Protagora, Gorgia, Ippia, Crizia... che siate (o siate stati) appassionati, studenti o studiosi di filosofia, vi sarete certamente imbattuti nello studio dei “famigerati” sofisti. Criticati e bistrattati da un nutrito numero di loro contemporanei e loro successori, i sofisti hanno sempre personificato – nell’immaginario collettivo – la “pecora nera” della grande famiglia dei Filosofi.

Nel coro di critiche spicca la voce di Platone, che demonizzò la figura dei sofisti, disdegnandone il ruolo nella società dell’antica Grecia del V secolo a.C. Fortunatamente, Socrate ripudiò la scrittura in favore del dialogo, altrimenti – oggi – sarebbe stato molto più difficile raccogliere i cocci della già frantumata eredità sofistica, dopo il fuoco incrociato del padre della maieutica e del suo allievo, fautore dell’iperuranio. Purtroppo la figura del sofista ha subìto accuse tanto pesanti al punto da trascinare con sé nei secoli una cattiva accezione, così negativa da esserne quasi un incancellabile marchio. Nel nostro vocabolario sono evidenti lemmi quali sofismo e sofisticato: pregni di ambiguità, raggiri e artifici. Pare come se, nell’Atene di Pericle, i Greci siano stati costanti vittime dell’ingannevole retorica dei sofisti. Eppure, tirando le somme del corso degli eventi, sono proprio questi ultimi ad esser stati parte lesa. Se fosse esistito un tribunale della storia, avremmo visto Gorgia, Protagora e i loro allievi citare in giudizio centinaia e centinaia di detrattori. Sarebbero stati tutti lì: aristocratici, Socrate e Platone. Tutti in riga alla sbarra, ad ascoltare una pesante sentenza di condanna al risarcimento danni per ingiuria. E chissà… in questo modo i sofisti si sarebbero arricchiti di sicuro.

Invero, non di rado si legge che essi, “maestri di virtù”, furono etichettati come veri prostituti del sapere. Uomini che solevano arricchirsi grazie all’insegnamento. Ma chi muoveva quelle accuse? Per capirlo, occorre fare un passo indietro e ricordare lo scenario storico della Grecia di quel momento. Infatti, nel V secolo a.C. si assiste a un lungo periodo di pace, che iniziò con la famosa vittoria dei Greci nella battaglia di Salamina e terminò con lo scoppio della guerra del Peloponneso. Nei circa cinquant’anni che intercorsero fra questi due eventi storici, l’Ellade, in particolare Atene, fu protagonista di una rinascita a tutto tondo. Le arti e i saperi poterono svilupparsi, il commercio riprese vita e fu proprio sfruttando anche le rotte dei mercanti che i sofisti iniziarono a insegnare, spostandosi di città in città.

Durante questi decenni la politica si concentrò sulla gestione del potere e, grazie all’avvicendarsi di leader carismatici alla guida di Atene, fra i quali è doveroso ricordare Pericle, germogliò il seme della democrazia. Per secoli il controllo della cosa pubblica era rimasto concentrato nelle mani degli aristocratici, ma con l’avvento della democrazia si passò dal “potere dei pochi” (oligoi e archè) al “potere del popolo” (démos e cràtos). Ebbene, larga parte di questa metamorfosi politica la si deve ai sofisti, che influirono enormemente sulla società del tempo. Per la prima volta, infatti, si realizzò che la cultura fosse un bene comune e che l’amministrazione della polis fosse raggiungibile tramite virtù e non più appannaggio di una casta. I sofisti “sdoganarono” il sapere, lo portarono fra il popolo e tramite compenso riuscirono ad attribuirgli un valore anche concreto. Nasceva una cultura a pagamento e il loro esserci rappresentò qualcosa di decisamente rivoluzionario. Anche se all’interno della sofistica convivevano posizioni diametralmente opposte, c’era un elemento che le accomunava tutte. Esisteva un trait d’union che pose le basi della democrazia e dell’uguaglianza davanti alla legge: quel punto di contatto è il relativismo etico e culturale. Infatti, solo grazie alla coscienza della diversità, fu possibile giungere all’uguaglianza.