Qualcuno l’ha paragonata a Charlie Chaplin e qualcun altro le ha chiesto come l’aveva presa. “L’ho presa molto bene!” ha risposto lei con il suo fare autentico. Maria Cassi da Fiesole, anzi da Fiesolé, che poi sarebbe San Domenico di Fiesole, anzi San Domenico di Fiesolé, e poi si vedrà perché, non è il tipo che di fronte all’evocazione del genio, in questo caso Charlot, se ne esce con finti dinieghi e dice di non assomigliare a nessuno perché è solo sé stessa. Tanto Maria Cassi è solo sé stessa in modo così evidente da poter assorbire complimenti reboanti con semplicità ed enorme soddisfazione. Gli artifici e la spocchia affiorante li lascia alle imitatrici di Sophia Loren e dive magne, che, in genere senza capacità, fanno di tutto per sembrare la star prescelta, poi rifiutano le somiglianze illustri, piegando la testa di lato e arricciando le labbra.

Maria Cassi da San Domenico di Fiesolé (non sarà mica San Domenicò di Fiesolé?) ha sempre adorato esibirsi. Da piccina faceva il verso ai parenti, e ci sono sempre parenti che si prestano a meraviglia, quelli che o li sbertucci o li fai fuori, alle elementari metteva su numeri comici per i compagni di scuola. E tutti ridevano come matti. Perché Maria Cassi, anzi Marià non si sa se Cassì, attrice e autrice, ha un talento strabiliante. Bella, bionda, elastica, elegante, insieme impunita e poetica travolge lo spettatore con la voce, il gesto, le smorfie, il ritmo, l’acume e qualche tocco di struggimento.
Come gli altri fiorentini quando sono di prima scelta (per comodità un po’ rozza inglobiamo Fiesolè in Firenze, senza addentrarci in primogeniture risalenti a Roma antica) , e si capisce come fecero a impartire lezioni al mondo intero, la Cassi è naturalmente internazionale pur essendo così fiorentina da non poter essere che fiorentina. Fa ridere il pubblico dappertutto: si sono spanciati a Los Angeles, a Broadway, a Praga, ad Amsterdam, a Bucarest. A Parigi Crepapelle, uno dei classici dell’artista basato sulla sua estasi dinanzi alla grandeur de Paris (ed ecco spiegati Fiesolé e Marià), recitato nella lingua di Firenze spruzzata di francese, ha sollazzato il pubblico del Theatre du Rond Point, procurandole recensioni entusiaste su Le Figaro e su Le Monde che, oltre che a Chaplin, l’ha accostata all’indimenticabile simbolo della comicità surreale di Francia: Jacques Tati.

Nell’ultima tornata di esibizioni al Teatro del Sale di via de’ Macci (Fiorentini, Crepapelle e il recentissimo Soffriggo per te), fondato nel 2003 a Firenze con il marito Fabio Picchi, cuoco sopraffino, lo spettatore più esilarato, quello che rideva con fragore e al punto giusto, è stato il pianista americano Mark Markham che, rientrato negli Stati Uniti, preso fra un concerto da solista a Chicago, e in attesa della nuova tournèe con Jessye Norman, ancora sghignazza, l’Atlantico di mezzo non stempera il divertimento. “Che capissi le parole o no era poco importante - racconta Markham - seguivo il respiro e l’arrivo delle battute”. I due si sono abbracciati.

Del Teatro del Sale (Circolo culturale Cibreo Città aperta) che è un luogo molto indovinato, Maria è direttore artistico e programma centinaia di serate all’anno: una fatica improba, ma il successo la ripaga. Gli spettatori-soci la amano e lei ama loro: vive di incontri, di emozioni, sul palcoscenico e nella vita quotidiana per la quale ha una passione. Una tazza di tè con un buona fetta di torta a metà pomeriggio, la seduzione di un gatto. La serenità del quotidiano è preziosa: “Tutti i giorni ringrazio il cielo di avere quello che ho”.

Al Teatro del Sale, prima dello spettacolo, si mangiano i piatti squisiti del Picchi che ha fama di ruvido e ne appare compiaciuto, se la sciala sotto i baffi, ma è vellutato ai fornelli e dialoga affettuosamente con il prossimo nutrendolo in abbondanza. Della moglie una volta disse: “Maria? Chi non la conosce è un problema suo”. Un grosso problema: Maria Cassi va conosciuta.