L’immaginario collettivo nei confronti dell’odontoiatria oscilla fra due estremi. Da una parte sconta ancor oggi retaggi arcaici che svalutano questa disciplina relegandola alla pratica estrattiva dei denti malati, per giunta inesorabilmente dolorosissima, seguita dalla loro sostituzione con la dentiera facendo fatica persino a riconoscere i notevoli passi compiuti nella riduzione del dolore operatorio e della componente stressogena grazie agli anestetici locali e alla sedazione cosciente. Dall’altra parte è come dopato dalla strepitosa evoluzione tecnologica che ha messo in mano al dentista sorprendenti possibilità terapeutiche che, mai così in altre specialità mediche, sono in grado di modificare pesantemente l’apparato di competenza, nella fattispecie la bocca. Suddette considerazioni valgono parimenti sia come possibilità di ricostruire ciò che è andato perduto sia come salvaguardia dell’esistente attraverso prevenzione e profilassi. I risultati ottenuti nei confronti dei due principali nemici della bocca - carie e malattia parodontale - fanno dell’odontoiatria contemporanea un unicum in campo medico. Forse che altre specialità hanno ottenuto altrettanto nei rispettivi campi d’azione, per esempio gli ortopedici e i fisiatri con il mal di schiena o gli oncologi con i tumori ?

Nonostante questo biglietto da visita l’endodonzia - la disciplina odontoiatrica riguardante il dente devitalizzato - permane argomento in parte irrisolto e comunque spartiacque tra due diversi paradigmi con cui si concepisce l’odontoiatria stessa. Da una parte il tecnicismo che consente una maggiore percentuale di sopravvivenza dei denti naturali in bocca, dall’altra la biologia. Considerando il cilindro come esempio, possiamo proporne l’osservazione da due punti di vista secondo due diverse sezioni. Quella medesima figura solida sembrerà in un caso un cerchio, nell’altro un rettangolo.

La patologia dentale inizia con la carie. Essa, assieme alle manovre terapeutiche per la sua rimozione e restauro, rappresenta il primo passo di destrutturazione del dente inteso come organo. La Chinesiologia Applicata fornisce tuttavia la possibilità di selezionare procedure e materiali di restauro tollerati dal paziente e compatibili con il suo sistema immunitario.

Quando la carie ha già causato un’iperemia pulpare, quadro ancora reversibile, esistono terapie che consentono di non trattare direttamente la polpa ma ricercano un’influenza positiva sul complesso pulpo-dentinale e hanno come target quello di preservarne la vitalità evitando la devitalizzazione del dente. Si tratta dell’incappucciamento diretto della polpa mediante idrossido di calcio. Nei casi con prognosi negativa bisogna invece procedere alla devitalizzazione del dente asportando completamente la polpa e sostituendola con un materiale da otturazione canalare.

La devitalizzazione

L’obiettivo del trattamento non deve essere semplicemente quello di conservare il dente nella cavità orale. Se il mero salvataggio e mantenimento del dente nella cavità orale così come la liberazione dal dolore costituiscono elementi di soddisfazione da parte del paziente per il successo del trattamento, siamo in grado di trattare endodonticamente con successo. Tuttavia se consideriamo il problema dal punto di vista biologico e consideriamo la situazione di esposizione dell’organismo da parte di un dente trattato endodonticamente, è quasi impossibile parlare di un successo del trattamento. Se vogliamo alleviare biologicamente l’organismo e mantenerlo privo di irritazione infiammatoria, un trattamento endodontico deve essere valutato molto criticamente. Immunologicamente il dente, a partire dalla data di devitalizzazione, viene percepito dall’organismo come non self. In senso biologico è senza senso l’affermazione spesso sentita da medici che il proprio dente è ancora la cosa migliore proprio perchè immunologicamente non è più il proprio dente !! Stiamo parlando di denti morti diventati quindi corpi estranei, esterni all’organismo. Da qui comincia l’Odontoiatria Ambientale. In quest’ottica l’approccio proposto da Bernd Milbrodt per conto della Deutsche Gesellschaft für Umwelt-ZahnMedizin - traducibile proprio come “Società Tedesca per l’Odontoiatria Ambientale” - rappresenta un punto di partenza equilibrato e senza estremismi per inquadrare il problema e per farne prendere coscienza in modo nuovo sia ai pazienti sia agli operatori professionali in odontoiatria.

Innanzitutto possiamo trattare solo una percentuale della polpa del complesso pulpo-dentinale. In altre parole, nonostante la procedura più attenta, alcune porzioni dell’endodonto rimangono non trattate. Di conseguenza i protocolli applicati devono essere molto rigorosi per garantire la terapia più accurata. Lo scopo è di mantenere il più basso possibile nel senso quantitativo lo stimolo ambientale “dente morto” e il conseguente onere associato sull’organismo puntando cioè a contenerlo all’interno del campo di tolleranza del sistema biologico il quale però potrebbe anche ridursi in caso di malattie. La conservazione del dente è un obiettivo degno ma quel dente devitalizzato non sarà certamente un dente sano o un membro a pieno titolo, biologicamente parlando, del sistema stomatognatico. Ci riferiamo sia ad una carente gestione del problema microbiologico sia ad una deficitaria obliterazione e sigillatura volumetrica dello spazio endodontico sia all’utilizzo di cementi non tollerati dal paziente o contenenti composti tossici come la paraformaldeide. In termini di un approccio biologico questa procedura deve essere valutata a nostro avviso sicuramente come un’aberrazione.

Perché allora accettiamo l’Endodonzia?

