Questa non è una storia qualunque. Per me, non è neppure un'intervista come le altre. Perché Tiziano Buccarello l'ho conosciuto dieci anni fa, in circostanze che ancora oggi mi fanno sorridere.

Era il compleanno della mia dolce metà ed io, romanticone impenitente, avevo avuto la folle idea di farle recapitare un video di auguri da George Clooney in persona. Solo che, come si può immaginare, Clooney non risponde proprio ad ogni WhatsApp. Così, dopo qualche ricerca e qualche giro strano su Internet, mi imbatto in lui: Tiziano. Il sosia perfetto. Occhi, sorriso, postura. Clooney in carne e ossa… O quasi.

Gli scrivo, spiegandogli il mio piano improbabile. E lui, con una gentilezza disarmante e un'autoironia che mi ha conquistato subito, accetta. Il risultato? Un video esilarante, credibilissimo, che ha fatto esplodere di gioia e di risate, festeggiata ed ospiti. Personalmente, da allora non l’ho più dimenticato.

Negli anni, ho seguito a distanza il suo percorso. Da semplice sosia a protagonista di eventi internazionali, da imprenditore a scrittore. E oggi che ha pubblicato Ma che fatica sembrare George, non potevo non ritrovarlo. Perché dietro quel volto che richiama Hollywood si nasconde un uomo autentico, intelligente, profondo. Uno che ha scelto di giocare con la propria immagine, senza mai smarrire sé stesso.

Quella che segue non è solo un’intervista: è il proseguimento di una storia iniziata dieci anni fa, fatta di coincidenze, risate e piccole verità. Un viaggio personale e un po’ surreale, tra identità, destino e quel pizzico di follia che serve per prendere la vita… con stile. E perché no, magari con un espresso in mano. Alla Clooney, certo. Ma alla Buccarello, soprattutto.

Tiziano, ti sei mai chiesto quale sia la linea sottile che separa l'uomo dalla sua immagine?

É una bella domanda, credo che la linea tra l’uomo e la sua immagine sia fatta di aspettative! È sottile, ma potente: può trasformare una persona in un simbolo o una presenza reale. Io mi sono sentito spesso di camminare su quel confine.

La somiglianza con George Clooney ti ha mai fatto riflettere su quanto ognuno di noi sia definito da ciò che gli altri vedono, anziché da ciò che siamo veramente?

Sì, spesso. La somiglianza con George Clooney mi ha fatto capire quanto siamo definiti dallo sguardo degli altri, in certi casi perfino io resto colpito, a volte mi sono chiesto chi sia davvero!

Immagina per un istante che George Clooney stia leggendo queste parole. Se potessi raggiungere il cuore di quell'uomo che milioni di persone vedono come un'icona, cosa gli diresti, senza filtri, senza paura di essere frainteso?

A George direi: “So che porti il peso di un volto che è diventato icona. Io, in piccolo, ne porto l’ombra. A volte prima che apra bocca sono già George, la copia, l'illusione! Ma dietro ogni riflesso, c’è un uomo. Spero tu non ti sia mai sentito solo, perché anche le immagini hanno bisogno di essere comprese, non solo ammirate.”

Quando ti trovi di fronte a persone che vedono in te una sorta di "ombra" di George, come ti fa sentire essere ridotto a una figura senza volto? Cosa pensi che nasconda il loro sguardo?

Mi accorgo che dietro il loro sguardo c’è forse anche una curiosità, un tramite o una speranza: quella di trovare qualcosa di autentico anche dentro una copia.

C'è mai stato un momento in cui, anche per un istante, hai percepito che la tua esistenza stava convergendo verso la sua, come se, attraverso la tua somiglianza, stessero camminando due vite parallele destinate ad incontrarsi?

Sì, ci sono stati momenti in cui ho sentito che le nostre vite si sfioravano. Come due binari paralleli. Se potessi parlarmi in quei momenti, mi direi: “Non sei un’imitazione, sei un ponte o un riflesso dove dietro c'è un uomo”.

