Desidero condividere con voi questo racconto scritto una ventina di anni fa a quattro mani con mia moglie. È una favola intrisa di romanticismo e nostalgia, capace di risvegliare ricordi e fantasie che appartengono al passato, ma che continuano a vivere in un angolo nascosto del nostro cuore. Forse vi farà tornare alla mente momenti di magia e stupore vissuti nell'infanzia, quando tutto sembrava possibile o magari vi riporterà a emozioni e sogni coltivati da adulti, in cui il desiderio di evadere dalla realtà si mescola alla speranza.
C'è sempre qualcosa di eterno ed universale nel mantenere viva quella parte di noi che sogna, una scintilla capace di illuminare i giorni più grigi. Proprio per questo, è fondamentale non perdere di vista quel legame con il sogno e la fantasia, perché sono loro a darci la forza di affrontare con coraggio la quotidianità, ricordandoci che anche nelle difficoltà esiste sempre un po' di poesia.
–…Finalmente domani saremo nella nuova casa! – esclamò Eleonora con entusiasmo.
– Sì, cara, hai ragione... – rispose la mamma, asciugandosi la fronte. – Ma prima dobbiamo finire di caricare queste vecchie scatole sul camion.
– Cosa contengono? – domandò Eleonora, gli occhi brillanti di curiosità.
– Non lo ricordo più, amore mio. È tanto tempo che sono qui in solaio... Forse appartenevano alla nonna.
– Oh, che bello! Posso dare una sbirciatina veloce, veloce? – chiese Eleonora, con un’espressione supplicante.
– Non ora! – replicò la mamma, scuotendo la testa. – Non abbiamo tempo. Ma se proprio ci tieni, lo faremo nei prossimi giorni.
– Evviva! – esultò Eleonora. Ma nel suo entusiasmo urtò il braccio della mamma, e una scatola cadde rovinosamente a terra.
– Eleonora! Possibile che non riesci mai a stare un po’... attenta? – sbottò la mamma.
La bambina abbassò lo sguardo, mortificata. Non era sua intenzione combinare guai.
– Uffa, quando si ha fretta... – borbottò la mamma, raccogliendo altri oggetti. – Beh, ora rimetti tutto a posto, mentre io porto giù queste cose.
– Va bene, mamma, ci penso io!
Rimasta sola, Eleonora si chinò a raccogliere i fogli sparsi sul pavimento. Quando sollevò la scatola, il suo sguardo fu catturato da un quaderno nero con una piccola etichetta bianca. La scritta rossa, un po’ sbiadita, recitava: “Il mio Diario Segreto”.
– Che strano... – mormorò Eleonora tra sé.
– Eleonora! Sbrigati! – gridò la mamma dal piano inferiore.
– Arrivo! – rispose. Ma ormai la sua curiosità era incontenibile. Si sedette su uno scatolone e aprì il diario.
“Caro diario, oggi voglio confidarti un segreto che porto con me… La storia del mio Piatto magico...”
Eleonora iniziò a leggere con attenzione, sempre più affascinata dalla storia della nonna Melania, che raccontava di un piatto con al centro un piccolo folletto dipinto che si muoveva, sorrideva e parlava. La storia sembrava incredibile…
Mentre sfogliava le pagine, Eleonora sentì un brivido correre lungo la schiena. Sembrava quasi che il diario le parlasse. L’idea che il Piatto potesse esistere davvero le accendeva l’immaginazione. E se fosse ancora lì, nascosto tra le cose della nonna?
– Eleonora! Il camion sta partendo! – La voce della mamma la riportò alla realtà.
– Sto arrivando! – gridò Eleonora. Richiuse in fretta il diario e lo nascose nella tasca del suo giaccone. Poi, mentre scendeva le scale, si lasciò cullare da un pensiero: E se il folletto stesse aspettando anche me?
Appena le fu possibile Eleonora riprese il diario per continuare a leggere le confessioni della nonna Melania.
“Melania, smettila di sognare ad occhi aperti”, mi ripetono in continuazione, ma ti assicuro che, per quanto riguarda il Piatto, non è affatto fantasia.
E pensare che quando me lo hanno regalato, non gli ho dato alcuna importanza. L’ho nascosto nell’angolo più remoto della credenza e me ne sono dimenticata. Poi però, è successo qualcosa… O meglio, il Piatto ha fatto in modo che accadesse. Mio caro diario, vuoi sapere come?
Tutto è iniziato con strani segnali che io, però, non riuscivo a capire. Ogni volta che entravo in cucina, sentivo dei rumori provenire dalla credenza. Dapprincipio non li capivo, ma del resto, come avrei mai potuto immaginare che era il Piatto a crearli... Trascorse così un po’ di tempo, finché una notte feci un sogno inquietante. Sognai che il Piatto piangeva, disperato, perché stava per morire! La mattina successiva, ancora turbata, corsi in cucina senza neppure indossare le pantofole, nonostante le proteste di mamma. Aprii la credenza e lui era lì, esattamente dove lo avevo lasciato.
