La terribile esperienza di sequestro e prigionia di Giuliana Sgrena, nel 2005, nel corso di un suo reportage sulla condizione delle donne irachene, e la sua profonda e sofferta conoscenza del mondo islamico, l'hanno portata a riflettere sul rapporto tra le religioni monoteistiche e la donna.

Un rapporto che l'aveva toccata nel vivo, già nella sua infanzia in una scuola di suore; in particolare, la giornalista e scrittrice ricorda le lezioni di catechismo e la conturbante immagine del serpente tentatore e di Eva, responsabile del peccato originale. Il colpevolizzante tabù sessuale che quella rappresentazione biblica sottintendeva l'aveva poi portato dietro per anni.

D'altronde, riflette la Sgrena nel suo polemico saggio Dio odia le donne, edito nella collana Piccola cultura de il Saggiatore, già Aristotele, uno dei pilastri della cultura occidentale, aveva identificato la donna con la "materia", in contrapposizione all'uomo che è "spirito".

Nell'Antico Testamento la donna è creata per le esigenze dell'uomo: "Dio non ha scelto spontaneamente di crearla per un fine proprio, autonomo, limitato a lei sola - come ha scritto Simone de Beauvoir nel Secondo sesso - l'ha regalata ad Adamo per salvarlo dalla solitudine. Lei nel suo sposo ha principio e fine ...".

Questa visione della femmina come appendice del maschio, si riverbera, naturalmente, sull'importanza data dalle religioni monoteistiche alla verginità, proprio perché una donna "integra" soddisfa maggiormente il senso di potere e di possesso dell'uomo ed è un forte deterrente alla sua libertà. Nella Bibbia, tra le doti di Rebecca si cita la verginità, e nel Levitico si prescrive di ammogliarsi con una vergine, il paradiso dell'Islam, poi, è popolato da conturbanti fanciulle mai prima toccate da uomini e premio ai combattenti per la causa di Allah.

Nel cattolicesimo, Agostino di Ippona è uno dei più strenui difensori della "purezza" della donna: Eva fu condannata a partorire con dolore. Maria, la nuova Eva, è invece esente da questa sofferenza, le madri normali sono "violate", Maria, al contrario, è "intatta" e posta al di sopra di tutte le donne. Da qui deriva anche l'imposizione, da parte della Chiesa, del dogma della verginità della Madonna, in seguito ampliato in quelli dell'Immacolata concezione e dell'Assunzione in cielo.

L’aspetto forse più significativo - anche perché estremamente attuale - che riguarda la subalternità della donna nel monoteismo è l’ordinazione sacerdotale. Nell’islamismo e nell’ebraismo, grazie anche alla varietà di indirizzi teologici, si è aperta qualche incrinatura nel maschilismo sacerdotale e nelle Chiese riformate il sacerdozio femminile è una realtà, anche perché nella teologia protestante ha un fondamento basato sull’affermazione che tutti i credenti sono chiamati a predicare il Vangelo. Nel cattolicesimo e nell’ortodossia, invece, le porte al sacerdozio femminile sono inappellabilmente sbarrate. Sotto il pontificato di papa Wojtyla la questione è stata definitivamente chiusa e nel 2010 la Santa Sede ha stabilito che l’ordinazione delle donne è “un grave crimine contro la fede”, ma anche oggi, con papa Bergoglio, il divieto è incontrovertibile, basti citare, ad esempio, il quasi minaccioso titolo dell’Avvenire del maggio scorso: “Dottrina della fede: il no alla donne prete è definitivo”, ribadito “dalla scelta di Cristo che ha voluto conferire questo sacramento ai dodici apostoli, soli uomini”.

Ma se ci rifacciamo all’insegnamento, e soprattutto all’agire di Gesù, secondo Ida Magli, ecco che l’approccio al mondo femminile rompe con la tradizione sottomissione della donna ebraica. Gesù, infatti, secondo l’antropologa, si rivolgeva a singole persone, senza fare distinzione di sesso e “dice alla singola donna che incontra: vai, fa’, parla, cambia la tua vita, scegli … si rivolge alla persona, proprio quello che nella società antica, ma sommamente in quella ebraica, non era riconosciuto alle donne: essere persone, autosufficienti, autonome …”.