Da uomo che ha scelto di vivere con una consapevolezza sociale rara, Clooney ha usato la sua fama per cambiare il mondo. Qual è la tua eredità come sosia?

Io credo che ogni immagine possa diventare messaggio. La mia eredità, se posso chiamarla così, è quella di trasformare una somiglianza in un messaggio, di portare luce anche rimanendo nell'ombra.

Se potessi avere la possibilità di incontrare George Clooney, non come sosia ma come un uomo che ha vissuto momenti simili e forse diversi, cosa gli chiederesti in un incontro che potrebbe essere irripetibile?

Ho avuto la fortuna di incontrare George Clooney due volte. La prima fu nel 2003 all’Hotel Hassler di Roma, dove stava presentando il film Confessioni di una mente pericolosa. La somiglianza era tale che persino i suoi bodyguard rimasero sorpresi e mi portarono da lui. George fu gentilissimo: mi abbracciò e mi lasciò una dedica. La seconda volta fu ancora più incredibile: mi chiamarono per lavorare come suo double sul set del film The American, girato a Sulmona, in Abruzzo. Clooney era il produttore del film. Purtroppo, in entrambe le occasioni non riuscii a dirgli nulla: io non parlavo inglese e lui non parlava italiano. Ma restano ricordi indelebili.

Cosa pensi di come il pubblico vede la tua somiglianza con Clooney? Credi che il mondo abbia mai compreso che dietro a quella faccia c’è un uomo con una storia da raccontare, che va ben oltre l’immagine che riflette?

Il pubblico spesso si ferma alla superficie. Ma io spero che, guardandomi, qualcuno si sia chiesto: “Chi è davvero quest’uomo?” La mia faccia somiglia alla sua, ma la mia anima è solo mia. E merita di essere raccontata.

Se potessi scambiare per un giorno la sua vita, quale sarebbe il primo passo che faresti? E quale sarebbe, invece, l’ultimo?

Osservandolo, sento a volte un rispetto profondo, ma anche una distanza. Se potessi vivere la sua vita per un giorno, il primo passo sarebbe ascoltare in silenzio. L’ultimo? Raccontare agli altri che anche chi sembra avere tutto ha bisogno di essere visto davvero.

Se un giorno George Clooney dovesse leggere questa intervista, cosa speri che capisca di te? Cos’è che, forse, non avresti mai avuto il coraggio di dirgli di persona, ma che ora senti sia il momento giusto per esprimere?

Vorrei che capisse che non ho cercato di essere lui, ma di essere me stesso, anche con il suo volto. E forse non ho mai avuto il coraggio di dirgli che la sua immagine mi ha permesso di capire chi sono, anche se mi ha portato a vivere momenti di gloria e viaggiare in un bellissimo mondo se vogliamo surreale.

Qual è il sogno più grande che coltivi nel cuore, una volta che avrai messo da parte la tua somiglianza fisica con George?

Il mio sogno più grande? Essere ricordato non per chi somiglio, ma per quello che ho scelto di essere. Un uomo che ha trasformato una coincidenza genetica in una possibilità di dialogo, di riflessione, di umanità.

Qual è l’incontro che speri di vivere, oltre l’immagine?

L’incontro che sogno è con qualcuno che mi guardi e mi dica: “Finalmente ti vedo.” Non George, non il sosia. Ma Tiziano. Intero.

Come può cambiare il mondo se imparassimo a guardare oltre i riflessi?

Il mondo cambia quando ci accorgiamo che ogni vita, anche se riflessa, ha un suo valore profondo. La somiglianza è solo la porta. L’anima, quella vera, è ciò che dobbiamo imparare a vedere.

