Questa è una mia personalissima guida alle specialità di una regione a cui, ingiustamente, si pensa poco quando si tratta di organizzare una vacanza più o meno breve, ma che in realtà ha molto da offrire. Potete trovare piatti la cui notorietà ha varcato i confini regionali, ma anche prodotti più di nicchia, che ormai in pochi contadini continuano a coltivare e a difendere. Ma il Friuli-Venezia Giulia non è fatto solo di prodotti o di piatti, ma anche di “atmosfere culinarie”. Siete curiosi? Non vi resta che proseguire la lettura.

Sua maestà il Frico

Il Frico è il piatto più noto della regione. Se passate dal Friuli, più precisamente nei paesi in provincia di Udine, non potete non assaggiarlo, ne rimarrete innamorati! È realizzato con pochissimi ingredienti: patate, formaggio con diverse stagionature (attenzione non uno qualunque, bensì il tipicissimo Montasio!), cipolla, burro e/o olio, sale e pepe. La leggenda narra che sia nato in Carnia, un territorio montuoso a nord della provincia di Udine, e che prenda il suo nome dal verbo fricare, ovvero grattare o sfregare in friulano, in riferimento a un passaggio fondamentale della ricetta: grattugiare il Montasio. È un piatto povero, legato alla tradizione contadina, nato per recuperare i ritagli di formaggio e accessibile a tutti.

Ad essere precisi ne esistono due versioni: quella morbida, con le patate appunto, e una versione friabile, con solo formaggio, spesso usato per accompagnare i salumi. La più golosa e diffusa è sicuramente la prima, un sostanzioso piatto unico, servito con delle immancabili fette di polenta. Ovviamente, come tutti i piatti regionali, varia leggermente di valle in valle e di paese in paese. La base è la stessa, ma tutti sostengono di avere in tasca il giusto bilanciamento delle diverse stagionature di Montasio. C'è chi poi lo arricchisce con erbe spontanee, chi aggiunge più cipolla, chi la zucca, chi la salsiccia, chi addirittura le mele! La verità è che per i friulani il frico è una cosa seria, e, d'estate, le varie pro loco che organizzano le sagre del frico disseminate nella provincia di Udine, si sfidano in un vero e proprio campionato senza esclusione di colpi. Il frico non rappresenta solo il Friuli, ma è proprio la metafora dei friulani: è schietto, ti dice quello che è, senza giri di parole, o ti piace o niente, ha una crosticina dura fuori, ma che, se scalfita, rivela un cuore morbido e accogliente.

Pane al pane, vino al vino: osmiza is the way

Ecco, quando parlavo di “atmosfere culinarie” mi riferivo proprio a questo. Non è un ristorante, non è un agriturismo, non è un'osteria, è una tradizione fatta luogo. Le osmize nascono ai tempi di Maria Teresa d'Austria, quando ai contadini veniva concesso il permesso di vendere i loro prodotti per un periodo di tempo limitato ad otto giorni consecutivi (da qui il nome: osmen in sloveno significa, appunto, otto) o multipli di otto durante tutto l'arco dell'anno. Il governo asburgico lasciava libertà agli agricoltori di decidere orari e prezzi, facoltà rivendicata tutt'oggi dai proprietari delle oltre 50 osmize sparse nel Carso triestino, la sola zona della regione in cui rintracciare queste realtà.

Bella la storia, ma vi starete chiedendo, cosa si mangia? Vassoi colmi di formaggi e insaccati, fra cui il tipicissimo e consigliatissimo cotto col kren (prosciutto cotto con grattugiata di rafano), ovi duri (uova soda, servite al tavolo col guscio e con una saliera per salarle a piacere mentre si mordono), sott'oli o sott'aceti e fette di pane (le migliori osmize sono dotate di forno a legna e sfornano grosse pagnotte che vengono servite fumanti ai tavoli). Il tutto innaffiato da caraffe di terrano (vino rosso) o malvasia (vino bianco). Sì, hanno anche l'acqua, ma ordinatela con parsimonia per non far brutta figura e accettate sempre la grappa o l'amaro prima di andar via!

