Raramente in una sola persona si racchiudono i valori di una terra, le sue asperità, le sue ricchezze. Questa terra è il Collio, piccolo territorio al confine tra Italia e Slovenia, noto nel mondo per la qualità e la bontà dei suoi vini. La persona è Marco Felluga, un tutt’uno con le sue vigne, i suoi vini. Raccontarne la storia è l’impegno a capire una terra difficile, dura, al centro di un vero e proprio crogiuolo della storia, e dove la storia è passata con la sua forza distruttrice, divisoria e che pure racchiude in sé i germi di quello che può essere se gli uomini collaborano e smettono di combattersi l’un l’altro.

Parlare di Collio e di vino è una cosa sola, anche se le ricchezze di questo fazzoletto di territorio sono molteplici. Ma certamente è nel vino che i talenti appaiono in tutta la loro ricchezza e potenza. Una terra per molto tempo lontana, anche nella narrazione, un luogo ricordato soprattutto per i passaggi di eserciti e armati. Una terra anche complessa nella sua conformazione, caratterizzata da rilievi collinari, la cui formazione geologica avvenne circa 100 milioni di anni fa nell’era eocenica dal fenomeno dell’erosione, quando ancora tutta la zona era sommersa dall’acqua degli oceani primordiali. L’erosione creò la formazione di particolari rocce che si cementarono formando il terreno tipico di queste zone, il “flysch di Cormòns” o “ponka“, e le colline oggi completamente ricoperte dalle vigne che questa terra arricchisce di forza e qualità. Una terra caratterizzata dal clima mite, grazie alla vicinanza del mare Adriatico (20 km) e alla protezione delle montagne, le Prealpi Giulie, ideale per la viticultura, con primavere delicate ed estati calde con notti fresche (escursione termica giorno-notte). Ogni collina ha il proprio microclima, ed i terreni arenari e marnosi sono l’habitat ideale per i vigneti e la coltivazione delle uve del Collio.

E allora, parlare di Marco Felluga e di Collio è anch’esso un tutt’uno. Originario di Isola in Istria, all’epoca italiana, anche questa terra bellissima e difficile, 90 anni (nato nel 1927 a Grado dove si trasferì la famiglia lasciando le terre adriatiche) festeggiati da famiglia e amici lo scorso ottobre nelle terre del Russiz, quello che viene definito il patriarca dell’enologia friulana, ha costruito la strada sua e della sua azienda con quella che viene definita una “storia di intuizioni”.

A raccontarne la vita, la storia e le intuizioni un libro, scritto da Walter Filiputti con le immagini di Tiziano Scaffai, e un vino che il figlio Roberto gli ha voluto dedicare: il Collio Bianco Gran Selezione 50/90, presentato in anteprima in occasione della festa di compleanno. Un’etichetta che racchiude in sé l’esperienza, la passione e la creatività delle aziende Marco Felluga e Russiz Superiore – per la prima volta insieme – e i valori trasmessi da Marco al figlio Roberto. Occorrerà però ancora un po’ di tempo prima di poterlo degustare, dal momento che la DOCG Collio - ormai realtà dopo anni di ricerca e di lavoro e di impegno - entrerà in vigore con la vendemmia 2018, e sarà espressione del mezzo secolo della famiglia e delle vigne di Russiz Superiore da molti considerato una sorta di capolavoro.

La prima intuizione fu di capire tra i primissimi ciò che bisognava fare perché le antiche colline eoceniche, diventassero “il” Collio, zona d’elezione nella storia enologica d’Italia, da dove è partito il nuovo stile dei vini bianchi di quello che sarebbe stato – a partire dal 1970, con l’affermarsi di una nuova imprenditoria vinicola di gran successo – il vero Rinascimento del vino italiano.

Nel libro Marco Felluga viene descritto come “uomo pragmatico, molto esigente sul lavoro, munito di una grande intelligenza e sorretto da un intuito fuori del comune e da una vasta cultura, che ha dedicato la sua vita di produttore, oltre che alle sue aziende, anche alla causa comune del territorio, tant’è che, per due mandati, si è impegnato come Presidente del Consorzio Collio. Questo percorso – scrive Walter Filiputti nella prefazione del volume – si è nutrito dell’arte e dello stile italiano, che non è solo moda e design, ma una maniera di vivere dove entrano in gioco componenti come il concetto di bellezza, il cibo e la cucina e assieme rappresentano ed esaltano una ricchezza reale, concreta, che il mondo ci invidia”.
Ad aiutarci nella conoscenza di questa terra e della figura di Marco Felluga, uomo e imprenditore, il figlio Roberto che oggi cura la gestione e la produzione di Russiz e Russiz Superiore, fiori all’occhiello dell’enologia italiana e friulana. Gli abbiamo posto qualche domanda sul passato, il presente e il futuro del Collio, attraverso il segno lasciato dal padre che continua nella sua presenza costante e nel sostegno a questa terra.

Che cosa rappresenta come uomo e imprenditore, tuo padre Marco?

Soprattutto un punto di riferimento fatto di onestà rigore, personale e professionale, di capacità prospettica, un interprete forte e determinato dei valori della sua terra, quella istriana, trasportati e rafforzati in queste colline al confine – almeno una volta – tra mondi e culture diverse. Un confine certo, ma oggi piuttosto un ponte capace di avvicinare e di unire. Un uomo severo con i figli, esigente che è riuscito però a trasmettere loro il senso dei valori su cui fondare l’azione, il lavoro. Il rigore è certamente una chiave di volta. Ci troviamo in un mondo globalizzato, dove c’è una concorrenza spietata e allora rigore vuol dire anche e soprattutto cura dei particolari, studio, approfondimento, applicazione pratica. Noi vogliamo produrre in primo luogo qualità e ogni anno ci pone delle sfide, pensiamo ai cambiamenti climatici sempre più accentuati che incidono sulle produzioni.

