Se in origine nel mondo classico, e ancor prima nelle civiltà più antiche, la rappresentazione di piante, animali e paesaggi, più in generale della natura, era affidata alla riproduzione attraverso tecniche di disegno raffinatesi nei secoli di pari passo al maturarsi delle conoscenze scientifiche, successivamente l’avvento della fotografia ha consentito una divulgazione molto più rapida delle nuove entità botaniche riprodotte e commercializzate. In particolare svolgono un ruolo importante in questo senso i primi cataloghi di piante pubblicati dagli stabilimenti d’Orticoltura quale documentazione preziosa della memoria storica del vivaismo italiano, ma ancor prima del collezionismo botanico in Italia: “quel fenomeno scientifico, culturale e di costume, particolarmente indirizzato alla coltivazione di piante non indigene e ritenute rare, per scopi estetici e paesaggistiche”. Questi cataloghi stampati soprattutto a scopo di commercializzazione delle specie botaniche sono i diretti eredi di quei preziosi elenchi di piante che ogni giardino storico di rilievo, che fosse gestito da un illuminato proprietario molto spesso collezionista lui stesso di rarità esotiche, stampava con diversa cadenza per la migliore gestione dei giardini stessi.

Di esempi se ne potrebbero fare molti: i giardini dei Borromeo sul Lago Maggiore, i giardini Medicei in Toscana, il parco delle Villa di Caserta, le proprietà appartenenti a grandi famiglie come i Farnese, i Barberini a Roma e, per avvicinarci a Venezia, due esempi emblematici: Lorenzo Patarol (1674-1727) grande esperto botanico e collezionista che creò un noto giardino botanico a Venezia alla Madonna dell’Orto e l’Abate Filippo Farsetti (1704-1774) nella sua Villa di S. Maria di Sala. Dovremmo citare decine di situazioni analoghe sempre antiche come Villa Pisani, Villa Grimani a Dolo, Villa Recanati Zucconi e Villa degli Armeni a Fiesso D’Artico, villa Pisani detta la “Barbariga”.

Presso queste grandi dimore storiche vivevano intere famiglie di giardinieri che si tramandavano l’arte del coltivare e curare il giardino di generazione in generazione, un mestiere riconosciuto e apprezzato fin dalle più antiche civiltà, occidentale e orientale. Citiamo solo a titolo di esempio il topiarius colui che già all’epoca romana era deputato alle potature in forma delle piante del giardino.

Solo in epoca più recente si ha notizia che a partire dal ‘600 si assiste alla costituzione delle Confraternite dei Giardinieri, molto in anticipo rispetto alle Società di Mutuo Soccorso sorte a Milano nel 1838. È interessante leggere gli articoli dello Statuto di queste organizzazioni di categoria, i sindacati del XX secolo, che consentivano l’adesione dei singoli giardinieri sia a coloro che erano impiegati presso parchi e giardini al servizio dei nobili e della corte imperiale sia a quelli indipendenti (grazie a un'ordinanza di Ferdinando II del 12 Ottobre 1628) che lavoravano nei territori arciducali.

Qui si aprirebbe un ampio capitolo della storia della botanica in Italia per il quale rimandiamo ai testi citati che hanno affrontato proprio queste tematiche in relazione alla nascita del vivaismo italiano e allo sviluppo di un fiorente mercato della floricoltura tra ‘800 e ‘900. Altra testimonianza materiale della storia articolata del collezionismo e del vivaismo è quella costituita dalle monete, dette anche cimeli, coniate proprio nel secolo d’oro dell’orticoltura e floricoltura italiana, il XIX secolo, in occasione delle premiazioni di espositori, vivaisti, floricoltori, giardinieri e collezionisti Queste ultime si tenevano durante le Esposizioni Floreali, di grande moda e molto diffuse in tutta la penisola sulla scia delle grandi Esposizioni Universali che in quegli anni hanno fatto storia in tutta Europa.

Una buona collezione, circa cinquanta esemplari di cataloghi, sono stati esposti per la prima volta sempre in occasione di Mostra tenutasi alla Biblioteca La Vigna di Vicenza alcuni anni addietro, che ha contribuito anch’essa con una parte del suo ragguardevole patrimonio di cataloghi italiani ed esteri, ancora in corso di catalogazione, raro nel nostro paese.

Per l’occasione furono 90 i cataloghi esposti, dai più antichi (1846) ai più recenti (1940), e 53 le preziose medaglie incise (tra il 1845 e il 1957) da autori noti in Italia e all’estero in argento, argento dorato, bronzo e leghe diverse, offerte da un altro noto collezionista. Tra gli incisori si ricorda Antonio Fabris da Udine (1792-1865) che operò tra il 1820 e il 1868 circa, ultimo incisore neoclassico, insignito della carica di capo incisore della Zecca di Venezia durante la dominazione austriaca. Poi Speranza, Morbiducci, Pieroni, L. Gori di Firenze, Moscetti.