Questo atteggiamento “laico” di Cristo non fu poi recepito dai discepoli, incapaci di “vivere senza rituali, senza sinagoga, senza sacerdoti, senza peccato originale”. Di conseguenza, nella Chiesa romana, da loro edificata, ritornava l’inferiorità della donna nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, tutte rigorosamente maschili, creando una complesso di sofferta subordinazione. E questo spirito sacrificale, per sé e per gli altri “è il dramma che ha sempre accompagnato le donne nel 'cristianesimo' e sotto il 'cristianesimo': liberarsi, assolutizzando la propria condizione di vittime… favorendo così, senza saperlo e senza volerlo, lo strutturarsi di un Potere sempre più forte delle gerarchie ecclesiastiche, visto che nulla favorisce i Potenti quanto l’atteggiamento di subordinazione e di sacrificio dei sudditi”.

La Magli, poi, in Storia laica delle donne religiose, riporta sorprendenti ritratti di mistiche, spesso vittime di direttori spirituali maschi che le spingevano all’autoannientamento, ma anche ritratti di donne che dimostrano come siano state proprio loro a inventarsi lo “stato sociale”, “curando dal primo Medioevo ai nostri giorni, l’istruzione per i poveri, l’assistenza negli ospedali non soltanto per i malati, ma anche per tutti quegli emarginati che arrivavano, ieri come oggi, nei nosocomi: barboni, bambini abbandonati, folli, appestati, ragazze madri, vecchi …”, senza che il mondo maschile quasi volesse rendersene conto.

Nelle religioni monoteiste, d’altronde, dio è maschio, a sua volta supportato da potenti gerarchie maschili, e questo fattore non è di poco conto nella difficile conquista di uno spazio teologico significativo da parte delle donne: “La più drammatica componente della storia delle donne – riflette ancora l’antropologa - dai primi secoli del cristianesimo con il martirio, fino ai nostri giorni, è stata infatti sempre questa: qualsiasi cosa le donne abbiano fatto, tutto è servito a stabilire o ristabilire il Potere: quello ecclesiastico, quello familiare, quello sociale, quello culturale”.

La crisi di valori e l’emergere di proposte di “spiritualismo” di varia provenienza, con la prevalenza dei fondamentalismi – secondo Giuliana Sgrena - ha portato spesso a vedere nella “femmina” la prevaricatrice o la vittima: “Una ragazza viene lapidata perché accusata di aver bruciato una copia del Corano in Afghanistan; negli Stati Uniti si spara contro le cliniche che praticano l’aborto; nei conflitti le donne sono considerate bottino di guerra. Nella notte di Capodanno del 2015, a Colonia e in altre città tedesche, un attacco di violenza inaudita, anche sessuale, scatenato contro le donne che si trovavano in piazza, da parte di una massa incontrollabile di maschi – di origine arabo-musulmana, ma anche occidentale – ha reso evidente qual è il nemico delle culture misogine e patriarcali …”. Che fare?

Anzi tutto, conclude la Sgrena, ritrovare il valore e il significato di “laicità” - spesso volutamente confuso con “laicismo” – “come urgenza necessaria; e libera scienza in libero stato, come diceva Margherita Hack: sono questi i principi fondamentali per un nuovo Rinascimento, che possa finalmente superare tutte le false credenze”.

Per Ida Magli, certo femminismo cade nella tentazione di interpretare la differenza sessuale come superiorità della donna “trappola logica che non può sussistere nella realtà concreta, ma non cambia nulla al problema vero … anche ammesso che si riuscisse, a livello teologico, a far inserire aspetti materni nell’immagine di Dio (cosa comunque priva di intelligenza oltre che inutile, dato che, come è ovvio, è la struttura della società terrena che è stata proiettata su Dio, e questa società è ancora fondata sul potere maschile), l’unica speranza delle donne è combatter per l’uguaglianza … fra individui, fra soggetti i quali, in quanto tali, sono anche tutti uno diverso dall’altro”.