Egitto è secondo Omero il “fiume caduto dal cielo”, (Od. IV, 477.581) cioè il Nilo. Per gli antichi non era difficile divinizzare un fiume dalle esondazioni prodigiose, apportatrici di nera terra vitale. Fertilissima. Da cui la città di Kemi, la città di Perseo. Un fiume che rendeva quasi inutile la pioggia. Un fiume abitato da esseri, animali, ninfe, come Menphis.

Con Egitto si inverte il rapporto fra acque inferiori e superiori, come appare anche in quel passo del Salmo (29.10) dove il Cielo è paragonato a Oceano. Egitto conferma la saggezza di Erodoto e di Apollodoro nel dichiarare la primogenitura egiziaca rispetto alle stirpi e al mito elladico, in quanto è dal fratello gemello di Belo, Egitto appunto, che derivano le peregrinazioni delle Danaidi che fondano la stirpe regale di Argo, sacra a Hera, la città più antica e nobile dell’Ellade.

La palude sacra di Lerna non è altro che la mimesi dei riti isiaci del Delta del Nilo. All’origine c’è sempre l’Egitto. Demetra è Ghe Meter, la Terra nera del Nilo, Iside. Il Nilo è Osiride. Le genealogie non mentono mai nella loro stringente spietata logica. Da Egitto derivano anche Kadmo ed Europa. Kadmo che reca l’alfabeto alla Grecia e compie un rito fondativo di aratura che sarà ripetuto da Giasone in Colchide, colonia egiziana, e che è mimesi dei riti di fecondazione di Osiride. Kadmo che fonda Tebe, la città di Heracle e di Dioniso, la città che riprende il nome della città sacra egiziana. Nome delle due sfingi, o meglio la città dove transmigra l’unica Sfinge.

Kadmo da cui deriva la stirpe degli Spartiati, i “seminati” Kadmo come nuovo Deucalione. Dalle paludi del Nilo alla paludi di Lacedemone e di Eleusi. Ad Argo infine il primo re sacro è l’egiziano Api. Per il Mito però quasi tutto è reversibile e allora i re egiziani derivano da Epafo, il “toccato”, il fulvo figlio di Io, la prima ninfa amata da Zeus. Io sacerdotessa argiva di Hera. Io la sacertodessa-vacca, custodita dal fratello Argo dai cento occhi, come Ladone, e resa folle dall’estro mandato da Hera. Io peregrinante fino alla Scizia di Prometeo accompagnata da Hermes per poi trovare pace nel Delta. Io allegoria dei Lelegi? Io quale emblema dei “Popoli del mare” che occuparono parte del Delta sotto Ramesse?

Io è figlia di Inaco, fiume sacro e antico, e quindi è ninfa delle acque. Ma Egitto è anche l’avvoltoio. Formalmente è emblema dell’Alto Egitto ma tale potente immagine possiede una profondità sacra più vasta di un segno dinastico. Le divinità femminili più importanti infatti recano l’avvoltoio sul capo, sopra la chioma: Iside, Nekhbet, Imeret, Nefti, Hathor, Nefertari, e Mut, sposa di Amon e figura dalle molte decisive denominazioni: Occhio di Ra, Signora delle due rive, Signora del cielo e Signora degli dei. L’avvoltoio indica il potere superiore della Grande Dea in quanto si riteneva che esistessero solo avvoltoi femmine e che partorissero fecondate dal vento, come le Arpie che partoriscono i cavalli di Achille in riva a Oceano.

Αἴγυπτος deriva non a caso la propria radice semantica da aix-aisso, cioè il “vento impetuoso” e fecondatore. Αἴγυπτος compare anche sui sarcofagi in corrispondenza del petto e reca volando lo shen, l’anello dell’eternità entro il quale è inscritto il nome del faraone. Medesimo segno lo troviamo nelle mani di Lilith-Cibele. Avvoltoio impugna nei suoi artigli, unico, anche gli altri segni sacri dei culti egizi: Ankh, la croce egizia, e Djed. Plutarco nelle Questioni romane ci ricorda come Heracle, eroe solare dal sapore egizio, amasse gli avvoltoi, a cui si rivolgeva prima di ogni fatica a scopo augurale, e che li ritenesse esseri esemplari in quanto: “sono i più onesti fra gli uccelli: non attaccano mai gli esseri viventi”.

Questa logica manifesta con forza il carattere igneo e solare dell’avvoltoio, in quanto il sole corrompe e dissecca ciò che è morto ma non uccide i viventi che nutre e sostiene. Nell’episodio omerico delle sirene il tema dominante è il sole con la vampa di fuoco. L’avvoltoio soprintende archetipicamente il mondo sirenico e quello che accade infatti attorno alle sirene, cioè la corruzione della carne, lo sciogliersi della cera, il disseccarsi delle pelli, indica l’azione ignea dell’Avvoltoio, archetipo da cui deriva anche la Fenice.

Orapollo e Artemidoro di Daldi ci confermano infatti che Fenice e Avvoltoio sono accomunati dal loro significato di rinvio all’anno solare. Il racconto mitico infatti li associa ai 360 giorni dell’anno, metà dei quali si riteneva che l’Avvoltoio li passasse nel gestare i loro piccoli. Metà dell’anno con il vento fecondatore e metà dell’anno senza vento. Le ali dell’avvoltoio recano la piuma della giustizia e l’Occhio sacro di fronte a Osiride. Possiamo considerare l’Occhio solare e alato tipico della maggior parte delle teofanie egizie quale espressione somma dell’immaginario dell’Avvoltoio.

Una figura importante di raccordo fra Egitto e Grecia è Melampo: introduce il culto di Dioniso in Grecia, cioè il culto di Osiride, è argonauta, è padre del profeta che incontra Telemaco, taglia per primo il vino con l’acqua, è veggente e guaritore e il suo nome indica la sua origine egizia. Ebbene Melampo riesce a guarire Ificle dall’impotenza proprio ascoltando la voce degli avvoltoi che li rivelano la cura segreta. Ritroveremo l’avvoltoio nel castigo di Prometeo e di Tizio e infine nei dodici rapaci avvistati da Romolo alla fondazione di Roma.

Antonio Liberale nelle sue Metamorfosi ci soccorre nella saggezza dell’etimo svelando il retroscena del racconto mitico in relazione alla parola: Aegypius Αἰγυπιός. La storia di Egipio, figlio di Anteo e figlio caduto per inganno nell’incesto, nuovo Edipo, è una storia di una trasformazione punitiva proprio in un avvoltoio. La mascheratura di un nuovo nome quale metamorfosi d’oblio necessaria per superare il trauma antisacrale. Il tema dell’essenza vitale quale forma alata nelle varie forme di Ba, Kere, Strigi, Sirene e Arpie, probabilmente rinvia a una Grecia e un Egitto ancestrali, primitivi, dove i riti funebri contemplavano l’esposizione dei cadaveri all’aria. Nell’Iliade il corpo di Achille viene cremato solo dopo ben 18 giorni.

Anche in Egitto i riti di imbalsamazione presupponevano un periodo di tempo apprezzabile fra morte e conclusione del rito. È il “tempo dell’Avvoltoio” che accompagna quale psicopompo l’essenza vitale nei mondi invisibili. Le strane cerimonie funebri dei Colchi nelle Argonautiche di Apollonio, con i cadaveri issati sugli alberi, ricordano i simili riti persiani che Evola esalta quale forme di disincarnazione simbolica. L’Avvoltoio quale emblema sapienziale e iniziatico di elevata spiritualità, in analogia con l’esaltazione di Ade quale allegoria del regno dello Spirito nel Socrate platonico del Cratilo.