Spesso questa terapia malgrado tutti gli inconvenienti e i rischi sopra menzionati è un compromesso necessario e le sue alternative comporterebbero ulteriori problemi. Se il paziente si presenta in urgenza presso l’ambulatorio odontoiatrico con una pulpite ad un incisivo centrale superiore, il dentista difficilmente sarà in grado di convincerlo proponendogli un’estrazione immediata anche se biologicamente utile. Lo stress psicologico associato alla perdita dei denti non è un fattore da sottovalutare e gioca una parte importante nell’equilibrio del soggetto a maggior ragione valorizzando una concezione olistica dell’individuo e dell’unità mente-corpo. Gioca un ruolo anche l’aspetto economico comportato dai costi per la chiusura di uno spazio edentulo. La perdita di pilastri strategici può inoltre precludere la possibilità di un nuovo trattamento di restauro conservativo o protesico di tipo fisso. Questo aggiungerebbe un ulteriore problema psicologico al paziente. Le alternative protesiche implicano l’utilizzo di tecnologie - e relativi materiali - spesso complesse che non possono essere considerate uno scarico dal punto di vista biologico. Infine sia per il paziente sia per molti praticanti dell’odontoiatria sussiste una mancanza di basi culturali ed è un problema metabolizzare il concetto di non self immunologico.

Criteri decisionali

In endodonzia abbiamo a che fare con procedure molto inclini al compromesso. Per il dente non vitale, dal punto di vista medico, un’apparente restitutio ad integrum non può ripristinare il valore biologico della situazione originaria. Il raggiungimento dell’obiettivo passa attraverso la cura e l’alta qualità dei processi per ridurre al minimo l’onere futuro sull’organismo. La decisione a favore o contro un trattamento endodontico dovrebbe essere presa nel contesto delle circostanze in particolare biologiche del paziente. Giocano un ruolo cruciale fattori quali l’età, malattie di base, propensione all’infiammazione, condizioni di vita, storia medica, precedenti diagnosi. Dobbiamo affrontare i nostri pazienti sottolineando sempre il carattere del processo di trattamento che è pieno di compromessi e la cui prevedibilità è limitata. Un gran numero di fattori, su diversi livelli, devono essere soddisfatti per un giudizio di previsione che può ridursi rapidamente. Se i denti morti richiedono troppe prestazioni da parte del sistema immunitario, allora possono venire favorite altre malattie che possono essere di maggiore importanza per le nostre vite. Al netto dunque dell’ipotetica azione di responsabilità eziopatogenetica esercitata proprio dal dente stesso per il fatto di essere stato devitalizzato (male), ipotesi da tenere sempre nella dovuta considerazione, anche l’avvenuta decisione di curare e conservare il dente affetto da pulpite devitalizzandolo (bene) invece di estrarlo deve essere successivamente e continuamente messa in discussione nel caso insorgano nuove malattie. Tutto ciò dal momento che nel corpo umano abbiamo un solo sistema immunitario la cui capacità non è un pozzo senza fondo.

Test che possono aiutare nella decisione.

  1. Marker infiammatori ematici (VES, PCR ma anche TNF-α e IL-1β) sono segni di un’infiammazione sistemica esistente che può essere causata da un focus dentale.
  2. Può accadere il contrario cioè che alti valori sistemici della citochina proinfiammatoria TNF-α alzino la percentuale di insuccesso delle terapie endodontiche. Lo studio pubblicato nel 2013 dalla d.ssa Elisabeth Jakobi-Gresser ha individuato una correlazione statisticamente significativa tra questi due fattori e costituisce una grande novità in endodonzia.
  3. Mercaptani e tioeteri (catabolismo proteico) possono essere determinati semiquantitativamente.
  4. Sensibilizzazione immunologica a mercaptani e tioeteri riscontrabile in laboratorio su un test di stimolazione delle citochine in vitro.
  5. Sensibilizzazione ai materiali da otturazione canalare con guttapercha, cementi e altri componenti (anche accessori di metallo) indagabile con LTT - Test di Trasformazione dei Linfociti.
  6. Evidenza di malattie immunologiche (ad esempio un aumento di fattori reumatoidi, auto-anticorpi).
  7. Tendenza genetica all’infiammazione (soprattutto Polimorfismo Genetico del gene TNF-308 G/A) come ulteriore fattore pro o contro l’endodonzia.
    I contributi di soggetti istituzionali come Deutsche Gesellschaft für Umwelt-ZahnMedizin e IMD-Berlin costituiscono per me dei punti di riferimento. Tuttavia il fondamento della Metodologia Clinica che utilizzo nella mia pratica clinica si basa sull’utilizzo di manovre semeiotiche guidate da un’autentica interpretazione olistica della Chinesiologia Applicata che rendono disponibile al dentista un metodo semplice ed economico ma soprattutto dirimente utilizzabile non solo durante le visite di Medicina Olistica ma anche nella routine quotidiana all’interno dell’Ambulatorio Odontoiatrico. Nello specifico dell’endodonzia questa metodologia è di fondamentale importanza e consente per esempio di valutare:
  • se un dente devitalizzato fornisce un riscontro significativo al test chinesiologico risultando al di fuori del range di tolleranza biologico di quel paziente in quel momento
  • se tale problema è di natura endodontica cioè causato da un trattamento incongruo o da un’otturazione canalare effettuata con materiali tossici
  • se il danno è emendabile.
    Quest’ultima possibilità terapeutica può passare attraverso il ritrattamento stesso di quel dente invece della sua estrazione oppure operando in modo che esso rientri all’interno del range di tolleranza ampliando quest’ultimo. Per raggiungere questo obiettivo si deve agire sinergicamente attraverso un riequilibrio e un rafforzamento del sistema immunitario sia con una terapia sistemica orientata secondo la PNEI - Psico Neuro Endocrino Immuno sia paradossalmente attraverso la cura e l’eliminazione di foci dentali o campi di disturbo causati da altri denti presenti all’interno della bocca.