Francia, Regione di Bordeaux. Nella zona sud delle Graves, la Garonna il fiume dalle acque tiepide, incontra lungo la sua riva sinistra, il piccolo fiume dalle acque fredde denominato Ciron. Tutt’intorno alla confluenza dei due fiumi, si estendono circa 1700 ettari di vigneti. Le varietà di uve, perlopiù bianche, sono costituite per il 70% da Sémillion e per la restante parte da Sauvignon e Muscadelle. Qui, quando in autunno correnti di aria tiepida provenienti dalla Garonna incontrano correnti di aria fredda che si originano dal Ciron, si verifica un fenomeno atmosferico dalle conseguenze uniche: si generano nebbie mattutine che favoriscono la proliferazione di una muffa sulla vite, la cosiddetta muffa nobile, la Botrytis Cinerea. Siamo nel Comune di Sauternes, dove il terreno altamente calcareo offre condizioni eccellenti per i vini bianchi. Ma il merito della qualità eccellente dei vini qui in quest’area circoscritta, non è solo del terreno.

La Botrytis Cinerea è detta nobile non a caso: sarebbe tecnicamente più preciso definirla “clemente” - sono ironica - perché concede all’uva la grazia di non venirne devastata, attraversata e contaminata. La muffa nobile infatti, compare solo in determinate aree per effetto della congiuntura, o potremmo dire, per una sinergia multifattoriale (temperature, umidità, correnti di aria fredda e correnti di aria umida non stagnante, ore di sole e posizione dei vigneti rispetto all’irraggiamento): intacca sì l’uva, ma la sua azione si ferma in superficie, non penetra nella polpa che rimane intatta, anzi, come fosse dotata di cannuccia, la Botrytis Cinerea ne assorbe solo l'acqua, lasciando nel chicco un considerevole residuo zuccherino. Com’è intuibile, il vino che si produce è un vino dolce, dalle caratteristiche uniche al mondo.

A Sauternes le uve, le cui viti affondano le radici nei terreni ricchi di ciottoli e di sassi, vengono fatte appassire sulla pianta e raccolte solo quando la curva di maturazione, l’appassimento e la muffa nobile raggiungono le proporzioni ottimali.

D’altronde, le uve destinate alla produzione del Sauternes soffrono moltissimo gli eccessi atmosferici: se da un lato abbondanti piogge farebbero degenerare le muffe, dall’altro la prolungata siccità ne impedirebbe lo sviluppo. Ma in una regione benedetta dal Signore anche per gli strepitosi vini rossi come è quella di Bordeaux, tra i vigneti di Sauternes esiste un territorio ancora più piccolo, un piccolo borgo su dolci colline ad un’altitudine che va da 30 a 70 metri sul livello del mare, dal sottosuolo variegato, ciottoloso, argilloso, calcareo e alluvionale, sul quale si estendono solo 103 preziosissimi ettari di vigneti dai quali proviene una specifica tipologia di vino Sauternes, qualitativamente ancora più alto, prestigiosissimo. Si tratta del vino prodotto dai vigneti che appartengono allo Château d’Yquem, l’antica e nobile tenuta da cui il vino prende il nome.

Il feudatario Jacques Sauvage iniziò la costruzione del castello nel 1593, e la produzione di vino più o meno nello stesso periodo, ma fu solo l’ultima discendente della famiglia nel 1785, Josephine Sauvage, in seguito al matrimonio con un esponente della nobile famiglia dei Lur-Saluces che riuscì a dare lustro internazionale ad un vino dolce da dessert, unico al mondo. Nel 1855, quando Napoleone III, attraverso quella che può inquadrarsi come una vera e propria operazione di marketing, impose una classificazione dei vini francesi per tutelarne l’eccellenza, poterne decidere il prezzo ed eventualmente blindare le possibili compravendite, soprattutto nei confronti degli Inglesi, da sempre grandi estimatori e acquirenti dei vini francesi, i vini di altissima qualità vennero classificati suddividendoli in Grand Cru e Premier Cru.

Il termine Cru indica un vigneto, un’area molto ristretta dalle caratteristiche uniche e riconoscibili. Ebbene dunque, il Sauternes di Château d’Yquem fu l’unico vino dolce a potersi fregiare del massimo titolo della classificazione dei Bordeaux del periodo napoleonico, ovvero quello di Premier Cru Superieur del Sauternais.

Facciamo un salto indietro di una decina di anni circa.

È il 1847 quando il rientro tardivo di Bertrand Lur-Saluces dalla Russia, costrinse i vendemmiatori a raccogliere le uve più in là nel tempo, rispetto alla consuetudine delle vendemmie. L’attesa prolungata prima della vendemmia, aveva consentito alle nebbie di scendere su Sauternes e alla muffa di proliferare. Le uve così, erano state attaccate dalla Botrytis Cinerea, che colonizzando tutte le bacche ne aveva consumato tutta l’acqua, teoricamente vanificando tutto il lavoro di un anno in vigna e sempre teoricamente, distruggendo tutta l’uva... Ma caparbiamente si decise di procedere: la vinificazione fu portata avanti e sorprendentemente come spesso accade nelle scoperte e nelle innovazioni della storia dell’uomo, consentì di ottenere un vino dolce, aromatico... e inaspettato! Da allora in poi la storia del Sauternes e dello Château D’Yquem è stata un’escalation di qualità e prestigio. Il 1847 può essere considerato dunque l’anno spartiacque che definisce tradizionalmente la nascita di questo vino eccezionale.

