei lari; rimanda anche a fatti delittuosi e misteriosi a seguito dei quali rimangono presenze inquietanti.

Qualche indagatore delle leggende partenopee, infatti, ha ipotizzato che il munaciello potrebbe essere addirittura il frutto di un amore proibitissimo tra un monaco e una monaca. Il bimbo, da tenere ovviamente nascosto di giorno, è protetto dal freddo con l’unico indumento che lì viene più facile trovare: un saio. Può uscire dalla cella solo di notte, ma cammina a fatica, intralciato com’è dal saio che gli sta assai abbondante, e ha i movimenti della testa ostacolati dal cappuccio che gli va larghissimo. Non conosce nessuno e ha istintiva paura di chiunque dovesse incontrare e chi lo incontrasse, viceversa, avrebbe repulsione e terrore per questo esserino che sembra uno gnomo o una creatura del demonio. Scansato e disprezzato da tutti, il bimbo sarebbe morto di dolore. Ma sarebbe restato per sempre il suo fantasma: il munaciello.

Qualche esegeta più malizioso e realista, invece, ha messo la storia del munaciello in relazione con la tradizione degli antichi pozzari, i pulitori dei pozzi, che pur essendo giovani, in salute e prestanti, si difendevano dall’umidità con teli formando sulla testa un cappuccio non dissimile da quello di cui è dotato il saio. In questo caso il munaciello sarebbe tutt’altro che piccoletto e minuto; anzi sarebbe stato robusto e prestante. Questi esegeti ipotizzavano che più di una volta poteva esser capitato al giovane pozzaro, passando attraverso i canali sotterranei dell’acquedotto e risalendo lungo le pareti di un pozzo, di spuntare, pulendo e grattando, nel cortile di una dimora, in orario in cui il padrone di casa era assente, ma era presente invece la moglie. E poteva capitargli, bello e attraente come appariva dopo essersi liberato del cappuccio, di giacersi in amoroso convegno con la donna, resa accondiscende dall’inaspettato incontro con uno spirito senza la difesa del marito. Dopo, la donna avrebbe conservato solo lo stupore, probabilmente non sgradevole, ma comunque da non confidare mai al marito, per l’incontro con uno spirito: un misterioso munaciello. Ma questa teoria più realistica, meno misteriosa e fantasiosa è quella che ha riscosso il più tiepido successo.

Se leggete qualche pagina di Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi vi divertirete con una descrizione di questi spiriti vivaci e irrequieti, presenti in Basilicata, che corrono per la casa veloci e imprendibili, afferrabili solo con una mossa veloce e fulminea per il berretto rosso che hanno in testa. E vedrete, allora, che cosa succede al monachicchio che perde il copricapo.

La possibile presenza di questi spiriti, nel mezzogiorno d’Italia, può dare adito, ancora oggi, a tre atteggiamenti: ci credo, non ci credo, non è vero ma ci credo, comunque, pur tra tanti dubbi, con la sola certezza che ci dà Carlo Levi, che i munacielli sarebbero sostanzialmente inoffensivi. Questi spiritelli, infatti, scrive Levi: “Fanno il solletico sotto i piedi, rovesciano bicchieri pieni di vino… nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati… danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come le zanzare. Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sempre l’aspetto di un gioco, e, per quanto fastidiosi, non ne nasce mai nulla di grave”

Niente di grave e niente paura, insomma, sembra voler dire Carlo Levi, se ve lo trovate in casa; anzi ve ne potrebbe derivare il bene del buonumore, perché i monachicchi sono animati da una “saltellante e giocosa bizzarria”.

L’unico avvertimento che si potrebbe dare, oggi, a chi se lo trovi in casa, è di tenerlo lontanissimo dal tablet, dal cellulare e dal computer. La rete è già così piena di fake news, di insidie, di pericoli e di stupidaggini vanitose, per potersi permettere il rischio d’essere invasa anche dagli scherzi dei folletti, degli gnomi e dei munacielli.

1 Francesco D’Ascoli, Dizionario etimologico napoletano, Napoli, Edizioni del delfino, 1990.
2 Leander Petzold, Piccolo dizionario di demoni e spiriti elementari, Napoli, Guida, 1990.