L'ambiente è rigorosamente spartano e a conduzione familiare, i prodotti si consumano, infatti, direttamente nei locali, nelle cantine o nei cortili dei contadini che li producono, allestiti con panche e tavoli che vi troverete a condividere con altri avventori. Il cibo è semplice, godetevi l'atmosfera rilassata e conviviale. Il mio consiglio è di avventurarvi nelle stradine alle spalle di Trieste e di scovare le case che espongono un mazzo d'edera: lì c'è un'osmiza! Oppure, se volete andare a colpo sicuro, cercate sull'aggiornatissimo sito osmize.com quelle aperte e non sbaglierete.

Scrigni inespugnabili: i cjarsons

Dentro dei fazzoletti di pasta tipici della Carnia, si nasconde un segreto che le famiglie si tramandano da generazioni e per nulla al mondo lo rivelerebbero. La pasta è molto semplice, realizzata con solo acqua e farina, il vero arcano è il pastum, ovvero il ripieno. La tradizione narra che i cramàrs, gli antichi ambulanti carnici, lasciassero le loro famiglie per vendere erbe, spezie, tessuti e piccoli oggetti nei vicini territori austriaci. Di ritorno dai loro commerci, nel fondo delle loro crascìne, zaini, erano rimaste poche spezie, che venivano utilizzate come base per il pastum, al fine di dargli un tocco unico e speziato. A grandi linee si sa che il ripieno è fatto con patate, formaggio molto fresco (tipo ricotta), erbe miste e ingredienti che diano una nota dolce. Quantità e tipologie a gusto e discrezione del cuoco, tant'è che non assaggerete mai un piatto di ciarsons uguale ad un altro. Il tutto condito con abbondante, e sottolineo abbondante, burro fuso e ricotta affumicata.

Se neanche Alessandro Borghese è riuscito a scucire le bocche dei ristoratori friulani, voi avrete poche chances. Per cui risparmiate tempo prezioso, fate solo una domanda: “un piatto di cjarsons abbondanti, per favore!” e sfidate il brivido dell'ignoto. Fidatevi, cadrete in piedi!

Tra le pieghe del gusto: la gubana

La Carnia ha i suoi segreti, ma anche le valli del Natisone non scherzano. Se anche a voi piacciono i lievitati e i dolci non dolci, la gubana è decisamente ciò che fa per voi. Il nome è curioso e etimologicamente collegabile al verbo sloveno gùbati, che significa increspare, fare pieghe. Operazione fondamentale per la riuscita di questo dolce: il ripieno, costituito principalmente da frutta secca tritata e uvetta, si deve distribuire correttamente e ogni fetta deve avere il giusto bilanciamento fra impasto e farcitura. Ingrediente imprescindibile è la grappa, sia nell'impasto che nella farcia, per il ripieno ognuno fa un po' come crede, neanche a dirlo, ci si mette la frutta secca che si ha in dispensa, l'importante è non essere parchi. Anche se alla fine del pranzo sarete “pieni come una gubana”, come il detto popolare vuole, trovate uno spazietto per una fettina di gubana, non ve ne pentirete.

image host La Gubana delle Valli del Natisone (UD), Italia.

Bontà da appendere: selezione di salumi

Il salume friulano più conosciuto ed esportato è sicuramente il prosciutto crudo di San Daniele. Lo so che lo vendono in tutti i supermercati d'Italia, ma degustarlo in uno dei prosciuttifici di San Daniele, respirando l'aria magica di queste colline che rende questi prosciutti inconfondibili è un'esperienza da fare. Ve lo serviranno sottilissimo, si deve vedere attraverso la fetta, altrimenti è carpaccio non prosciutto.

Meno noto, ma altrettanto gustoso è il prosciutto crudo di Sauris. Sauris è un paesino circondato da alte vette. La particolarità di questo prosciutto è che viene affumicato con legno di faggio. Il suo profumo e il suo gusto dolce ma affumicato vi stupiranno.