La botrite si diffonde in modo discontinuo ed è per questo che la raccolta avviene in numerosi passaggi nella stessa vigna, in francese “tries”, ovvero cernita. In media, sono necessarie dalle cinque alle sei selezioni distribuite in diverse settimane, ma in alcuni anni ne servono addirittura dieci. E per questo la vendemmia può durare anche un mese, in alcune annate addirittura due, per raccogliere solo i grappoli più belli e meglio botritizzati. Dopo essere stati scelti, gli acini vengono aperti e annusati da selezionatori espertissimi per essere certi che non siano troppo acetici o per la presenza di altre muffe, meno nobili. Naturalmente tutte le volte che si raccoglie, si vinifica. L’uva non può essere messa in stand-by neanche per un secondo, perciò tutte le fasi di lavorazione vengono ripetute ad ogni passaggio, ad ogni raccolta, e sono dunque moltiplicate, contribuendo e concorrendo all’affermazione della giusta fama di questo vino, celebre in tutto il mondo. Si vinifica separatamente ottenendo vini da assemblare nei blend, o tagli, di Sémillion, e Sauvignon.

Il Sémillon conferisce morbidezza al vino, il Sauvignon la giusta acidità. Le uve vengono sottoposte a lunghe pressature soffici, i gesti sono precisi e sapienti e la fermentazione parte con l’utilizzo di un pied de cuve, vale a dire uno starter, un lievito che avvia la fermentazione, ed è ottenuto esso stesso da una selezione attenta di lieviti indigeni, quei lieviti cioè che sono naturalmente presenti sull’uva. La fermentazione avviene direttamente in botti nuove, e ad essa segue un invecchiamento particolarmente lungo di oltre due anni, prima dei quali non può iniziare la commercializzazione, ma il nettare dolce che si ottiene è solitamente il risultato di una media di 4 o 5 anni di assemblaggio durante i quali si arricchisce di sfumature che lo caratterizzeranno in maniera assolutamente unica. Di fatto ha un potenziale di invecchiamento pressoché infinito. Dopo duecento anni è ancora sorprendente.

Il Sauternes da Château D’Yquem non si produce tutti gli anni, ma solo in annate nelle quali tutti i fattori che concorrono alla sua produzione si presentano e si verificano al meglio delle possibilità e della qualità. Il fattore da cui dipendono tutti gli altri è il clima: la botrite ha bisogno di umidità per formarsi e un clima secco per morire, dopo aver colonizzato le bacche. Se questo fenomeno non si verifica con le giuste caratteristiche, le uve interessate non danno origine ad un vino dagli standard organolettici qualitativamente altissimi come è quello che ci si aspetta da un prodotto di eccellenza, un oro liquido come è stato definito, “una morte che si trasforma in oro” (Pierre Lurton, direttore dello Château). Alla resa dei conti, da una vite si ottiene 1 solo calice di Château D’Yquem, in ogni caso mai più di 3; proprio così, avete letto bene: calici, non bottiglie!

Non ha forse un che di leggendario la storia di questo vino?

Il suo colore che nella prima fase della vinificazione è scuro, alla fine della fermentazione assume un colore dorato brillante che con il tempo diventa dorato intenso, e poi color lingotto, fino ad assumere sfumature ambrate e aranciate. Parallelamente al colore, evolve anche al naso, se non di più: un naso screziato e invitante di albicocca, frutta esotica, pesca, litchi, pera, mela cotogna, miele d’acacia, offre col tempo sensazioni di botrite, freschezza candita, zafferano, tabacco biondo, cioccolato bianco.

E al palato? È denso, avvolgente, esotico-fruttato. Con un finale modulato, il sorso ha intensità, finezza ed equilibrio, ricorda l’arancia amara e candita che conferisce contrasto, un senso di fusione, di profondità, di persistenza assoluta. Il vino dolce che arriva da Sauternes è perfetto per le lente e lunghe conversazioni. È ciò che definiamo vino da meditazione, perfetto in abbinamento al fois gras, al roquefort e in genere ai formaggi erborinati, ma adatto anche ai dolci a base di frutta, con marmellata di albicocca, miele, crema e panna.

Se le condizioni uniche in cui nasce (climatiche, pratiche, storiche), e le regole ferree con cui viene prodotto nel rispetto religioso della tradizione, e se gli impegnativi e meticolosi passaggi in vigna e in cantina non possono che garantirne quantità minime e non tutti gli anni, e se il risultato è eterno e ineguagliabile, tanto da poter a pieno titolo essere paragonato all’oro più prezioso, qual è l’elemento mancante che chiude il cerchio e che ci consente una visione completa? È quello più spoetizzante, quello venale: il prezzo. Una bottiglia di Sauternes Château D’Yquem da 75 cl arriva a costare circa €700… Ma l’ardua sentenza, la lascio ai lettori.