La neurologa Rita Levi-Montalcini, Premio Nobel per la medicina nel 1986, tempo fa tenne una splendida conferenza dal titolo Il cervello imperfetto. Spiegava che l’uomo non usa completamente il suo cervello, mentre lo scarafaggio lo fa.

Nella crescente nebbia che avvolge il Pianeta e suoi abitanti, probabilmente guardare le cose dal punto di vista di uno scarafaggio ci darebbe una nuova prospettiva. Anche perché lo scarafaggio è sopravvissuto alla bomba atomica di Nagasaki, esiste da 300 milioni di anni e si distribuisce sulla Terra in oltre 4.000 specie. Tutte cose che gli danno un grande vantaggio sull’uomo. Ovviamente, tutti e due fanno parte del regno animale. Ma l’uomo fa cose che gli altri animali non fanno. Ad esempio, tortura. Ha un livello di coscienza e intelligenza che nessun altro animale possiede. Ma, ad esempio, non apprende dagli errori, cosa che invece tutti gli altri animali fanno. Quest’anno, a 70 anni di distanza, celebriamo la Dichiarazione dei Diritti Umani, ma stiamo ricreando tutte le condizioni che portarono alla Seconda guerra mondiale, tanto che si parla dei “Nuovi Trenta”. Abbiamo ripreso a sventolare le ben note bandiere “in nome di Dio” e “in nome della Nazione”, bandiere sotto le quali sono morte milioni di persone.

È dalla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 sull’ambiente e sviluppo che ci interroghiamo sul clima. Da Rio de Janeiro è nato l’Accordo di Kyoto per il controllo del cambiamento climatico, che, nonostante le buone intenzioni, ha avuto risultati trascurabili. Dopo anni di negoziati, siamo riusciti nel 2015 a convocare la Conferenza di Parigi con la partecipazione di tutti i Paesi del mondo. Perché succedesse, si è lasciato ogni Paese libero di fissare i suoi obiettivi nella riduzione delle emissioni di ossido di carbonio, e responsabile di controllarne la applicazione. (Pensiamo cosa succederebbe se lasciassimo a ogni cittadino la stessa libertà di decidere per le proprie tasse).

Ora sappiamo che il risultato degli impegni presi a Parigi porta a un aumento della temperatura del Pianeta a 3,6 gradi centigradi. Dal 1992 il lavoro degli scienziati climatici è consistito nel calcolare di quanto si può aumentare senza troppi danni la temperatura rispetto all’inizio della rivoluzione industriale. L'accordo comune è di 1,5 gradi, oltre i due gradi le conseguenze del riscaldamento diventerebbero irreversibili e sfuggirebbero al controllo dell’uomo. Si scioglierebbe, ad esempio, il permafrost della Siberia, rilasciando una grande quantità di metano, elemento 25 volte più dannoso dell’ossido di carbonio. E l’accordo di Parigi non contempla il metano, che è già prodotto massicciamente dagli allevamenti di bestiame, gli aerei, le navi.

Molto prima della Conferenza di Rio, nel 1988, l’Organizzazione Mondiale Meteorologica e il Piano per l’Ambiente delle Nazioni Unite avevano creato il Pannello Intergovernativo per il Controllo del Clima (IPCC), che riuniva gli scienziati climatici di 90 Paesi, per presentare i rapporti sullo stato del clima. I rapporti hanno progressivamente individuato nell’attività umana la responsabilità dell’aumento della temperatura, ovviamente con l’opposizione del settore di fossili, petrolio e carbone. Ma i dati sono chiari. Le emissioni di CO2 sono sempre andate aumentando, anche dopo la Conferenza di Parigi. E l’ultimo rapporto del 2018 “emissions gap report” lancia un brutale allarme: occorre, al ritmo attuale, triplicare gli sforzi per restare nei famosi 1,5 gradi, perché ci arriveremo tra 12 anni. Solo 57 Paesi sono sulla strada corretta.

