Giovane talento del violino, Arianna Dotto si è diplomata con menzione d’onore al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, perfezionandosi poi in importanti masterclass europei. Ha iniziato come solista a 12 anni, ottenendo numerosi riconoscimenti e si è esibita in vari contesti cameristici in prestigiose sale da concerto italiane ed europee.

Quali sono stati gli incontri, le esperienze, che l’hanno portata ad amare e praticare la musica, e come è avvenuto il suo innamoramento per il violino?

Sono nata in una famiglia di musicisti: l’amore e la passione per la musica si sono quindi sviluppati in modo naturale sin da prima che potessi parlare. Talvolta scherzo dicendo che la mia vera lingua materna è la musica. Da bambina assistetti agli studi musicali di mia sorella maggiore, che ai tempi si dedicava all’apprendimento del violino: un giorno mi prestò il suo strumento per giocare, e da allora ne fui incuriosita. Dovetti aspettare qualche anno per potermi iscrivere al Conservatorio di Milano, dove cominciai a studiare il violino all’età di sette anni, e durante gli anni di attesa imparai a strimpellare sul pianoforte per accompagnare il mio migliore amico, che ai tempi studiava con mia madre.

Ricopre già un ruolo significativo nell’ambiente musicale, e per la sua formazione ha girato tutta l’Europa: quali e dove sono state le esperienze più stimolanti, in che modo interferisce o interagisce col suo sentire e vivere di giovane?

La musica mi ha portata a viaggiare molto sin da piccola; a 14 anni combinavo gli studi liceali a Milano con studi di perfezionamento sul violino a Londra, a 15 anni viaggiavo negli Stati Uniti per perfezionarmi durante i corsi estivi, ma i viaggi più importanti sono avvenuti durante gli studi universitari: a 18 anni sono partita per Berlino, una delle città dei giovani per eccellenza, dove ho vissuto per due anni, in seguito ho abitato a Sion (Svizzera), a Strasburgo (Francia), per approdare a Zurigo dove abito tuttora. Durante questi anni di perfezionamento all’estero ho avuto l’occasione di esibirmi in Francia, Svizzera, Olanda, Belgio, Italia, Germania e in varie città degli Stati Uniti. Viaggiando costantemente, ho scoperto di possedere un’insaziabile curiosità di incontrare coetanei stranieri e di scoprire continuamente nuovi mondi.

Cos’ha provato la prima volta che è entrata alla Scala?

La Scala è forse il luogo che più simbolizza, definisce e rappresenta la mia identità di milanese: essendo mio padre musicologo e curatore di numerose edizioni critiche di opere liriche italiane, ed essendo egli all’epoca direttore editoriale di Casa Ricordi, spesso assisteva alle rappresentazioni e prove scaligere per lavoro, accompagnato dalla famiglia. All’età di 9 anni passai dall’altro lato del teatro, quello degli esecutori, poiché entrai a far parte del coro delle Voci Bianche della Scala: sebbene la grandiosità di un teatro così unico mi avesse colpita sin dalla prima volta in cui vi avevo messo piede, nulla mi impressionò quanto la sensazione che provai quando fui sul palco della Scala di Milano – ricordo che, durante la produzione della Tosca di Puccini, diretta da Riccardo Muti, durante una scena in cui noi bambini cantavamo, Leo Nucci interpretando Scarpia irrompeva sulla scena e cantava in modo divino posizionato a pochi passi da me, facendomi rabbrividire ogni volta. Ancora oggi fatico a capacitarmi dell’idea che, così giovane, mi trovavo sullo stesso palco sul quale i più grandi cantanti al mondo si erano esibiti. Considero tuttora tale esperienza come una delle più prestigiose ed emozionanti che abbia vissuto, una delle numerose ragioni per cui sono grata di essere cresciuta nella mia amata Milano. Ho continuato ad assistere alle rappresentazioni in Scala anche dopo aver passato l’età per poter cantare nel coro delle Voci Bianche, e un’altra esperienza indelebile fu quella di poter ascoltare la Lucia di Lammermoor dal palco reale: ricordo che piansi dall’emozione (una delle poche volte in vita mia) durante la “Scena della Pazzia”. Sono queste le esperienze che mi hanno ispirata e incitata a diventare la musicista che sono oggi, e sono molto fiera non solo di essere cresciuta a Milano, ma soprattutto di essere virtualmente cresciuta alla Scala.

Si apre il sipario, inizia il concerto, imbraccia il violino: cosa prova?

Ogni volta che salgo sul palco provo un’eccitazione, un fremito, quasi un’impazienza di poter comunicare la mia musica al pubblico, di portargli il pensiero dei più grandi compositori e di poterlo emozionare quanto lo sono io dalla musica che mi appresto a eseguire. Essendo cresciuta vicino al mondo della lirica, ho un rapporto quasi teatrale con l’esecuzione: non a caso una delle mie insegnanti ha osservato che il mio modo di suonare risulta essere lirico ed emotivamente rappresentativo, pur non eseguendo brani accompagnati da un testo. Non credo che la scelta di suonare lo strumento considerato come il più vicino alla voce sia stata un caso.

Quali sono i compositori e le opere violinistiche che più la emozionano, e perché?

