1. O.Ma.R. (Osservatorio Malattie Rare) è la prima testata giornalistica dedicata a malattie e tumori rari. Quando e come è nata?
Ilaria Ciancaleoni Bartoli: _O.Ma.R. _nasce nel 2010, da un’idea che avevo nel cassetto già da un po’. Da alcuni anni mi occupavo di comunicazione medica e scientifica e mi ero resa conto che nel mondo delle malattie rare c’era un vuoto da colmare. Tutti possono cercare informazioni e pubblicare materiali sul web, ma non sempre queste informazioni sono attendibili e nel campo delle malattie rare c’era molta confusione, la maggior parte delle informazioni non erano aggiornate e il livello di sensibilità dell’opinione pubblica ancora basso. La maggior parte dei siti web esistenti in materia era frutto del lavoro volontario e spesso saltuario di singoli o associazioni. Ho pensato dunque di mettere le mie competenze professionali, ma anche e forse soprattutto il cuore in questo settore. Il mio approccio è stato giornalistico: questo significa in primo luogo lavorare alla verifica delle fonti, esprimersi con un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori e produrre informazioni utili, in modo particolare ai pazienti e alle loro famiglie. La scelta dell’online come mezzo di diffusione è stata automatica, era l’unico modo per raggiungere un ampio numero di persone con una informazione gratuita. Ancora oggi, nonostante i costi di gestione siano di molto cresciuti, nessuno dei nostri servizi prevede ancora un abbonamento; ritengo che le informazioni su temi così rilevanti debbano poter circolare liberamente.

2. Ci sono state delle difficoltà particolari da superare nella fase di start up?
Nel 2010 la crisi economica era già nell’aria e i fondi da investire in questa iniziativa erano pochi, solo alcuni piccoli risparmi personali. La cosa più difficile all’inizio è stata trovare i contatti con gli sponsor da una parte e con gli specialisti dall’altra. All’inizio molti erano diffidenti, non credevano che questa iniziativa potesse essere nata semplicemente da un’idea professionale e la domanda che ho sentito ripetere più spesso è stata "chi c’è dietro?". Poi col tempo, mano a mano che le pubblicazioni andavano avanti e arrivava il consenso dei pazienti, delle associazioni e di molti medici, i sospetti sono caduti. Una certa diffidenza c’era anche da parte di molti colleghi: quasi tutti dicevano che, se chiudevano i quotidiani generalisti, uno così specifico avrebbe avuto vita breve. A tre anni di distanza questa ipotesi non si è verificata e la escluderei del tutto per il prossimo futuro. Dal punto di vista dei contenuti non è stato facile districarsi in questo mondo complesso, con malattie tanto diverse le une dalle altre - tra le 7.000 e 8.000 quelle censite - e con normative in gran parte ancora "in fieri", ma grazie anche al supporto del nostro comitato scientifico in tre anni siamo riusciti a crescere e a farci conoscere, tanto dai pazienti quanto dai medici e anche dai colleghi dei media meno specializzati. Per svolgere al meglio il nostro lavoro, infatti, la redazione si avvale del preziosissimo contributo del nostro Comitato Scientifico, composto da medici, professori universitari, ricercatori e altre professionalità che operano nel mondo medico sanitario su tutto il territorio nazionale.

3. Che ruolo ha e da chi è composto tale Comitato Scientifico?
ICB: Ad oggi sono 41 gli esperti che collaborano con noi, a titolo completamente gratuito, e che ringrazio. Tra loro spiccano nomi noti anche al grande pubblico, come il prof. Bruno Dallapiccola, il prof. Lucio Luzzatto e il prof. Giuseppe Novelli: molti altri sono considerati tra i massimi esperti nei loro specifici settori anche se meno noti al grande pubblico. Tra i "nostri" esperti voglio ricordare il prof. Renzo Galanello, uno dei maggiori esperti di talassemia che l’Italia abbia mai avuto e prematuramente scomparso: è stato uno dei primi membri del nostro Comitato e ha sempre sostenuto la necessità di una maggiore comunicazione su questi temi. Tra questi "41 saggi" ci sono alcuni che si dedicano esclusivamente alla ricerca, altri che invece sono più orientati all’attività clinica e altri ancora che dirigono grandi centri e hanno ruoli più istituzionali: per noi sono tutti ugualmente importanti perché i nostri lettori, e in primis i pazienti, vogliono sapere tutto sulla loro patologia, da quello che si muove nei lavoratori fino a quello che si muove a livello istituzionale e che può determinare la presenza o l’assenza di servizi importanti, come l’assistenza a domicilio o l’esenzione dal ticket.