E così si apre un dibattito fra miti. Quello dello sviluppo infinito, in cui la scienza e il mercato saranno i salvatori del Pianeta. L’amministrazione Trump ha persino presentato alla Conferenza Annuale delle Parti (i governi) un rapporto dove si difendono i combustibili fossili, con l’appoggio dei paesi produttori (Russia, Arabia Saudita, ecc). Per quanto riguarda la scienza, non c’è dubbio che stia giocando un ruolo positivo. Ma la scienza è diventata una variabile del mercato. Se le sue scoperte non vengono usate sono di poco conto. Il libero mercato, la storia ci dimostra, le usa solo se possono dare utili immediati e non crea conflitti con le fonti di guadagno già in uso. Un facile esempio è quello dell’industria automobilistica. Senza le norme progressivamente introdotte per aumentare la sicurezza, l’efficienza e la riduzione dell’inquinamento avremo automobili molto più scadenti di quelle attuali.

Il mito dell'efficienza del libero mercato, dalla caduta del muro di Berlino, ha lasciato senza freni e controlli, creando alcuni vincitori ma molti perdenti, che indossano dei giubbetti gialli e mettono a sacco Parigi. Per restare sul tema, i sussidi alle industrie fossili nel mondo sono attualmente 250 miliardi di dollari all’anno, mentre quelli al settore delle rinnovabili sono 120 miliardi. Il Centro comune di Investigazione, organo assessore scientifico della Unione Europea, ha calcolato che l'inazione sul cambiamento climatico costerà all’Europa 240 miliardi all’anno, con l’Europa del Sud maggiore vittima.

È successo al clima quanto di peggio potesse capitare: non è più un problema di sopravvivenza del Pianeta, ma uno scontro politico. Trump si è ritirato dall’accordo di Parigi per tre ragioni: disfare quanto aveva fatto Obama, che è un suo riflesso automatico; accontentare il mondo dei combustibili fossili americano, che va dai minatori disoccupati ai miliardari del settore energetico, come i fratelli Koch, che hanno investito (loro dichiarazione) 900 milioni di dollari nelle elezioni (buon esempio di democrazia americana, dove in base alla Corte Costituzionale le corporation hanno gli stessi diritti dei cittadini); e contrastare ogni accordo internazionale, perché l’America deve giocare il suo ruolo di grande potenza, senza essere imbrigliata in nessun accordo multilaterale.

Gli fa eco il suo mondo: il nuovo ministro degli esteri brasiliano, Ernesto Araújo, ha dichiarato che “il cambiamento climatico è stato usato per aumentare il potere regolatore degli stati sull’economia e il potere delle istituzioni internazionali sulle nazioni e sulle loro popolazioni, così come rallentare la crescita economica nei Paesi democratici capitalisti, e promuovere la crescita della Cina”.

Ecco che, per logica meccanica, la battaglia contro il cambiamento climatico è una cosa di sinistra, come lo è diventata la Pace, la solidarietà e la giustizia sociale. È la tesi con cui Trump si ritira dagli accordi di Parigi, e dichiara di non credere nei tre rapporti della sua amministrazione sul cambiamento climatico, di cui uno di 1700 pagine. Poiché è diventato uno specialista a mettere dei Dracula ad amministrare le varie banche di sangue che per lui rappresentano le varie amministrazioni ereditate da Obama, l’amministratore della EPA (Agenzia della Protezione dell’Ambiente USA) sta aprendo i parchi nazionali e le zone protette allo sfruttamento delle compagnie energetiche, così come il Presidente Bolsonaro dichiara di voler aprire l'Amazzonia alla deforestazione e alla produzione della soia. Peraltro, questo è il filo rosso che ci collega con gli altri due grandi avvenimenti di questo dicembre 2018, mese che resterà nella storia come l’entrata in crisi formale del sistema internazionale. La rivolta degli esclusi non può più essere ignorata, con Trump come protagonista centrale: la Conferenza delle Nazioni Unite di Polonia, quella di Marrakech e la rivolta dei Gilet Gialli.

La conferenza di Marrakech ha affrontato i principi della migrazione, per un’azione coordinata nel rispetto dei diritti umani dei migranti, lasciando ogni singolo stato a stabilire la propria politica. È stato un documento non vincolante, che non andava nemmeno firmato. Ebbene, gli Stati Uniti hanno dato il via a una rivolta: “Noi crediamo che il processo che porta alla sua adozione rappresenti uno sforzo delle Nazioni Unite verso un governo globale a spese del diritto sovrano di ogni stato di gestire il sistema di immigrazione, in accordo con le proprie leggi, politiche e interessi”.