Lo fissai per qualche istante, indecisa… Poi lo presi in mano… E fu allora, che successe qualcosa di incredibile. Il folletto del piatto mi sorrise!
SìSì, mi sorrise davvero!
Con il cuore che batteva all’impazzata, corsi da mamma per raccontarle tutto. Ma lei, ovviamente, non mi credette. “Melania, un piatto che sorride? Non dire sciocchezze. Vai subito a metterti le pantofole e preparati per la colazione”, disse ridendo.
Delusa, tornai in camera con il Piatto sotto braccio. Non era giusto che non mi credesse! Lo fissai di nuovo e questa volta il folletto mi strizzò l’occhio.
Poi parlò: – Mangia sempre qui dentro e non te ne pentirai – disse con una voce allegra e gentile. Ero così sorpresa che mi scivolò dalle mani e cadde a terra. “Oddio, si è rotto!” pensai, ma per fortuna il Piatto era intatto. – Ahia! – esclamò lui. Mi inginocchiai per raccoglierlo e lo accarezzai.
– Così va meglio. Ciao, Melania! Come stai? Finalmente mi hai liberato!
Ero fuori di me dalla gioia. Non riuscivo a capire se stavo sognando o se fosse tutto reale. – Ma… come fai a parlare? – chiesi balbettando.
– Perché sono un Piatto magico! – rispose il folletto ridendo. – Portami con te – proseguì il folletto – e non dimenticare mai le uniche due regole che dovrai sempre rispettare, perché nessuno ci possa mai dividere: la prima è che non devi mai rivelare che sono un Piatto magico; la seconda è di mangiare sempre qui dentro.
Non sapevo che dire, ma una cosa era certa, sentivo che mi stavo affezionando al folletto del Piatto e da quel giorno, infatti, non ci siamo più separati!
– Melania, il latte si sta raffreddando! – intervenne papà, che nel vedermi arrivare con il piatto sottobraccio, aggiunse – Pensavo non ti piacesse!
– È vero – risposi. – Però ho cambiato idea – e la mamma aggiunse: – È perché crede che sorrida! Il papà scosse la testa, “Sogna, sogna finché puoi…”.
Dopo un’ora di lettura immersiva, Eleonora si alzò per sgranchirsi le gambe. A metà mattina, sistemò la scrivania sommersa di libri e quaderni, ma non riuscì a smettere di pensare a quella storia così strana ed affascinante.
A pranzo, raccontò ai genitori qualcosa del diario, ma senza entrare nei dettagli, perché voleva tenere per sé quella sorta di magia.
Nel pomeriggio, tra i compiti e qualche messaggio scambiato con gli amici, tornava spesso col pensiero a quelle pagine misteriose.
Al calar della sera, mentre il sole tingeva di arancio il cielo, Eleonora si rifugiò di nuovo in camera. La storia del diario era diventata una calamita e non vedeva l’ora di scoprire cosa sarebbe successo dopo. Aperto il diario riprese la lettura:
“Un giorno, mentre discutevamo animatamente con mamma e papà perché non volevo mangiare le verdure, che detestavo, accadde qualcosa di incredibile: le verdure sparirono dal piatto e lui… il folletto, iniziò a masticare!
Da quel momento, la mia vita con il Piatto Magico cambiò per sempre…”.
– Eleonora, spegni la luce! – urlò la mamma passando dal corridoio, richiamandola all’ordine. Eleonora chiuse di scatto il diario, lanciando un’occhiata all’ultima frase letta, come per imprimersela nella mente. Sistemò il libro sotto il cuscino, spense la luce e si infilò sotto le coperte, con il cuore che batteva ancora al ritmo delle avventure narrate.
L’eccitazione in lei non le permetteva però di dormire. Eleonora si girava e rigirava nel letto. Il pensiero del diario la tormentava. E se il Piatto magico fosse davvero lì, nascosto tra le cose della nonna? Non poteva aspettare.
Attese che i genitori dormissero, poi scese in punta di piedi, cercando di non fare rumore. Il corridoio era immerso nell'oscurità e il suo cuore batteva forte mentre attraversava il salotto per raggiungere lo scatolone che aveva portato con sé dal solaio. Con mani tremanti, aprì il coperchio. Dentro c’erano vecchie stoviglie, libri ingialliti e fotografie di altri tempi. Stava quasi per arrendersi quando, sotto un panno di lino ricamato, trovò un piatto. Non era un piatto qualsiasi: al centro, c’era un piccolo folletto disegnato, proprio come lo aveva descritto la nonna nel diario.
Eleonora trattenne il fiato. Sembrava che il folletto la stesse osservando. Gli occhi dipinti brillavano debolmente alla luce della luna. Per un attimo, le parve che il disegno si muovesse, ma forse era solo la sua immaginazione.
Poi accadde qualcosa di strano. Dal piatto si levò un suono dolce, simile a una melodia lontana, come un carillon dimenticato nel tempo. La stanza si riempì di una luce calda ed avvolgente e il folletto sembrò sorridere.
