Max parla e parla e accarezza le foglie della jacaranda sul tavolo. Il tavolo è abbastanza spazioso e al centro c’è un grosso vaso con la jacaranda e Max parla e l’accarezza. Un vaso troppo grosso per una pianta di certo non da ornamento di tavoli di metallo smaltati di bianco come quello. Non la sola bizzarria nella villa del producer.

“Quindi, è questo che mi stai proponendo… Un film di genere horror” dice il producer.
“Un bell’orrorazzo. Sì, anche se un po’ diverso, dagli altri…” dice con sussiego Max e accarezza la jacaranda.
“C’è il sangue, presenze inquietanti… In cosa si differenzierebbe dagli altri?”

Il suo caro producer indossa un paio di occhialoni a specchio, da motociclista. Indossa un chiodo e sotto il chiodo una maglietta con disegnato sopra un uomo che punta una pistola difronte a sé. Si può dire che l’uomo della maglietta punti la pistola su Max. Comunque, uomo o non uomo sotto la maglietta s’intuisce una ciambella di ciccia che non basta più nascondere tenendo indietro la pancia. Il suo caro producer si sta lasciando un po’ andare.

“Visto che tu sei quello che mi sostiene da anni e mi finanzia i progetti ti dirò in cosa si differenzia questo da tutti gli altri film horror – o quasi tutti, in verità. Però, devi promettermi che terrai la bocca cucita sull’argomento”.
“Dai, dai. Parla”.

La pancia si rilassa e la maglietta si gonfia. Anche l’uomo con la pistola si tende un po’. Come se prendesse meglio la mira.

“I film horror sono film che incutono grande paura nello spettatore. Una testa salta, un corpo viene fatto a pezzi da un’accetta o da una motosega circolare, una porta si apre all’improvviso e una mannaia cala come un’ascia decapitando una testa. Dario Argento, Pupi Avati, Fulci… I film dell’orrore fanno paura. Rappresentano la morte. Gli spettatori provano paura e poi il film finisce ed è più o meno tutto. Amici come prima. Sì, magari uno spettatore può avere degli incubi. Può provare paura quando si trova in casa da solo e fuori è buio. Ma poi, morta lì”.
“Sì, e allora?”
“Uno spettatore non rischia niente. Quella massa di coglioni va al cinema o non so dove a vedere i film e poi corre a casa si connette sulla rete e sputa le sue sentenze. Tu hai speso un milione di euro, due milioni, tre… Non parliamo del cinema americano… E questa gente torna a casa, si connette e dice la sua. E cosa dice nel caso dei film dell’orrore?”
“Cosa dice?”
“Che sono merda, splatter, troppo violenti, troppo sangue. Le solite menate che si sono sempre tirate fuori in tema di horror. E tu, amico caro, hai speso” dice Max e accarezza la jacaranda.
“Chi disprezza compra. Fintanto che posso pagare le bollette e saldare i conti…”
“Lodevole saggezza. Specie per chi ha… quante ville? Tre?”
“Dueeee… E una piccola baita in montagna”.

Sulla maglietta si formano delle onde, come se sotto ci fosse un piccolo mare in tempesta. Max si aggiusta meglio gli occhiali a specchio con l’indice.