Tanto è bastato perché si formasse rapidamente una coalizione di sovranisti, xenofobi e populisti, che hanno boicottato l’accordo. Dopo l’Austria, ecco l’Ungheria, la Polonia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, la Croazia, la Svizzera e gli alleati di Trump, come Israele, l’Australia e il Cile. Ed ecco che l’immigrazione diventa di sinistra, come il clima. Il governo belga ha perso il partito di estrema destra dell’autonomia fiamminga, ed è stato costretto a rifare la sua coalizione, perché ha deciso di partecipare alla Conferenza di Marrakech. La Germania e l’Italia hanno passato la patata bollente al Parlamento. Tutto questo su un documento di principi non vincolante.

Quello che è apparentemente incomprensibile è che si continui a evitare un dibattito serio sull’immigrazione. Le grandi immigrazioni, come quella della Siria, sono state causate da un intervento internazionale per cambiare il regime, senza pensare al dopo. Ovviamente ci sono anche coloro che fuggono dalla miseria, e non solo dai conflitti. Ma questa distinzione diventa sempre più labile. Secondo l’Agenzia dei Rifugiati delle Nazioni Unite, una persona ogni due secondi viene cacciata dal suo territorio, per conflitti e persecuzioni: un totale senza precedenti di 68,5 milioni persone. Di queste, 24,5 milioni sono rifugiati, e più della metà ha meno di 18 anni. Il numero di stati autoritari è andato aumentando negli ultimi 10 anni, e aumentano coloro che ne fuggono, anche per ragioni politiche. Ma sono rifugiati (e non immigranti economici, che non hanno diritti) coloro che fuggono per ragioni etniche, religiose o politiche. E ci sono 10 milioni di persone (come i Rohingya in Myanmar), cui è negata la nazionalità, che non hanno accesso ai diritti elementari, come educazione, salute, impiego e libertà di movimento, non esistono giuridicamente.

Ora arriva una nuova categoria che non esiste giuridicamente: quella dei rifugiati ambientali, che secondo l’Unione Europea sono 258 milioni di persone, obbligate a lasciare la propria casa per ragioni climatiche. Ma è una discussione difficile. Mentre è chiaro chi è vittima di un uragano o di un terremoto, è più difficile nel caso della desertificazione. Pensiamo al caso di Paesi-isola, come le Maldive, dove basta l’aumento di un metro del mare, per sparire fisicamente. Si può rimandare in Senegal un immigrato che viene per sfuggire dalla fame, ma dove si rimandano persone che non hanno più il loro Paese?

Una delle leggi della fisica è quella dei vasi comunicanti. L’Africa raddoppierà la sua popolazione in pochi decenni. La sola Nigeria arriverà a 400 milioni di abitanti, avvicinandosi alla popolazione dell’Unione Europea (circa 500 milioni). Il 60% degli africani ha meno di 25 anni, contro il 32% degli americani e il 27% degli europei. Secondo le Nazioni Unite, l’Europa avrà bisogno di almeno venti milioni di immigrati, per mantenere il suo sistema di pensioni e la sua competitività. Persino il Giappone, che ha sempre lottato per mantenere intatta la sua identità, la sua purezza etnica e culturale, di fronte all’invecchiamento dei suoi cittadini, sta aprendo senza fanfara le porte.

Le statistiche europee sono pubbliche ma ignorate. In Italia 2,4 milioni di occupati immigrati nel 2016 hanno prodotto 130 miliardi di valore aggiunto, l’8,9% del PIL, un ammontare maggiore del PIL di Ungheria, Slovacchia e Croazia messe assieme. In Italia c’è una media di sette nascite contro 11 decessi. Negli ultimi cinque anni, 570.000 nuove imprese su sei milioni sono state create da immigrati. Il lamento degli imprenditori, specie agricoli, è che non si trova mano d’opera italiana.

A livello mondiale, sostiene l’americano William Swing, direttore generale dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, nonostante gli immigrati siano solo il 3,5% della popolazione, producono il 9% del PIL mondiale. Ma non è quello che crede la gente. Secondo un’inchiesta della Unione Europea sui miti e realtà dell’immigrazione, gli italiani credono che gli immigrati siano il 20% della popolazione, quando in realtà sono l’8,3%. Credono che il 50% siano musulmani, quando sono il 30%, e che i cristiani siano il 30%, quando sono il 60%. Credono anche che il 30% degli immigrati sia disoccupato, quando sono il 10%, non lontani dalla media nazionale.