Riflessioni finali

Dieci anni fa cercavo George Clooney, convinto che un volto potesse bastare per emozionare. Non per me, ovviamente, ma per amore. Volevo donare un sogno a chi ho nel cuore dal nostro primo incontro: alla mia metà, alla madre dei nostri figli, a colei che è la forza che dà vita ad ogni mio sogno. Ciò che non avrei mai immaginato è che, nel cercare un’icona, avrei incontrato un uomo. Un uomo che oggi ha un nome, una voce, una storia: Tiziano Buccarello. All’inizio fu solo un gioco, una luce illusoria che brillava per un attimo. Ma con il tempo e con le parole che mi ha affidato, ho compreso che dietro quel volto così familiare si cela una storia che sfida la superficie e scava nel profondo, interrogando l’identità. La sua vita è una riflessione vivente su un tema eterno: quanto di noi stessi ci viene restituito dallo sguardo degli altri? E quanto, invece, riusciamo a riconoscerci nel riflesso che il mondo ci impone? Tiziano non è semplicemente il sosia di un attore. È l’uomo che ha scelto di camminare sulla linea sottile tra l’essere e l’apparire, tra l’ombra e la luce, tra la maschera e il volto. In un’epoca che corre dietro le immagini, lui ha deciso di rallentare, di ascoltare, di trasformare quella somiglianza in uno specchio filosofico, psicologico, umano.

E in quel riflesso, con pudore e coraggio, ha trovato se stesso. Da regista, da autore, ma soprattutto da uomo, sento che questa storia ha una voce potente, universale. Una storia che merita di diventare narrazione, cinema, emozione condivisa. Immagino già una sceneggiatura che si muove tra identità e simbolo, tra ironia e introspezione, tra risate di festa e silenzi profondi. Un film che non ha bisogno di effetti speciali, perché l’effetto più straordinario è la verità che vibra dietro ogni parola. E sogno. Sogno che questo film possa davvero nascere. Che George Clooney, uomo prima che divo, possa non solo leggerlo, ma sentirlo. Perché lui, oltre ad essere attore, è anche produttore. E chi meglio di lui, che ha fatto della sua immagine un ponte per cause umanitarie e battaglie vere, potrebbe comprendere il valore di una storia così? Non per egocentrismo, non per spettacolo. Ma per dare voce a quell’interstizio invisibile che separa ciò che sembriamo da ciò che siamo. Per ricordare al mondo che ogni immagine, anche la più perfetta, ha bisogno di essere accolta con umanità. Perché dietro ogni volto riflesso c’è un’anima che chiede solo di essere riconosciuta.

Forse, un giorno, ci ritroveremo davvero, io, Tiziano e George, non in un gioco di ruoli, ma in un dialogo sincero tra uomini. Forse accadrà che, in un angolo di set o su una panchina qualunque, potremo guardarci negli occhi, senza filtri, senza luci artificiali. Solo per dirci, semplicemente: "Finalmente ti vedo". E chissà… Mi piacerebbe credere che sarà proprio Clooney a produrre questo film. Perché, in fondo, le storie più vere sono quelle che sembrano nate per caso, ma che, come in ogni buon film, erano scritte da sempre per accadere. Certo, probabilmente resterà solo un sogno, perché, nella realtà, certe persone restano inarrivabili. Non per scelta, ma per quell'invisibile barriera che il mondo costruisce attorno a loro. Una barriera che non è fatta di porte chiuse, ma di guardiani silenziosi, di aspettative troppo grandi, di ruoli troppo pesanti. Ma io credo che dietro quella distanza ci sia un incontro che potrebbe cambiare tutto. Un incontro che, per quanto improbabile, potrebbe nascondere la più grande delle magie: la possibilità di vedere oltre l’immagine, oltre il mito, oltre la perfezione.

E forse, in quel sogno impossibile, noi tre ci troveremo finalmente senza filtri, senza veli, come uomini. Non più come riflessi, ma come esseri umani che si riconoscono. Non è forse questo che il cinema, nella sua forma più pura, sa fare? Rivelare l’impossibile e trasformarlo in realtà? E in quel momento, forse, il mondo intero capirà che dietro ogni mito c’è una vita da vivere, dietro ogni specchio una storia da raccontare. E io, insieme a loro, saremo pronti a raccontarla.