In campo prettamente “violinistico”, i miei brani preferiti in assoluto sono il concerto no. 2 di Bartok, il concerto per violino e orchestra di Beethoven, e le sonate per violino e pianoforte di Brahms. Scoprii le musiche di Bartok all’età di 10 anni e fu amore a prima vista: Bartok rimane tuttora il mio compositore preferito; credo che il suo rapporto con il ritmo sia il fattore che maggiormente mi affascina nella sua musica. Le sonate di Brahms rappresentano ognuna un percorso emotivo incomparabile, mentre ritengo semplicemente il concerto di Beethoven come il brano più divino che sia mai stato scritto. Tengo però a precisare che sono una fervente appassionata del quartetto d’archi, e che il repertorio quartettistico mi entusiasma tanto quanto, se non più del repertorio cosiddetto solistico.

E il suo rapporto con l’“altra” musica: jazz, rock, leggera, lirica...

Solitamente per distendermi ascolto musica, e raramente si tratta di musica classica, poiché la vivo di già tutti i giorni: alcuni dei miei artisti preferiti sono i Pink Floyd, i Queen, Michael Jackson, Jeff Buckley, Crosby, Stills, Nash and Young, Lake Street Dive... Sono una grandissima appassionata di jazz, e amo molto anche il funk.

Come considera l’educazione e l’approccio musicale dei suoi coetanei?

La più parte dei miei amici sono musicisti, quindi hanno tutti ricevuto un’eccellente educazione musicale; devo purtroppo osservare però che il sistema educativo italiano non favorisce abbastanza, a mio avviso, l’apprendimento e l’apprezzamento della musica, che sia classica o meno. Sono riconoscente di aver beneficiato anche di una profonda educazione in storia dell’arte, poiché senza tale cultura non avrei mai potuto sviluppare una conoscenza e un amore tale per la storia delle arti figurative; credo che si debba attribuire la stessa importanza alla musica per quanto concerne l’educazione dei giovani: se non si introduce un’educazione musicale di rispetto nelle scuole pubbliche, chi sarà il pubblico del futuro?

Se dovesse scegliere di organizzare un concerto all’aperto, quali ambienti di Milano sentirebbe più in sintonia con la sua musica?

Ritengo che il più grande patrimonio di Milano si trovi nei cosiddetti “giardini nascosti”, che sono uno più splendido dell’altro: avendo abitato per 16 anni in un palazzo in stile Liberty, ho avuto accesso a un bellissimo giardino privato interno, sul quale si affacciava ogni appartamento. Un’immagine che mi è rimasta impressa nella memoria è quella di mia sorella che, quando ero piccola, talvolta si dilettava a studiare il violino in giardino durante i giorni di calura estiva milanese. Da sempre sogno che i più bei giardini privati di Milano vengano aperti al pubblico per dar luogo a concerti di musica classica, che dovrebbe essere “a portata di tutti”, e non riservata solamente alle imponenti sale da concerto.

Lei è giovane interprete e solista, Milano quali occasioni di farsi conoscere e affermarsi le ha offerto?

Sicuramente Milano è stata la città che più mi ha offerto possibilità di esibirmi durante la mia formazione in Conservatorio; ho avuto l’occasione di suonare in alcune delle sale più importanti della città sin da giovanissima, e il concerto più recente che ho dato a Milano è stato per la Società del Quartetto al Museo Diocesano, accompagnata dalla pianista milanese con la quale collaboro sin dall’età di 10 anni, Aska Carmen Saito. Se non avessi ricevuto tante opportunità per esibirmi a Milano, non sarei la musicista che sono diventata.

Pensando alle giovani donne di oggi: possiamo parlare di liberazione, integrazione, o...

Riscoperta, identificazione, riconoscimento.

Come vede il rapporto tra uomini e donne nell’ambiente musicale?

Al giorno d’oggi il mondo della musica classica è sempre più favorevole e aperto alle donne, soprattutto nell’ambiente solistico; una volta presenti soprattutto come cantanti o pianiste, da diversi anni il podio appartiene altrettanto alle donne che agli uomini, e da qualche anno sono emerse molto figure femminili ricoprenti ruoli prima considerati come quasi esclusivamente “maschili”: direttrici d’orchestra, compositrici, trombettiste soliste... Il pubblico di oggi è molto affascinato dalla sentimentalità femminile, e grazie a ciò la donna musicista odierna è libera e incoraggiata a esibire/sfoggiare le qualità genuinamente femminili del suo animo e della sua passione, piuttosto che doversi battere per dimostrare capacità eguaglianti a quelle di un uomo, e il suo particolare genio emotivo e intellettuale la rende unicamente intrigante al pubblico d’oggi.

Stereotipo e realtà della donna milanese...

Stereotipo: troppo indaffarata, sempre freneticamente alla rincorsa di nuovi progetti lavorativi. Un po’ è anche vero, ma la vedo in modo molto positivo – in poche città come a Milano si vedono donne occupare ruoli di alto rilievo nella programmazione delle attività culturali, nell’editoria, ecc. La vera donna milanese è intraprendente, acculturata, poliglotta e dotata di una coscienza e un’apertura di mente a livello internazionale.