“D’accordo, ma vedi, forse questo discorso, amico caro, potrà andare bene per te che sei un produttore… Ma per me che sono un regista… Forse può andare bene anche per un attore. Il film non è stato accolto bene, ma l’attore ha recitato bene, come sempre. Ha salva la faccia. Ma per un regista, dicevo, un regista come me – e non sto a ricordarti i premi dei miei film - il giudizio di quattro scalzacani sulla rete forse può interessare. Vedi, Mariano, la fregatura sta tutta nell’esistenza del concetto di “carriera artistica”. Fare film è un’arte, non è solo mercato. I giudizi del pubblico contano. Contano tutti”.
“Capisco. Ma ora mi sono un po’ perso. Dove vuoi arrivare?”
“Ci siamo apparentemente persi. In realtà, questa è quella che io definisco una “premessa indispensabile”. La premessa è: mai come prima nella storia di tutti i mass media noi artisti siamo sottoposti pressoché quotidianamente al fuoco di fila dei giudizi dell’uomo della strada. Di persone che non ne sanno nulla. Di persone che ti sparano addosso solo perché gli prude il sedere o perché hanno litigato con la moglie o per la più classica delle ragioni: “invidia”. Io uomo della strada “invidio” un uomo mille volte superiore a me praticamente in tutto. La chiamiamo “invidia” ma dovremmo chiamarla “presunzione molesta”. Per un istante la cosiddetta “invidia” mi rende uguale all’altro. È un sentimento di totale azzeramento delle differenze. Ti fa dimenticare chi sei, dove sei nato, quali opportunità di partenza hai avuto, tutto e ti fa ignorare chi è l’altro, quali sono le qualità che gli hanno consentito di arrivare dove è arrivato, le opportunità di partenza e… dopodiché, sbam! Arriva l’insulto. A volte, anche sotto forma di sofisticata recensione. L’invidia è una forma di uguaglianza, di amicizia, persino”.
“Dove vuoi arrivare?”
“Dove voglio arrivare? Qui. Facciamogliela pagare. Facciamogliela pagare molto cara”.

Max dà un colpo ad una foglia di jacaranda con un dito come se colpisse una bilia.

“Come? Con un orrorazzo estivo? Perché, senza offesa, ma questo che mi proponi di finanziarti pare proprio un orrorazzo estivo… Sì, ci sono momenti di cinema sublime, come quando la ragazza si toglie le calze e tu indugi con la cinepresa e descrivi tutto quasi come fosse un romanzo e non una sceneggiatura, ma… andiamo, Max”.
“Questo film è una trappola mortale. Se lo consideri un “orrorazzo estivo”, è solo perché il piede ti è finito in pieno nella trappola” replica Max e torna a lisciare la jacaranda.
“Forse ho capito cosa hai in mente. E sì, direi che ti potrei appoggiare un’azione di marketing ad ampio raggio, per così dire. Scusa, ma sono al quarto Mirtillino e le mie capacità cognitive mi si annebbiano alquanto. Comunque, tanto per dire, potrei finanziare l’apertura di vari siti e pagine Facebook o che so io dove si propugni l’idea di una pellicola maledetta. Una pellicola che una volta vista… ti manda in pappa il cervello”.

Sul tavolo c’è una bottiglia di Mirtillino. Hanno discusso se tirare fuori dal mobiletto del bar un Fragolino o del Limoncello. Poi, hanno pensato al Wild Turkey, ma vista l’ora hanno ripiegato sul Mirtillino. “Amareggiamo?” aveva detto il producer. “Amareggiamo” aveva acconsentito Max, che non era certo in vena di non consentire qualcosa al suo finanziatore principe – e se vogliamo fare più in fretta, togliamo pure “finanziatore”.