Il ruolo del Comitato è fondamentale per il nostro lavoro: noi siamo giornalisti, non pretendiamo di essere degli esperti sulle singole patologie e non potremmo fare a meno del supporto medico. Sono i nostri "controllori", a loro ci rivolgiamo quotidianamente per avere opinioni sulle questioni di attualità (come nel caso della controversa vicenda Stamina), interviste su tematiche di loro pertinenza ma anche per avere conferme circa la correttezza scientifica di affermazioni che si intendono pubblicare. Di fronte a dubbi interpretativi di articoli scientifici, o quando ci giungono domande specifiche dai pazienti, facciamo ricorso a loro e così sappiamo di poter dare il meglio ai nostri lettori. Gli esperti del Comitato, inoltre, spesso propongono alla redazione particolari tematiche che loro sanno essere meritevoli di interesse o danno informazioni veloci e puntuali relativamente alle proprie sperimentazioni e ai progetti di ricerca: è anche grazie a questo loro impegno che siamo riusciti a dar risalto ad alcune eccellenze italiane in fatto di ricerca che altrimenti sarebbero rimaste nell’ombra.

4. Com’è dunque composta la redazione?
ICB. Attualmente la redazione è composta da 7 persone, più una (e tra poco due) in ufficio stampa. E’ una redazione quasi tutta al femminile, l’unico uomo è il nostro corrispondente da Cagliari. Le "nostre" sono giovani donne coraggiose: molte di loro si sono imbarcate in questa avventura quando ancora non era chiaro se il quotidiano avrebbe avuto lunga vita e quale prospettiva ci poteva essere. Ogni giorno le ringrazio di questo, la loro fiducia è stata una spinta fondamentale per andare avanti. Da quando abbiamo cominciato nessun collaboratore è rimasto "per strada", anzi, due sono riusciti a iscriversi all’ordine e, al contrario di quello che avviene in molti giornali, nessuno lamenta mensilità in arretrato. Lavorare "per la causa" è importante, e noi abbiamo molto spirito di gruppo, ma credo che il lavoro debba dare una soddisfazione anche economica e che da questo non si possa prescindere. In quanto all’organizzazione del lavoro noi puntiamo molto sulla responsabilizzazione e sull’autonomia: quello che conta è il risultato, non importa quale sia l’orario di lavoro e quale la sede. Gli uffici di Roma sono a disposizione di chi vuole usarli ma di fatto i nostri giornalisti lavorano per la gran parte del tempo nelle proprie città di residenza: Benedetta Morbelli nel Lazio, Ilaria Vacca in Veneto, Cinzia Pozzi e Anna Maria Ranzoni in Lombardia, Alessia Ciancaleoni Bartoli in Umbria e Matteo Mascia in Sardegna. Questo è un vantaggio per loro, che non hanno dovuto lasciare la propria vita per seguire il lavoro, ma è anche un vantaggio per O.Ma.R perché ci consente di essere presenti a molti eventi sparsi sul territorio, di avere rapporti diretti con tante università e associazioni locali di pazienti. Insomma, il nostro è un modello molto flessibile, ma non nell’accezione di "flessibilità" troppo spesso usata per peggiorare le condizioni di lavoro di tanti, giornalisti inclusi.
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5. Quanti lettori ha O.Ma.R. mediamente? Il rapporto dei pazienti con il web com’è?**
ICB: Abbiamo mediamente 4.000 visualizzazioni al giorno, che sono molte pensando al target specialistico. Lavoriamo moltissimo anche con i social network, in particolare con Facebook, dove ci seguono più di 7.000 persone, quasi tutti pazienti e familiari di pazienti. Del resto, i pazienti usano il web in moltissimi modi: per cercare informazioni, per organizzare eventi, per scambiarsi suggerimenti e idee e per cercare conforto, trovando altre persone che vivono la condizione di "rari". Per questo è importante che sul web trovino fonti informative sicure e aggiornate, che però non devono mai sostituirsi al parere del medico.