Questi miti italiani sono in realtà i miti di tutta l’Europa e con Trump, degli Stati Uniti. Fox News, il braccio televisivo di Trump, ormai quando si riferisce agli immigranti li chiama “gli invasori”. Trump vorrebbe erigere il muro più costoso della storia, dopo la muraglia cinese, per tenere fuori i criminali e i trafficanti di droga.

Qui si apre il tema centrale di questo articolo, troppo breve per trattare in modo efficiente temi apparentemente slegati tra di loro. Chi ha eletto i Trump, i Salvini, gli Orban e Bolsonaro, e chi vede la pace e la lotta contro il cambiamento climatico come posizioni di sinistra, la cooperazione internazionale come un complotto a favore dei cinesi, e gli immigranti come invasori? Bene le nazioni catalane dove un partito di estrema destra, nato dal nulla, ha preso 400.000 voti possono essere un ottimo elemento per capire la rivolta dei Gilet Gialli in Francia. In Andalusia, l’arrivo di Vox ha scompigliato tutti i giochi. Ha preso voti dall’elettorato dei partiti di destra, il Partito Popular e Ciudadanos. Dopo 23 anni di governo della regione, il Psoe, i socialdemocratici, hanno perso il controllo. Come è successo?

Gli argomenti dei votanti sono in ordine di importanza:
1) Vox lotta contro gli immigrati, che sono una invasione.
2) Il partito lotta contro la corruzione, che è invece diffusa nei partiti tradizionali. 3) Ci vuole un governo forte, perché con la lotta per l’indipendenza della Catalogna la Spagna si sta smembrando.
4) Perché uno spagnolo deve avere fame, o essere espulso dalla casa perché non paga l’affitto, quando si dà da mangiare e un tetto agli immigranti che arrivano?

Gran voto femminile, nonostante le dichiarazioni antigay e antifemministe come "le donne a casa". Dove Vox ha preso più voti di ogni altro partito è la città di Ejido, nella provincia di Almeria, che è diventata il vivaio della Spagna. La popolazione è di 86.000 abitanti, dei quali un terzo sono stranieri, un marocchino su cinque. Questi lavorano nei vivai che circondano la città, in condizioni precarie e di sfruttamento. La disoccupazione è più bassa della media spagnola. Nella città non esiste una sola libreria, e si vendono un totale di 600 giornali al giorno.

È evidente che gli immigrati, molti dei quali irregolari, fanno un lavoro che gli spagnoli non vogliono fare. Se un terzo della popolazione lasciasse il lavoro, sarebbe la fine della prosperità. E chi impiega gli immigrati, a 41 euro per otto ore di lavoro (35, per chi non è in regola)? Sono cittadini spagnoli. Identica situazione per gli immigrati nel sud d’Italia, sfruttati dai contadini, che dicono "con mano d’opera a buon mercato, ce la faccio a reggere, altrimenti dovrei chiudere".

In altre parole, l’immigrazione è diventata un mito. America first è diventata Spagna First, e così via. Riassume il sindaco: Vox è la voce della rabbia. Come si è arrivati a questa rabbia? Non nasce oggi, ma si è creata su tre decenni. Con la caduta del muro di Berlino, sparita la minaccia del comunismo, sono cadute le preoccupazioni sociali, e il mercato ha sostituito l’uomo come elemento centrale della società. Le spese non immediatamente produttive - sanità, educazione, assistenza alla vecchiaia - si sono ridotte progressivamente. I ricchi, perché produttivi, ricevono una riduzione progressiva di tassazione, a differenza dei poveri. La globalizzazione ha portato i ricchi a diventare più ricchi, e i poveri più poveri, ha delocalizzato le imprese, ridotto il potere d’acquisto della classe media, mentre la finanza cresce in un mondo proprio, svincolato dalle imprese. Scompare il ceto artigianale e i piccoli commercianti, divorati da Ikea e dai supermercati. Le città diventano sempre più importanti, e la campagna sempre più vuota e povera. Il prodotto di un contadino viene venduto agli intermediari a un quarto del prezzo finale. Dove una volta i votanti si identificavano con una fabbrica, con un sindacato, con una comunità di simili, oggi si trovano atomizzati in un vuoto privo di incentivi.