“Ma io non parlo di questo! Io non parlo di un film maledetto. Questo non è un film che porta sfiga o che manda in pappa i due neuroni degli spettatori. Questo film è pericoloso sul serio”.
“Beh, allora a questo punto spiega”.
“L’idea mi è venuta guardando Shining di Stanley Kubrick”.
“Gran film”.
“Un giorno ho capito che noi di quel film non abbiamo capito nulla. Proprio niente dall’inizio alla fine. Prima di tutto, il film parla di un esperimento genetico avvenuto all’interno dell’Overlook Hotel in seguito al quale si sono avuti tanti parti gemellari. Ecco perché compaiono le gemelle. Anche Jack, il protagonista, aveva un gemello… E lo si vedrà alla fine del film, nella foto in bianco e nero del 1921… Forse è un gemello… O forse è un sosia. Jack Torrance è un sosia di Grady, il guardiano precedente a lui. Ecco perché i fantasmi lo chiamano Grady! Lo scambiano per Grady perché gli somiglia! Shining è una commedia degli equivoci: scambi di persona. Ma c’è anche altro. In realtà, tutto il film è un invito all’ermeneutica. Dei significati nascosti ci sono e noi li dobbiamo trovare. Kubrick sta sfidando i dietrologi di tutto il mondo. Dopo Arancia Meccanica, che parla di lavaggio al cervello attraverso la visione di film su film, Kubrick in Shining non si accontenta più di mostrare il potere dell’immagine, di rappresentarlo… ma lo vuole mettere in atto e usarlo sul… pubblico. Quanto più pubblico possibile. Ed ecco Shining. Shining nasconde un significato piuttosto letale. Riguarda la accorata confessione da parte di Kubrick di aver girato il filmato del finto allunaggio nel 1969. Ma all’epoca questa faccenda era una faccenda molto pericolosa. E se un dietrologo se ne fosse accorto, avrebbe potuto “dedurre” che l’allunaggio non fosse mai avvenuto. A questo punto, avrebbe potuto dirlo. E questo argomento dell’allunaggio è stato per parecchio tempo “tabù” e metterlo in discussione avrebbe potuto rappresentare per chiunque un pericolo”.
“Insomma, chi guarda Shining rischia la vita”.
“Non proprio. Chi capisce Shining. Chi scava. Kubrick sapeva che una cosa detta tra le righe è un messaggio molto più potente di una cosa spiattellata a chiare lettere. Kubrick ha messo dentro Shining una bugia pericolosa. Ma avendola messa in quel modo, la mente tende a prenderla per vera, a pensarla indiscutibile. Ma in Shining ci sono altre bugie pericolose. In Arancia Meccanica uno scrittore riceve la visita di quattro manigoldi. Suonano il campanello di casa, lo scrittore apre, e i quattro irrompono facilmente, spaccando tutto, violentando, distruggendo. In Shining uno scrittore prende un’ascia e cerca di accoppare la moglie. Be’, due più due fa quattro. Kubrick era rimasto sconvolto da qualcosa di orribile accaduto in quegli anni. E ha voluto suggerire qualcosa. Una bugia. Una bugia schifosa. Ma l’ha fatto. Kubrick l’ha suggerita. Anche Leonardo Da Vinci con L’Ultima Cena probabilmente ha fatto lo stesso. Gesù ha una moglie, la Maddalena! Un dettaglio che manda in fumo duemila anni di storia della Chiesa. Entrambi, Kubrick e Da Vinci, hanno consegnato bugie che infastidivano le autorità, i centri di potere dei loro tempi mettendo consapevolmente in pericolo i fruitori delle loro opere”.
“Quindi è questo che hai in mente”.
“Questo hai per le mani. Puoi pensarlo come a un cactus. Un film con i denti. Una storia che ha spine pungenti. Un mio amico ha scritto un libro di buoni consigli di scrittura. Prova a leggerlo… Ti incasina il cervello al punto, quel libro, ti mette così tanta insicurezza addosso, che non solo non scriverai più un libro se avevi intenzione di farlo, ma davanti a una donna non ti si drizzerà nemmeno più. E fuggirai a Madrid, o a Dublino, o ad Amsterdam, o negli Stati Uniti giudicandoti del tuto incapace di stare con i tuoi simili, la tua gente. Il mio amico ha anche scritto i “buoni consigli” in grande, a lettere molto grandi. Così, non puoi non leggerli. Mette le foto su Internet. Sui social… E una volta letto il “consiglio”, la pasticca di Male si deposita nel tuo cervello e comincia a sciogliersi”.
“Diabolico”.
“Mm mm”.
“Sei un genio del Male, Max”.
“Per me è un atto di giustizia…”
“…un cavolo di fottuto genio del Male…”
“…Gli spettatori non rischiano nulla. Noi abbiamo bisogno delle guardie del corpo, invece. E per cosa? Per un film… che abbiamo fatto per loro. Invece, adesso, rischieranno anche loro. Loro e il loro cavolo di Internet. Sì, bravo bambino, guardati il mio filmetto, goditelo, e fai vedere quanto sei intelligente andando a scovare tutti i significati nascosti che riesci. Magari, se Petrolio lo avesse scritto Kafka e non un realista come Pasolini, non ci sarebbe stato nessun omicidio-Pasolini. Ma forse, sarebbero crepati uno a uno i lettori più saputelli. Ammazzati dopo aver detto la loro dalle colonne di un qualche giornale o dopo essersi alzati in piedi e aver parlato durante un dibattito di un qualche cineforum anni ‘70. Odio quelli che sanno tutto o che credono di sapere tutto. Soprattutto odio il fatto che presumano di essere gli unici a saperlo, questo “tutto”. Tu no?”
“Io pure. Sì”.
“Allora, sei dalla mia parte? Mi finanzierai questa bomba a orologeria?”
“Ricapitolando, il piano è mettere in circolazione questo film e aspettare la reazione del pubblico sulla rete. Tutti quelli che si accorgeranno del reale significato del film e orgogliosamente lo dichiareranno creperanno in circostanze misteriose… ma noi sapremo che verranno fatti fuori dalle stesse oscure organizzazioni a cui il film allude… I Grattaschiena di Riccioli Neri”.
I Grattaschiena di Riccioli Neri o affini, esatto”.
“Internet. Bella fregatura. Lo sai, ho ricevuto un’e-mail da un mio cugino, giù a Taranto. Non lo vedo mai. Non viene mai a trovarmi qui a Roma. E di solito, non mi scrive. Ma mi ha scritto. Qualche giorno fa. Gli è arrivata da pagare una multa perché si connetteva su un sito di film pirata. Sai cosa gli ho risposto? “Cazzo li scarichi a fare, i film?”. Gli ho scritto solo questo senza ciao né niente. L’altro giorno ero in metropolitana o in treno, cazzo Mirtillino, adesso non ricordo. Comunque, vicino a me siede un vecchio bavoso. Puzzava d’alcol. Era… nauseante, vederlo com’era messo. Cristo. Non ha due soldi per comprarsi delle pasticche per nutrire la pelle? Stava guardando una cosa dal cellulare. Mi ha spiegato, quando gli ho urlato di smetterla di guardare quella roba sul telefonino, che non poteva farlo. Era diventato dipendente. Dipendente da quei film… sai quali. Capisci, un vecchio si vede quei film seduto in corriera vicino a me. E per una malattia. Una dipendenza. Internet. Bella fregatura. Versami il quinto Mirtillino. Mi ci vuole”.
“Andiamo avanti così e fare film non sarà più un guadagno”.
“Vero. E ci sono tutti i sessanta milioni di commissari tecnici della Nazionale pronti a sbranarci, sulla rete. Su… Faccccceboook… Ai tempi del Fascio, dicevi una cosa contro il regime e ti prendevano a randellate. Oggi, la gente crede che non sia più così. Ma non è cambiato un cazzo. La gente crede di poter parlare. Poi, qualcosa nelle loro vite va in cimbali, e stanno ancora a chiedersi come mai. Saputelloni da Bar Italia. La gente si crede in gamba perché sa usare un telefonino o perché coglie significati reconditi in un film di un‘ora e mezza con quattro attori e due prostitute… Uh, ti do la laurea honoris causa, guarda!”
“Sta sicuro che per tutti i saputelloni del Bar Italia il mio film sarà un massacro!”