Questa straordinaria stagione della storia botanica, a cui è legato anche un nuovo genere letterario, “i libri–esposizione”(in Francia si pubblica Le moniteur de l’Exposition de 1889), è stata per lungo tempo dimenticata dagli studiosi di agricoltura, botanica, storia dell’arte. Victor Hugo, dall’esilio, pubblica Parigi 1867, un saggio scritto in occasione dell’Esposizione Universale, compreso in un volume con scritti di autori come Renan, Michelet, i Dumas, George Sand. Anche a motivo del generale disinteresse sono andati perduti moltissimi cataloghi con i programmi delle manifestazioni, monografie, annate complete di riviste specializzate, materiale fotografico di rilievo, memorie e ricordi di visitatori.

Tra le prime va ricordata la Passeggiata all’Esposizione di Parigi del 1867 nel Paris-Guide, 1867, Lacroix, Parigi. Ancora subito dopo la Seconda guerra mondiale sono andati perduti i carteggi relativi alle società orticole e di mutuo soccorso fra giardinieri, con migliaia di iscritti, ai Comizi Agrari, alle antiche aziende floro-vivaistiche. In queste condizioni diventa difficoltoso, se non impossibile in molti casi, ricostruire la fittissima rete di relazioni e iniziative fra collezionisti, proprietari di giardini, giardinieri, esploratori botanici e associazioni orticole.

Per contestualizzare e interpretare il fenomeno del collezionismo botanico nel XIX secolo è opportuno rileggere anche i significati della terminologia utilizzata all’epoca per indicarne i suoi protagonisti: orticoltori, amatori di flora e giardinieri.

Il termine “orticoltura” e/o “orticultura” viene adottato in Italia dal centro Europa per indicare la scienza del giardinaggio e, l’“horticulteur” rappresentava colui che doveva possedere la somma dei saperi (botanica, agronomia, pedologia, ecc.) necessari a creare, coltivare e mantenere un giardino. L’“amateur”, altresì, diventa “amatore di flora” inteso nell’accezione francese di “dilettante”, ovverosia colui che per passione colleziona piante rare e le riproduce.

Negli scritti di settore dell’Ottocento, come riviste, cataloghi, relazioni di esposizioni orticole e mostre dei fiori, statuti di associazioni orticole è ricorrente l’uso di tale terminologia che, già a partire dagli inizi del ventesimo secolo, tende a scomparire o a mutare di significato. Le prime riviste che si incentrano sui temi del giardinaggio vengono pubblicate a Milano nel 1851 (Il Giardiniere), a Firenze nel 1876 (Bullettino della Reale Società Toscana di Orticoltura), a Verbania nel 1877 (La rivista orticola), a Torino nel 1882 (Il giardinaggio).

Il fenomeno, di quella che oggi definiremmo “formazione professionale”, per il giardiniere e l’orticoltore, si va affrancando durante la seconda metà del XIX secolo con la nascita delle prime scuole di pomologia, - la Reale Scuola di Pomologia e Orticoltura è fondata a Firenze nel 1882 - frutticoltura, e dei primi corsi e lezioni che si tenevano nelle sedi delle associazioni orticole, nate e sviluppatesi in diverse regioni italiane nell’arco di un quarantennio. Nei primi anni del XX secolo delle Società orticole se ne ha memoria in molte altre città italiane: Asti, Biella, Bologna, Bordighera, Cagliari, Chioggia, Genova, Messina, Napoli, Parma, Pesaro, Pinerolo, San Remo, Sassari e Varese. Sino ai primi decenni dell’Ottocento il giardiniere era ancora, nella maggioranza dei casi, un semplice “operaio” anche in contesti privilegiati quali i giardini storici appartenenti alle più note famiglie nobili o facoltose: Savoia, Torrigiani, Corsi Salviati, Trabia, Pallavicino, Ricasoli, Cicogna, ecc.

Come si evolve la figura dell’orticoltore o giardiniere, o come meglio vogliamo identificarlo all’interno delle società orticole nelle quali riesce a entrare con il beneplacito dei proprietari e collezionisti presso cui lavora? Dove sono rintracciabili le testimonianze di questa storia botanica italiana recente? Dove possiamo trovare la più ampia raccolta di cataloghi vivaistici? Nel prossimo appuntamento ci soffermeremo su questi argomenti per spiegare la nascita del vivaismo e la sua storia otto-novecentesca.