Il 28 agosto 1733 al Teatro San Bartolomeo di Napoli andò in scena, negli intervalli tra i tre atti dell’opera seria Il prigionier superbo, La serva padrona composta da Giovanni Battista Pergolesi su libretto di Gennaro Antonio Federico, destinata a diventare l’intermezzo buffo più famoso della storia del teatro in musica.

Nella prima metà del XVIII secolo era pratica comune nei teatri italiani inserire negli intervalli di un’opera seria un breve interludio comico. Diversamente dai complicati drammi che si sviluppavano intorno a grandi passioni e nobili virtù, tutte declamate con la maiuscola: Amore, Onore, Dovere, Fedeltà, Vendetta, queste piccole “opere da camera” derivavano direttamente dalla tradizione della Commedia dell'Arte, che fornì il modello per i personaggi e per le trame.

Vi si raccontavano storie di ambientazione in genere borghese, e rappresentavano il controcanto parodistico delle opere “impegnate”; allo stesso modo, gli artisti in scena non erano le grandi star cosmopolite dell’epoca, come i celebri castrati Farinelli o Caffarelli, ma bravi cantanti con buone capacità recitative che giravano le “piazze” teatrali con piccole compagnie.

Gli intermezzi buffi si avvalevano di un’orchestra e di un cast ridotti (di solito solo due o tre personaggi), e in genere non avevano overture, a differenza dell'opera seria che non ne poteva fare a meno. Quanto ai temi trattati, mentre le opere serie erano un potente strumento di politica culturale delle classi dominanti, tendente a confermare e anzi a rafforzare lo status quo sociale attraverso una sua spettacolarizzazione scenico-musicale, questi intermezzi, mettendo alla berlina i potenti e facendo trionfare l’arguzia e i buoni sentimenti del popolo, contengono un sottotesto sociale potenzialmente eversivo, un aspetto questo che troverà la sua massima espressione nelle Nozze di Figaro di Mozart.

La tradizione storico-musicologica, forzando un po’ le cose, ritiene che La Serva Padrona segni l’inizio del genere dell’Opera Buffa; in realtà è più giusto dire che il breve lavoro di Pergolesi, tra i grandissimi musicisti della Scuola musicale napoletana, non è propriamente un’opera buffa, ma ha grandemente influenzato l’evoluzione di questo genere, che annovererà geniali e insuperati capolavori come appunto Le Nozze di Figaro o Il Barbiere di Siviglia di Rossini.

La Serva padrona già nel 1734 viene portata all’Académie Royale de Musique di Parigi, e nella reggia di Versailles; nel 1746 giunge anche al Théâtre-Italien di Parigi; nel 1750 all’Her Majesty’s Theatre di Londra. Nel 1752 ritorna in Francia, e nel 1754 fu rimaneggiata e tradotta in francese da Pierre Baurans per la Comédie Italienne.

Sarà proprio questa riproposta parigina a dare origine alla cosiddetta “Querelle des bouffons”, ovvero la disputa tra i sostenitori dell'opera tradizionale francese, la tragédie lyrique nello stile di Jean-Baptiste Lully e Jean-Philippe Rameau, e quelli della nascente opera buffa italiana. Gli intellettuali e la buona società in Francia si divisero, ma non, come ci si aspetterebbe, per classi, con il Primo e Secondo stato da una parte e il Terzo dall’altra. In effetti, non fu solo la borghesia che si schierò compatta con i “bouffons” italiani, ma anche parte della nobiltà e persino la regina fecero altrettanto. Per non parlare degli enciclopedisti, che furono i più convinti “italianisti”, primo tra tutti Jean Jacques Rousseau.

Il libretto originale di Federico si sviluppa attorno a un ricco scapolo, Uberto, che dovendo combattere tutti i momenti con la sua cameriera Serpina, decide di averne abbastanza del suo comportamento insolente e dichiara di voler cercare moglie. Ma Serpina mette in atto un piano per farsi sposare lei, chiedendo a Vespone, l’altro servitore di casa, che in scena non apre bocca, di farsi passare per un suo pretendente, il Capitan Tempesta. In realtà Uberto, che ama Serpina ma non lo ammette neanche con se stesso, si rifiuta di concedere Serpina all’uomo e alla fine si dichiara e le chiede di sposarlo.

Nella versione francese, i tre personaggi diventano Zerbine, Pandolfe e Scapin. Il libretto di Pierre Baurans segue fedelmente le arie e i recitativi originali, adattandosi allo schema metrico e ritmico e all’andamento lirico delle frasi musicali di Pergolesi. I recitativi secchi originali divengono invece dialoghi parlati, seguendo il gusto francese. Baurans aggiunge però due nuove arie per Zerbine, musicate da lui stesso, e semplifica il duetto finale, meno articolato rispetto all'originale.

La prima rappresentazione italiana della La servante maîtresse, la versione integrale in francese di questo capolavoro, non avvenne che nel 2010 nell’ambito del X Festival Pergolesi-Spontini, sulla scia del rinnovato interesse per il ‘700 napoletano e per Pergolesi in particolare.

Un’iniziativa che si annuncia di grande interesse è la messa in scena, che avverrà prossimamente a Napoli, della prima esecuzione moderna della partitura bilingue (italiana e francese) eseguita a Parigi nel 1754, a cura dell’Accademia delle Arti Performative di San Potito, con il Concentus Sigismondo diretto da Dario Ascoli. In questa versione i personaggi “francesi” interagiranno in scena con quelli “italiani” nei tre numeri composti da Pierre Baurans. Nell’occasione, sarà anche riproposto il duetto finale scritto da Pergolesi, che era stato a lungo sostituito da un altro tratto dall’opera Il Flaminio.

La messinscena prende l'avvio dalla locandina originale del 1754, che annuncia una “Comédie en deux Actes, Mêlé d’Ariettes, Parodiées de La Serva Padrona”, e prevede l’intervento in scena di maschere della Commedia dell’Arte. Un recupero filologicamente preciso, dunque, ma poi sviluppato "a mano libera" per così dire, con divagazioni e interpolazioni come era prassi nei teatri popolari nel Sette-Ottocento.