Mariano e Max alzarono i calici del dolce Mirtillino.

Anche se ha un paio di milioni di euro in banca (non è proprio così, i soldi sono gestiti dal suo commercialista – i commercialisti sono due, anzi, sono due studi – e i soldi sono spalmati qua e là, ma qui si racconta la storia di un regista che ha un incidente stradale con la macchina perché fa un frontale a causa di un veicolo che sta sorpassando e che accelera all’improvviso, impedendogli di completare il sorpasso… non è un intrigo finanziario, indi per cui “un paio di milioni di euro in banca” può accontentarci) Max è una star del cinema italiano molto tranquilla. Niente strepiti o stranezze da star. Ha una bella casa sul Gianicolo. Le star di Hollywood vivono a Beverly Hills o Bel-Air (c’è una leggenda metropolitana secondo la quale un giorno l’attrice Kate Bates ricevette una statuetta dell’Oscar come migliore attrice per posta e che a recapitargliela fossero stati gli ingegneri della Nasa commossi nel vederla dare acqua alle piante durante alcune ricognizioni effettuate con delle sonde spaziali; morale: Kate Bates è da Oscar anche quando dà l’acqua alle piante in giardino o si spazzola i capelli davanti alla specchiera di casa); le star di Cinecittà, invece, vivono all’Olgiata, ai Parioli o al Flaminio, alcuni all’Eur. Max vive invece sul Gianicolo. Tra Villa Lante, Villa Aurelia, Villa Sciarra ecco la casa di Max. E compresa nella “casa”, un garage privato. E nel garage privato un gioiellino d’automobile.