Anche sui social, dove la comunicazione è più immediata, c’è necessità di correttezza. Per questo abbiamo scelto di essere una presenza costante e di rispondere a tutte le richieste che arrivano dai social stessi. Per lo più indirizziamo i pazienti verso i centri specializzati oppure forniamo loro strumenti informativi per comprendere meglio una patologia. Grazie alle pagine di O.Ma.R. sono però nati anche gruppi di aggregazione e vere e proprie associazioni di pazienti, oggi attive per fornire supporto ai malati e ai familiari. La scelta iniziale è stata quella di fornire informazioni in lingua italiana, perché in inglese è già possibile leggere le pubblicazioni scientifiche e perché l’Italia era il nostro territorio di riferimento. Con il tempo però ci siamo accorti di avere molti lettori all’estero, alcuni ci chiedono di tradurre delle informazioni e abbiamo stretto contatti anche con associazioni di altri paesi. Così una delle idee che stiamo valutando ora è quella di aprire un portale multilingue, e questo porterebbe a un grandissimo aumento dei contatti.

6. Fornite anche consulenza medica online?
ICB. Assolutamente no, il nostro lavoro non si sostituirà mai a quello dei medici. Avremo però presto una sezione in pagina - L’esperto risponde -, dove saranno gli specialisti a rispondere ai pazienti. Anche in questo caso non si tratterà di una vera e propria consulenza, impossibile da fornire online in poche righe e forse impropria, ma di un servizio grazie al quale i pazienti potranno ottenere informazioni o magari porre le domande che non hanno mai avuto il coraggio di porgere. Inizieremo tra qualche settimana con una sezione dedicata all’infezione da citomegalovirus congenito, una rara patologia che tocca in particolar modo le donne in gravidanza, trasmissibile al proprio bambino. Successivamente sarà la volta delle malattie rare polmonari e molte altre ancora. A volte però i pazienti o i familiari ci scrivono non tanto per avere un parere medico, che noi non possiamo dare, ma per “sfogarsi”, per raccontare la loro storia, per farci sapere quali sono i loro bisogni e le loro emozioni: avere una malattia rara spesso vuol dire non avere nessuno con cui parlarne perché nessuno vive la stessa condizione o nessuno la conosce. Da noi trovano ascolto, conoscenza della patologia e anche un tramite per mettersi in contatto con altri nella stessa situazione. A volte, anche quando si hanno patologie inguaribili, sentirsi ascoltati e considerati “fa bene al cuore”, e poter entrare in contatto con altri aiuta ad affrontare cose che hanno un peso psicologico pesantissimo.

7. Cosa si intende per “malattia rara”? Ci può fare qualche esempio?
ICB: Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti su una data popolazione, non supera una soglia stabilita. In UE la soglia è fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 5 casi su 10.000 persone. Il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate oscilla oggi tra le 7.000 e le 8.000, ma è una cifra che cresce con l’avanzare della scienza e in particolare con i progressi della ricerca genetica. Stiamo dunque parlando non di pochi malati ma di milioni di persone in Italia e addirittura decine di milioni in tutta Europa. Secondo la rete Orphanet Italia nel nostro Paese sono circa 2 milioni le persone affette da malattie rare e il 70 per cento sono bambini in età pediatrica.