Poiché la nuova etica, dopo la fine dell’URSS, è quella di diventare più ricchi possibile (oggi 80 persone hanno la stessa ricchezza di 2.300 milioni di persone) il valore della competizione individuale aumenta la frustrazione dei perdenti. Infine, la crisi finanziaria del 2008, l’arrivo della quarta rivoluzione industriale con lo sviluppo tecnologico, che va eliminando dal mercato i non aggiornati nella tecnologia, crea una situazione di paura, di insicurezza, e i perdenti non si sentono più rappresentati nella politica, vista al servizio delle élites, e in mano a una classe politica autoreferenziale, corrotta e diretta a soddisfare soprattutto il mondo della città e il sistema. Le istituzioni vengono percepite come al servizio del sistema, e lo stesso destino corrono le istituzioni internazionali, l'Unione Europea e le Nazioni Unite. Nasce l’antipolitica, e la cavalcano partiti nati in gran parte dopo la crisi finanziaria del 2008. La lotta dell’antipolitica contro la politica diventa più forte della divisione fra destra e sinistra. Questa lotta porta alla Brexit, dove le città hanno votato per restare, le campagne per lasciare, cosa che si è ripetuta poco fa nelle elezioni polacche.

È la stessa politica della paura e del riscatto dei perdenti che ha portato al potere Trump, che ha perso nelle città, negli stati ricchi, e ha vinto in quelli poveri, nel mondo rurale delle fabbriche chiuse, delle miniere dismesse, votato da elettori mossi dal rancore, dalla rabbia e dalla paura. In tutte le piccole città, il fenomeno è lo stesso. Un'inchiesta a Montauban, una delle cittadine più attive nella rivolta dei Gilet Gialli, con meno di 60.000 abitanti, ha trovato che c’erano 27 macellerie prima dell’arrivo di Carrefour. Ne restano quattro. Lo stesso è successo con le frutterie, con molti negozi di abbigliamento e di artigianato, dopo l’arrivo dei supermercati. In tutto, hanno fatto chiudere circa 900 negozi.

Cittadini rispettati e considerati classe media si sono trovati improvvisamente messi ai margini e ignorati. Attraverso la televisione, vedono essenzialmente programmi sulle città e il mondo che cambia, in cui non hanno futuro. È da stupirsi che il rancore verso il sistema e i suoi appartenenti si trasformi in rancore? Le Monde pubblica una tabella sugli stipendi, nella quale si vede che una professione intellettuale superiore guadagna una media di 2.732 euro al mese, che scendono a 1.672 per gli agricoltori, artigiani e commercianti; ma precipitano a 1.203 per le attività precarie. La rivolta è scattata a causa dell'aumento della tassa sul gasolio di dieci centesimi. Uno degli slogan dei manifestanti è: Macron guarda alla fine del mondo, noi guardiamo alla fine del mese. Come se fossero due categorie simili. Per restare in Francia, Macron non è riuscito a capire che per i perdenti l’analisi razionale dell'efficienza aumenta la loro estraneità. La vita è soprattutto un fatto umano, e nessuno si occupa più di questo aspetto. Il modello di Schumpeter, che l’efficienza del mercato crei un processo di economia crescente grazie alla capacità di distruzione creativa del mercato, è per loro la prova che il sistema sia fatto solo per i vincitori, e che né loro né i loro figli avranno mai la capacità di uscire dalla situazione nella quale si sono venuti a trovare non per loro colpa.

Il movimento dei Gilet Gialli ha avuto grande successo, perché molte categorie si sentono ignorate. Quando la frustrazione aumenta con il passare degli anni e dei governi, e viene ridotta solo a un problema economico di sussidi, è inesorabile che si passi alla violenza. Coloro che si presentano come “uomini della provvidenza”, capaci di ascoltare e comprendere, aprendo lotte contro la corruzione, per il ripristino della legge, per la società tradizionale, per il mondo in cui tutto andava bene, dalla vecchia Inghilterra indipendente, alle grandi fabbriche e acciaierie degli Stati Uniti, avranno un appoggio incrollabile. In realtà un tempo esisteva un contratto sociale, gestito anche da forze intermedie come i sindacati, che dava un senso di speranza e d’identità collettiva, come essere operaio o ferroviere. Questo senso di comunità è scomparso, sono spariti quasi tutti i luoghi di aggregazione, come i circoli o le sale di ballo, sostituiti oggi dalle hall dei supermercati e dalle discoteche, cui solo i giovani hanno accesso.