– Sei tu... – sussurrò una voce sottile. Eleonora sobbalzò, cercando di capire da dove provenisse.
– Chi... chi sta parlando? – chiese a bassa voce, il cuore in gola.
– Finalmente sei qui... Finalmente mi hai liberato! – rispose la voce, questa volta più chiara.
Il piatto emanò un bagliore intenso e, in un istante, Eleonora si trovò circondata da immagini che fluttuavano nell’aria: un bosco incantato, un castello dorato, creature strane e meravigliose. Tutto era così vivido che sembrava reale. – Eleonora, non dimenticare mai le uniche due regole che dovrai sempre rispettare, perché nessuno ci possa mai dividere: la prima è che non devi mai rivelare che sono un Piatto magico; la seconda è di mangiare sempre qui dentro – disse la voce, che ora proveniva chiaramente dal piatto.
Eleonora fissò il piatto, indecisa. Sentiva che quello era solo l’inizio di qualcosa di straordinario, ma anche di pericoloso. Poteva fidarsi?
La bambina strinse il piatto tra le mani, mentre la luce intorno a lei pulsava sempre più forte. Ma prima che potesse rispondere, un rumore improvviso alle sue spalle la fece sobbalzare. Si voltò di scatto, il cuore in gola, ma dietro di lei c’era solo l’ombra della porta che si muoveva lentamente.
Quando tornò a guardare il piatto, il folletto non c’era più. Ma sul bordo del piatto c’erano due parole incise, che prima non aveva mai notato: “Aprilo ora.” Eleonora rimase immobile, con il respiro spezzato. Sentiva che il tempo si era fermato, che tutto dipendeva dalla sua prossima mossa. Ma cosa voleva dire? E cosa sarebbe successo se lo avesse aperto?
– Eleonora, svegliati, è ora di prepararti – disse la mamma entrando nella stanza e spalancando le tende. La luce del mattino invase l’ambiente. Quando si voltò verso il letto, il suo sguardo si bloccò su qualcosa che sporgeva da sotto il cuscino di Eleonora. Si avvicinò, incuriosita e con delicatezza tirò fuori l’oggetto. Era un piatto, ma non come quelli della credenza. La superficie era lucida, quasi viva e rifletteva una luce che non sembrava provenire dalla stanza. Al centro, intricate incisioni facevano intravedere una strana figura, forse un folletto, forse un elfo…
– Da dove viene questo? – chiese con un tono tra il severo e lo spaventato.
Gli occhi di Eleonora si aprirono all’istante. Quando vide il piatto tra le mani della madre, un brivido le percorse la schiena. Si sollevò a sedere, con una calma forzata.
– Mamma, non toccarlo! – disse, tendendo le mani per riprenderselo.
– Eleonora, che cos’è? Perché lo nascondevi sotto il cuscino? – insistette la madre, senza cedere.
La ragazza esitò, poi abbassò lo sguardo sul piatto. – Non posso spiegarlo adesso. Ma prometto che presto capirai.
Eleonora si affrettò a riprenderlo, stringendolo tra le mani. – È mio – disse con decisione, lo sguardo improvvisamente fermo. – E c’è ancora tanto che devo scoprire.
La madre rimase in silenzio, incerta se spaventarsi o fidarsi. Ma prima che potesse decidere, Eleonora si alzò, il piatto stretto al petto. Si diresse verso la porta con un’aria determinata.
– Dove pensi di andare? – chiese la mamma.
Eleonora si fermò, guardandola sopra la spalla. – A capire cosa vuole da me.
E senza aggiungere altro, uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé un silenzio pieno di domande…
E così, il Piatto Magico, che un tempo era solo leggenda, si rivelò essere molto più di un semplice oggetto incantato. Non era fatto solo di ceramica e magia, ma di speranza, di sogni che prendevano vita e di desideri che trovavano un cammino. Ogni volta che qualcuno vi si avvicinava, portava con sé un frammento della propria storia e in cambio riceveva il dono più prezioso: il tempo per credere ancora, il tempo per amare senza confini, il tempo per tornare bambini, anche solo per un istante.
Perché in fondo, fantasia e realtà non sono mai state nemiche, ma danzatrici che intrecciano i loro passi nella grande coreografia della vita. E quando il cuore è abbastanza coraggioso da abbracciare entrambe, lì nasce il vero incanto.
Il piatto magico non sparì mai davvero. Rimase lì, nascosto nei luoghi dove l’amore si fa eterno e il tempo si ferma per un sorriso.
Forse lo troverai un giorno, forse è già dentro di te. Perché in fondo, la vera magia è questa: non smettere mai di credere che ogni istante può essere il più bello di tutti. E tu, lettore, porta con te questa storia, come una piccola scintilla che illumina la tua strada. Chissà, magari il prossimo desiderio sarà il tuo.