Il punto è però chiedersi cosa vuol dire essere un malato raro. Le malattie rare spesso non sono ancora riconosciute dal Sistema Sanitario Nazionale, per una questione di mancato inserimento negli elenchi ministeriali, quindi i pazienti non hanno diritto all’esenzione: devono pagare di tasca propria determinate prestazioni mediche, spesso costose. Le malattie rare sono poco conosciute, anche dalle commissioni deputate al riconoscimento dell’invalidità civile: ecco quindi che i malati rari spesso si trovano impossibilitati a lavorare e privati di supporto economico. Essere un malato raro può voler dire non conoscere, nell’arco di tutta la vita, un’altra persona con la stessa malattia. Non parliamo poi di che cosa possa voler dire essere genitore di un bambino affetto da una malattia rara, magari genetica. Alcune condizioni sono talmente gravi da non permettere ai bambini di arrivare all’età scolare.

Fortunatamente la medicina progredisce e una diagnosi precoce può salvare molte vite. Lo sapevate ad esempio che attraverso lo screening neonatale è possibile diagnosticare la presenza di più di 40 patologie gravi e gravissime attraverso il prelievo di una sola goccia di sangue dal tallone di un neonato? Una diagnosi precoce può salvare la vita di quel neonato, permettendogli di essere curato tempestivamente. Purtroppo in Italia siamo ancora un po’ indietro e a noi è capitato di conoscere famiglie che hanno avuto - e a volte perso - anche due figli a causa della stessa patologia, perché la diagnosi non era stata fatta alla nascita o perché la malattia del primogenito non era stata riconosciuta.

8. E’ possibile quindi guarire da una malattia rara?
ICB: Le malattie rare sono tante e molto diverse tra loro. Da alcune patologie si può guarire, con altre si può convivere per moltissimi anni, seguendo la corretta terapia. Per altre non esiste ancora una cura. Di certo arrivare velocemente a dare un nome alla propria malattia è sempre importante, se non per una guarigione almeno per migliorare le condizioni di vita. Per questo è bene che si investa in ricerca scientifica e farmacologica sulle malattie rare: ricerca che dovrebbe essere appoggiata dalle politiche europee e nazionali.

9. Proprio per attirare l’attenzione delle istituzioni e della stampa su questo mondo ancora un po’ nascosto nel 2012 O.Ma.R. _insieme a Telethon, Orphanet Italia, CNMR-ISS, Uniamo - con il sostegno di molteplici Enti e Associazioni Stampa - ha promosso il Premio Giornalistico _O.Ma.R. per le Malattie Rare, quest’anno alla seconda edizione. Di cosa si tratta?
ICB: Una corretta informazione sulle malattie rare è fondamentale: sprona le istituzioni ad attivarsi, aiuta i pazienti a connettersi tra loro, a trovare i servizi che gli sono utili e aiuta anche ad abbattere le barriere tra "sani" e "malati". Affrontare il tema delle malattie rare, posso dirlo per esperienza, non è facile. Così abbiamo pensato che sarebbe stato bello premiare chi lo fa bene e incentivare i colleghi a rivolgere la loro attenzione verso questo mondo. E così è nata l’idea del premio giornalistico. Oltre a premiare chi tratta, in maniera giornalistica e approfondita, corretta e originale, i temi inerenti le malattie e i tumori rari, l’idea di fondo è anche quella di contribuire a creare un flusso costante e autorevole di comunicazione su questo tema ai fini di sensibilizzare gli stakeholders e contribuire a una visibilità della ricerca presso le istituzioni.

Magari non è proprio un’idea originale, ma sulle malattie rare non c’era nulla di simile, e l’iniziativa è stata accolta con molto entusiasmo. Alla prima edizione (2012-2013) son stati riconosciuti idonei al Premio 90 giornalisti, esaminati oltre 130 elaborati di cui 113 ammessi, dal punto di vista della partecipazione è stato un successo. Il gran numero di partecipanti ci ha permesso di entrare in contatto con tanti colleghi che non conoscevamo interessati al mondo delle malattie rare. Il Premio O.Ma.R. replicherà quest’anno, con molte novità rispetto alla prima edizione: prevediamo di aprire il bando a ottobre e di premiare i vincitori nel febbraio 2014, in occasione della Giornata delle Malattie Rare. Lo scorso anno abbiamo distribuito premi per circa 15.000 euro e quest’anno speriamo di poter fare lo stesso e chissà, magari anche di più.

Per maggiori informazioni:
www.osservatoriomalattierare.it