Siediti. Ti devo parlare. Oggi la giornata è limpida, possono esserlo anche le parole.
Non tira vento e non fa rumore neanche il mare.
Puoi ascoltare, e magari anche accogliere e capire.

Sì perché la progressione dovrebbe essere questa: ascolti una parola, se ascolti sei nella capacità di accoglierla, con l’accoglienza arriva la piena comprensione e nel comprendere puoi trovare quei sinonimi dell’ascoltare che diventano abbracciare, rendersi conto, contenere, considerare, perdonare, scusarsi, intendersi, capirsi.
L’ascolto è incontrarsi, in modo armonico.

I suoi contrari invece sono voltarsi, dare le spalle, quindi escludere, non capire.
Puoi scivolare fino al fraintendere, criticare, biasimare. Risultato?
Delusione, quel poco alla volta che cambia le cose, a volte le distrugge.

Nel sinonimo può esserci affinità, corrispondenza, pace. Nel suo contrario no.
È opposizione.

Non c’è guerra nell’ascolto, ma intesa. È quella cosa perfetta dell’essere in relazione, connessione. Per ascoltare bisogna fermarsi un attimo, tendere l’orecchio, guardare almeno una volta verso l’altro, o dentro.

Siediti, incrocia le gambe, qui davanti alla riva, tra i minuscoli granelli della sabbia.
È morbida, un poco umida, ma non preoccuparti è piacevole, è come rugiada, piccole gocce incapaci di allagare, un beneficio a dosaggio di quella troppa fatica che sei costretto a portarti addosso.

Si, siediti così, nell’ascolto si sta fermi.
Non farti trascinare subito via dalla brezza delle convinzioni, nell’ascolto non c’è vento.

Non cercare di distrarre le parole, sono definite e sono definizione.
Puoi chiudere anche gli occhi, c’è il sole, sa oltrepassare il buio dello sguardo più serrato. E dà calore.

Ascolta, che le parole sono voce.
E una voce è un suono leale.

Ascolta: non mentire, mai. Non nascondere, non ti nascondere.
Dietro un dito, dietro al rancore o dentro ad un albero che non sia casa tua o verità.
Non giudicare, cerca piuttosto il discernimento, è arte più raffinata: non cerca sentenza ma l’avere chiaro ciò che è bene e ciò che male, per sé stessi e per non farlo ad altri, come invece ti fanno gli altri.
È buonsenso, è mantenere la giusta distanza e non la distanza dal giusto.

Non avere lo sguardo sempre severo, non ti tormentare, non punire, non pretendere troppo né da te stesso, né dall’altro, specie se non è capace.
Aiutalo, a fare bene. Può essere il tuo bene.

Non pensare di poter fare tutto da solo, ma non affidarti alla cattiva compagnia, stare in società non ha lo stesso valore dello stare in comunione. Ché comunione è la parola genuina dell’appartenenza, dell’identità.

Ci sono intenzioni che si spacciano per buone, ascolta bene però: fanno rima con la parola seduzioni, le suggeriscono come a tuo favore ma senza farti capire che ci sarà da pagare un prezzo, quello di giocarti tutto il valore.
Ma tu resta nell’ascolto, è in questo momento che ritorna, quell’arte preziosa del buon senso.

Metti a frutto il tuo talento, che è cosa ben diversa dal lasciare che lo sfruttino, è un tranello per alterare il tuo stile di vita, per convertire l'ordine della tua giusta misura con l’anarchia della loro dismisura.
Finirà in subbuglio e stanchezza, due parole disoneste e snervanti!

Non ti compromettere: non essere troppo ambizioso, che non vuol dire poter essere il più bravo, cancella la parola performante, che tira la tua corda fino a quando non la spezza. Traducila in dedizione, cosicché in tutto quello che fai possa esserci una dedica.
È così che togli arsura all’ambizione, per trovare il ristoro di una buona riuscita.

Saluta prima di andare. Quando sei sulla porta chiudila piano, e una volta fuori tieni con te il valore di quello che sei stato là dentro. Ora che sei via, non indossare altri panni, come si fa con le maschere, non lasciarti cambiare dagli sbalzi di temperatura, dal vento, dalla pioggia, dalla tempesta, non tradire fiducia, soprattutto quella di chi, con fiducia, ha imparato a stare nell’attesa del tuo bene.
Abbi cura.

Cercano di mostrarti com’è che si vive al meglio, quei vantaggi della spensieratezza da incipriare a velo sopra ogni cosa. Guarda bene, osservali: alle volte si è leggeri nel proprio essere vuoti, dentro la leggerezza dei loro passi c’è mancanza di suolo.

Non darti una misura, non sentirti forte soprattutto se non riesci a comprendere come si sta nella debolezza.

Non andare dietro a chi dice che si deve andare veloce, il tempo non è rapidità ma saggezza e riflessione. Concediti alla prudenza e cerca di non ferire. Non cambiare profilo, quello tuo più limpido che proviene dai valori semplici, e semplicità è una parola leggera sì, ma pura e vera.

Non pensare che ti basti cercare e trovare una verità, è tenerla stretta che è difficile, ogni giorno cercano di confonderla perché tu possa farne equivoco con quella misera che sta facendo orbitare il mondo.

Non assumere lo stesso tono selvaggio che alcuni mettono nelle loro parole, la tua è lingua madre, l’hai imparata dall’ascolto di parole che profumano di pane, parla in questo modo, perché è la parola che scegli, con il tono che gli dai, che dice chi sei.

Non scivolare nel luogo comune di quell’essere uomo leggero, se a rendere lieve sono vuoto e vanità. E non accomodare la leggerezza dell’altro, cerca invece di mantenere lo spazio migliore di chi trova l’esempio nell’autenticità di sé stesso.

Inventa, scegli e immergiti nel pensiero creativo. È quello che non ti definisce “uomo livido”.

L’uomo livido è l’uomo sociale, è l’uomo utile, persuaso della propria utilità. È l’uomo dall’identità più debole, quella di mantenere le cose in essere, quella della menzogna eterna del vivere in società.

E poi ci sarebbe un altro tipo d’uomo. Inutile, quello. Meravigliosamente inutile. Non è lui a inventare la carriola, le banconote, le calze di nylon. Non inventa mai niente. Non aggiunge né toglie nulla al mondo: lo lascia.

(Christian Bobin, “Terra promessa”, “Mille candele danzanti”)

Lui si lascia fare dal mondo.

Invece tu ascolta.
Non per insegnamento, non per obbligo, non per regola, non per grammatica.
Ascoltare è voce del verbo sentire.
Cogliere il senso e il valore.
Come si fa nell’azione del leggere, che è entrare dentro la parola, comprenderla e capirla, farne coscienza, prendere significato.

Ascolta, non sei solo.
Sono solo io. Qui, sulla sabbia bagnata e davanti al mare che è il solo che è rimasto ad ascoltare. In ogni suo moto d’onda ti restituirà il suono del verbo che ha da dire, cosicché, ogni volta, nel suo infrangersi a riva, tu non senta soltanto il rumore di te stesso.
E ascolti.