Max fa la sua solita colazione. Un uovo all’occhio di bue. Due salsicce in padella. Generosa innaffiatura di succo d’arancia. Poi, prende le sue carte (la sceneggiatura, e il resto), butta tutto quanto nel sedile del suo gioiellino d’automobile e vola verso Cinecittà. Innesta la prima, poi la seconda, comincia a girare il volante a destra, poi a sinistra, picchietta le mani sul volante, sorride, è allegro. La musica nelle casse dell’automobile contribuisce all’atmosfera. È OUFOUFOF del duo svedese SHXCXCHCXSH. Non può credere che Mariano lo finanzierà. Non può credere quanto male il suo nuovo film spargerà per il mondo. Quel… scemo del ‘800 avrebbe dovuto intitolare la sua opera I semi del Male, non I fiori del Male. Le opere di un artista assomigliano più ai semi che a fiori. Max picchietta. Gira il volante. Manda qualche ruttino per via della colazione. Le uova. Il paio di salsicce ben salate. L’aria è fresca. Il panorama nitido. Il cielo una pietra azzurra. Poi, incontra sulla sua strada una Mercedes che sta andando ai due all’ora. C’è la linea continua e si trova in prossimità di un tornante. Mette la freccia e la supera. Eccolo nella corsia di sorpasso. Canticchia un verso di OUFOUFOF dei SHXCXCHCXSH. Ma proprio quando lo affianca, la Mercedes (con i vetri tutti scuri, la carrozzeria nera da carro funebre) accelera impedendogli di completare la manovra.

“Che cazz…?!” urla Max pestando con una mano sul clacson.

In quel momento sbuca da un tornante un camioncino del latte. L’impatto è inevitabile. L’auto di Max cozza con il muso contro il camioncino del latte che non sterza nemmeno. I musi delle auto si accartocciano all’istante come scatolette. I parabrezza si frantumano. I corpi volano attraverso, strappati dalle cinghie di sicurezza, sradicati dai sedili. Più tardi, il cadavere di Max verrà ritrovato a pezzetti nell’abitacolo del camioncino del latte e quello dell’autista del camioncino verrà trovato nell’abitacolo del gioiellino d’automobile di Max. 150.000 euro di lamiere contorte.

La Mercedes tira dritto impenetrabile.

“Papà…!”
“Cosa? Cosa, c’è!”
“Ti avevo detto di firmarmi la giustifica per la scuola. Ho diciassette anni. Non posso firmarmi le giustificazioni da sola. Ti ho lasciato il diario sul tavolo stamattina e tu non lo hai fatto”.
“Io…”
“Sto facendo l’intervallo. Mi hai messo nei casini con i professori, Papà!!”
“Quella giustificazione era fasulla! E Papà Mariano non si farà mai complice di una porcata”.
“Ma Papà, è solo una giustificazione. Tutti lo fanno”.
“Ascoltami. Io non mi farò complice di una Porcata!”
“Papà, calmati… Non gridare co…”
“IO NON MI FARO’ COMPLICE DI UNA PORCATA! MI HAI SENTITO? NON MI FARO’ COMPLICE DI UNA…”
“…Ma Papà…”
“…PORCATA! FORSE ALTRI! NON IO! NON SONO UN COMPLICE! NON DI UNA PORCATA! NON SOVVENZIONO PORCI! CAPITO? PORCI CHE FANNO PORCATE! CAPITO? CAPITO? CAPITO?!!!”
“Papà…”

La comunicazione si interrompe.