Ecco allora che dobbiamo sempre più capire ed adeguarci ad una natura che ci presenta prodotti diversi, qualitativamente e quantitativamente, nel tempo. Rigore vuol dire acquisire un metodo, nutrito di esperienza, che permetta di ottenere sempre risultati all’altezza della qualità che vogliamo mantenere e che deve essere il tratto distintivo di un modo di fare enologia e di produrre vino. Un metodo e un rigore che mio padre ha sempre cercato di far divenire elemento distintivo di queste terre e della produzione vitivinicola che fa del Collio un punto di riferimento a livello internazionale.

Quando si parla del Collio, si parla di tuo padre che ne è stato e ne è uno dei testimoni ed artefici più significativi. Al punto che nominare Felluga vuol dire Collio e viceversa.

Certamente è così. Per noi di famiglia certo, ma per tutti coloro che in queste aree lavorano e producono. Nella storia enologica del Collio la figura di Marco Felluga è come una faccia della medaglia, l’altra porta il nome del conte Douglas Attems, primo presidente negli anni ’60 del Consorzio che contribuì a costituire e far crescere. Proprio accanto a lui, mio padre costruirà man mano la sua attività di imprenditore da un lato e di elemento centrale del Consorzio, raccogliendo il testimone dallo stesso Attems (prima come presidente ed oggi come presidente onorario) e facendo divenire questo piccolo territorio un vero e proprio brand, come usa dire oggi, termine dal sapore commerciale che molti però non prediligono. Ma soprattutto un luogo nel quale la vite, l’uva e il vino sono i pilastri di un modo esclusivo di intendere la coltivazione e la produzione che oggi si identificano appunto in una parola che è della terra e del lavoro che essa permette: Collio appunto! A questo Marco Felluga ha dedicato la sua vita e il suo impegno e li ha tramandati alla sua famiglia.

Valorizzare un prodotto, questa la filosofia, vuol dire valorizzare un sistema di produzione e di ricerca che si è sviluppato in contemporanea con quella rinascita del vino italiano della quale vediamo oggi i frutti. Il sistema Collio, in questo, è stato un punto di riferimento e di forza informando di sé molta parte della moderna scienza enologica e della produzione stessa! Facendo pendere a favore del lavoro agricolo, di questo particolare settore, una sostanziosa parte dei talenti, molti i giovani, che oggi ne costituiscono la struttura portante. Un percorso lungo, di valorizzazione che ha dato i suoi frutti. Oggi il Collio è considerata la zona più importante in Italia per la qualità produttiva del vino bianco.

Un risultato all’inizio non scontato ma frutto di determinazione, convinzione e perché no intuizione! Oggi un patrimonio da mantenere e far avanzare al passo con i tempi mantenendo la forte radicazione che ne è elemento distintivo. Un lavoro che continua, dunque?

Il Consorzio del Collio è stato il terzo consorzio ad essere creato in Italia dopo quello del Barolo in Piemonte e di Montalcino in Toscana. È stato tra i primi a ricevere il riconoscimento istituzionale. Una delle sue caratteristiche è sempre stata quella - a differenza di altre realtà – di una forte dialettica interna che vuol dire essere vitali, propositivi, consapevoli delle proprie potenzialità. Il consorzio lavora molto anche nel campo ambientale, della ricerca, penso a quella della riscoperta dei lieviti indigeni, ai meccanismi produttivi in linea con la sostenibilità e compatibilità con l’habitat. Una scelta coraggiosa e lungimirante che sta avendo successo con l’arrivo di molti giovani preparati e capaci che stanno realizzando un vero cambio generazionale nelle aziende (per Felluga siamo dopo di me alla sesta generazione). Una certezza e una garanzia per un futuro importante di questa denominazione così specifica e così caratterizzata in termini geografici, di prodotto e di qualità! Sempre più in una linea biologica, come usa dire, e di compatibilità e rispetto della natura. Un’evoluzione che non si ferma!

Un ritorno alla natura, dunque, dopo anni di sperimentazioni non sempre compatibili con uno sfruttamento consapevole? Non è certo il caso del Collio!

Noi abbiamo sposato il senso di responsabilità e la consapevolezza. Perché quando si parla di ecocompatibilità e si fanno scelte conseguenti, non si deve ragionare in termini di marketing. Bisogna essere molto rigorosi su questo punto importante, fondante. Significa agire per salvaguardare il nostro futuro, il futuro del pianeta. Qualche tempo fa sono rimasto particolarmente colpito dall’affermazione di alcuni scienziati secondo i quali dal 2015 stiamo letteralmente consumando risorse non più recuperabili né riproducibili. Come a dire che abbiamo avviato l’orologio dell’autodistruzione! Ecco allora che tutti, nel nostro piccolo, dobbiamo fare qualcosa in direzione contraria per invertire una tendenza altrimenti autolesionista! Non sappiamo se sia già tardi, ma allo stesso tempo non possiamo esimerci dal lavorare in tal senso, nel recupero di un equilibrio perduto che è però la ragione stessa della nostra vita su questo pianeta! Noi, in questo lembo di terra difficile ma fortunata, lo facciamo da anni con impegno, rigore, serietà e dedizione! È la nostra terra, quella che ci sostiene e ci fa vivere e che ci ha permesso di farci conoscere nel mondo. Ad essa dobbiamo rispetto e attenzione e cura!