Occorrerebbe anche aprire un capitolo sull’impatto della tecnologia, con internet e i social media che invece di portare a una maggiore comunicazione hanno portato a un mondo autoreferenziale e narcisistico, dove ciascuno si organizza un suo mondo virtuale, che rifugge dalla società reale, creando aggregazioni tra simili, senza più dialogo con gli altri. Anche se la rivolta dei Gilet Gialli è stata possibile grazie a Facebook, che ha fatto riunire centinaia di migliaia di persone aggregate contro il nemico comune, il sistema, che le ha ignorate e marginalizzate. Comunque, dovrebbe essere chiaro che la robotizzazione e l’intelligenza artificiale metteranno ai margini della società molte più persone di quanto farà mai l’immigrazione, con nuovi sacerdoti del sistema, i tecnici che sapranno gestire il mondo dell’intelligenza artificiale.

È quindi ormai evidente che senza giustizia sociale, non andremo lontano. Macron che taglie le imposte ai ricchi, per attirare i capitali in Francia, vive in un mondo diverso da quello di buona parte dei suoi cittadini. Soprattutto, vive in un mondo di cifre e di tabelle Excel. Un mondo in cui gli “uomini della provvidenza” ci porteranno inesorabilmente a una guerra. Funziona politicamente sfruttare la paura e l’ingiustizia per avere voti. Le battaglie dei perdenti della globalizzazione, le hanno aperte i movimenti sociali, il Foro Sociale Mondiale, ma chi le usa non è la sinistra, che con la terza via di Blair pensava di poter cavalcare la globalizzazione, quando è solo riuscita a perdere la sua base: la battaglia dei perdenti la usa una destra non ideologica, ma di pancia.

Creare un nuovo patto sociale, come esisteva prima della caduta del Muro di Berlino, non è facile. Occorrono i soldi, che non ci sono più. Il Fondo Monetario Internazionale ci informa che il debito mondiale supera i 182 trilioni di dollari. In un solo anno, è aumentato di 18 trilioni di dollari. Dalla crisi del 2007, il debito è aumentato del 60%. Stiamo tutti vivendo a credito, e Macron, che ora vorrebbe usare la giustizia sociale per riportare la pace, non ha i fondi per farlo. Peraltro, come sempre in un mondo che ha perso la bussola, i soldi ci sarebbero. Ogni anno il fisco dei paesi incassa 150 miliardi di meno, a causa dei paradisi fiscali che sarebbe facile mettere fuori legge in tempo brevissimo. La soluzione è sempre la stessa: se si potesse introdurre la giustizia sociale come primo obiettivo, sarebbe facile, anche a scala mondiale. Gli Stati Uniti, ad esempio, dopo l’attentato alle Torri Gemelle hanno speso l’assurda cifra di 5.9 trilioni di dollari in interventi militari e armamenti. Nel 2017, sono stati spesi nel mondo 1719 miliardi di dollari in armamenti, cifra mai raggiunta nella storia. Se le spese militari possono essere considerate necessarie da qualcuno, non vedo chi possa difendere le spese per la corruzione: l’anno scorso, secondo le Nazioni Unite, sono state 1 trilione di dollari, e i soldi rubati dai governi altri 2,6 trilioni. Un'altra prova dell’efficienza del libero mercato.

Torniamo al nostro scarafaggio. Secondo gli scienziati stiamo andando verso la sesta crisi di estinzione del regno animale e vegetale. L’estinzione è un fenomeno naturale, e colpisce da una a cinque specie ogni anno. Ma gli scienziati stimano che la frequenza attuale sia almeno mille volte superiore, con dozzine di specie ogni giorno. Si crede che per la metà del secolo saranno sparite almeno il 30% delle specie oggi esistenti. Ovviamente, lo scarafaggio non è tra queste. Si calcola che un edificio a New York abbia almeno 36.000 scarafaggi. E gli uomini sono giunti alla conclusione che occorra trovare un modo di ricavare proteine animali in modo diverso, più sostenibile, e che il cammino da seguire sia mangiare gli insetti. Esistono resistenze culturali (non in Cina e altri paesi), ma si possono superare con una presentazione appetibile.

Il nostro scarafaggio non può che desiderare che i pasticcioni del regno animale, chiamati uomini, si tolgano di mezzo il più presto possibile. Lo chiede tutto il regno animale e vegetale, e probabilmente anche quello minerale. Sicuramente, senza l’uomo, il Pianeta, nel giro di un ventina d’anni, diventerebbe ideale per la Natura.