Assolutamente di nicchia è, invece, la pitina. Insaccato particolarissimo tipico della Val Tramontina e della Val Cellina, territori del pordenonese. Si distingue da tutti gli altri salumi perché non viene insaccato ma formato, quasi fosse un polpettone, in seguito ricoperto di farina di mais per polenta e, infine, affumicato. Nasce principalmente per poter conservare le carni ovine e caprine. Queste venivano impastate con il grasso del maiale per rendere il prodotto più morbido e ingentilirlo al palato. È un prodotto IGP, scegliete dei buoni locali che sappiano servirlo al meglio, esaltandolo a dovere.

Il più buon fiore d'inverno: la rosa di Gorizia

Nei terreni alluvionali posti a nord della città di Gorizia fino alla periferia della frazione di Salcano, centro abitato sloveno, si coltiva una varietà di radicchio a tal punto pregiata da diventare presidio Slow Food, conosciuta con il nome di Rosa di Gorizia. Questo radicchio deve il suo nome alla tipica forma a bocciolo che ricorda una rosa e lo si riconosce per le sue foglie che variano dal rosso intenso al rosa. Ha un sapore leggermente amarognolo e una decisa croccantezza. Purtroppo oggigiorno a causa del cambiamento climatico, della riduzione dei terreni coltivabili e dell'alta necessità di manodopera per la produzione, è difficile trovare questo ortaggio fuori dall'hinterland goriziano. Non vi resta, dunque, che andare a Gorizia per le vacanze di Natale (periodo dal quale viene raccolta la Rosa) e gustare questa costosa prelibatezza.

Bere il caffè a Trieste...se riuscite ad ordinarlo!

La città di Trieste e il caffè sono sempre state legati a doppio, vuoi per il commercio del prodotto nei magazzini del porto, vuoi per le torrefazioni ma soprattutto per la sua tradizione di caffè storici in cui, un tempo, si incontravano grandi letterati e uomini di cultura. Volete sentirvi Saba, Joyce o Svevo? Non vi resta che accomodarvi al Caffè degli Specchi, al Caffè San Marco o al Caffè Tommaseo e ordinare. Semplice, penserete...e invece no! I Triestini si avvalgono di un vocabolario ad hoc ma niente paura, ecco un piccolo vademecum per orientarvi e vivere consapevolmente questa esperienza.

  • nero: espresso in tazzina.
  • nero in B: caffè espresso in un bicchiere di vetro.
  • deca: caffè espresso decaffeinato.
  • deca in B: caffè espresso decaffeinato servito in un bicchiere.
  • capo: è espresso macchiato in tazzina.
  • capo in B: caffè espresso macchiato servito in un bicchiere, una versione più grande del "capo".
  • capo deca: caffè espresso decaffeinato macchiato.
  • capo deca in B: caffè espresso decaffeinato macchiato in bicchiere.
  • goccia o gocciato: caffè espresso con una piccola quantità di schiuma di latte al centro.
  • caffelatte: un cappuccino, poiché il termine italiano "cappuccino" è usato poco.

Sì, finalmente parlo dei vini

Forse i vini sono uno dei motivi per cui questa regione è nota a livello enogastronomico. Visitare il Friuli e non assaggiare i suoi vini è uno degli errori più grossi che possiate fare nella vostra vita. Si fa fatica ad indicarne uno in particolare, vanno provati e abbinati alle specialità culinarie. I vini bianchi sono considerati fra i più buoni d'Italia, ma i rossi si sanno difendere piuttosto bene, senza dimenticare i vini da dessert. Perdetevi, dunque, fra i bicchieri di Friulano, Malvasia, Ribolla gialla, Refosco, Schioppettino, Pignolo, Ramandolo, Picolit,...e cercate di degustarli nelle splendide aree in cui vengono prodotti, per godere anche dello splendido paesaggio che le vigne offrono. Un parere personale? Un bicchiere di Ribolla gialla dopo una passeggiata sul Collio, in autunno, è un lusso che tutti dovremmo concederci almeno una volta nella vita.