Mi rilasso in poltrona. Nell'aria aleggia l'aroma del caffè e dalle persiane socchiuse entra la luce della luna che illumina il pavimento. Manca poco all'alba, Simone è già uscito per andare al lavoro e io sono sola in casa. È uno dei momenti della giornata che preferisco: ho tempo per me, per godermi il mio amato caffè e, comodamente acciambellata sul divano, con ancora il pigiama indosso, ho tempo per riflettere.

Nel dicembre 2014 ho terminato gli studi universitari e mi sono affacciata a quella che sarebbe stata la mia vita. Ho sempre creduto di avere tutto sotto controllo, di sapere esattamente cosa volevo fare e cosa volevo diventare: un avvocato. Ho studiato per questo. Ho pianto per questo. Ho sofferto per gli esami che non riuscivo a superare, per le porte sbattute in faccia da professori che di voglia di insegnare non ne avevano a sufficienza. Ero convinta che quella fosse la strada che avrei dovuto seguire, perché ormai avevo iniziato e perché lo studio e la conoscenza della legge mi piaceva e mi piace tutt'ora. Ma la vita aveva per me altri progetti. Poco dopo la laurea ho rifiutato quella che probabilmente era l'offerta di lavoro di una vita. Non so dirvi esattamente perché l'ho fatto: so solo che, a distanza di più di un anno, non me ne sono pentita. Voglio raccontarvi com'è andata.

Ero a casa quando il telefono ha squillato. Una giovane donna mi invitava a partecipare al colloquio per il lavoro che chiunque nei panni di una giovane neolaureata, avrebbe sognato. Ero felice. Ho passato il giorno seguente a preparare il discorso, a studiare ogni possibile domanda e risposta, a curare il look per sembrare una donna sicura di sé. Volevo quel lavoro a tutti i costi. L'ufficio nel quale avrei dovuto sostenere il colloquio era al secondo piano di un edificio storico nel centro città. Un addetto alla sicurezza mi ha scortata fino alla porta, facendomi accomodare su un divanetto in pelle e salutandomi garbatamente si è congedato. Avevo il cuore che mi tamburellava nelle orecchie. Poi la voce di un uomo mi ha invitata ad entrare.

L'ufficio non era come lo avevo immaginato: era avvolto dalla penombra e la scrivania in vetro trasparente dava le spalle alla finestra. Pesanti tende verdi limitavano la visuale e alle pareti erano appesi quadri che raffiguravano spettacoli di danza classica. L'uomo, al di là del tavolo, era illuminato dalla luce di una lampada e dopo avermi guardata dalla testa ai piedi, mi ha invitata ad accomodarmi. È seguito un colloquio piuttosto piacevole, ma più l'uomo mi descriveva il lavoro più la mia mente vagava altrove. “Concentrati, Ilaria. Cosa stai facendo?” mi ripetevo, ma niente: la mia mente volava oltre quelle tende pesanti e quell'aria ovattata. Non riuscivo a capire cosa mi stesse accadendo: desideravo quel lavoro, desideravo quell'ufficio, desideravo quella vita. La desideravo?

Dopo circa un'ora di piacevoli, seppur faticose chiacchiere, l'uomo mi ha congedata stringendomi la mano e dicendomi che la sua segretaria mi avrebbe ricontattata a breve. E così è stato: due giorni dopo, la stessa giovane voce che mi aveva invitata al colloquio, mi comunicava allegra che ero stata selezionata e che avrei potuto iniziare l'affiancamento la settimana seguente.

L'unica cosa che in quel momento sono riuscita a sentire è stato il mio cuore che, sono certa, si è fermato per qualche secondo. Sono stata colta da un'improvvisa paura, ma non la paura di non farcela o di non essere all'altezza per quel lavoro. Avevo paura perché stavo facendo una cosa che non volevo, ma che non sapevo come giustificare alla famiglia. E anche a me stessa.

In che modo avrei potuto spiegare a Simone o ai miei genitori che non volevo accettare quel lavoro? E perché, poi? Perché in quell'ufficio mi sono sentita soffocare o perché avevo la sensazione che qualcuno di molto pesante iniziasse a schiacciarmi lentamente? Sarei sembrata una pazza capricciosa. Ed era l'ultima cosa che volevo sembrare.

Quella sera stessa, a cena, Simone mi ha chiesto cosa mi turbasse, perché se c'è una cosa che proprio non so fare è fingere che tutto vada bene quando in realtà dentro ho un temporale con gli “scrocchi”. Non so come, ma le parole hanno iniziato a uscire come fossero trasportate da una valanga: non mi sono preoccupata di quello che sarei potuta sembrare, di come stavo esponendo la cosa, di quello che avrebbe potuto pensare di me. Ho solo tirato fuori tutto. E poi ho pianto, ovviamente (piango per tutto, io).

Con una calma quasi spaventosa, Simone mi ha detto: “Puoi fare tutto in questa vita se davvero lo desideri. Devi solo capire cosa vuoi davvero e lottare per ottenerlo”. E sapete cosa volevo fare io? Volevo scrivere! Volevo vivere quotidianamente quelle stesse sensazioni che vivevo a scuola quando la professoressa ci affidava un tema di scrittura creativa; volevo vivere mille avventure e volevo viaggiare per mondi e luoghi lontani che a volte neppure esistono. Volevo sognare ed emozionarmi con le storie di altri, volevo far sognare e innamorare estranei. Volevo regalare, anche se solo pochi minuti, spensieratezza. Lo avevo sempre saputo, quello che volevo. Solo non lo avevo mai detto ad alta voce, né lo avevo ammesso a me stessa.

Quella sera non solo l'ho detto, ma l'ho proprio gridato. A voce altissima. E dalla mattina successiva ho iniziato a lavorare per questo sogno. Mi sono data sei mesi di tempo per riuscire a realizzarlo e trasformarlo in un lavoro, altrimenti avrei cercato qualcosa per vivere e avrei - ovviamente - continuato a scrivere per diletto.

È andata a finire che due mesi dopo ho firmato il mio primo contratto editoriale e subito dopo ho iniziato a collaborare con varie riviste. Oggi, a un anno di distanza da quel colloquio, ho fatto del mio sogno un lavoro. Certo, non so quanto ancora durerà, ma una cosa è certa: mi godo ogni minuto e se mai un domani non avessi più questa fortuna, potrò sempre dire di aver vissuto, anche se per poco, la vita che volevo vivere. Tutti dovrebbero vivere la vita che vogliono vivere. Simone e la mia famiglia mi hanno permesso di viverla e non smetterò mai di ringraziarli per questo.

Tratto da Uno stile Parigino. Come imparare l'arte di una Femme Chic, Ed. Cultura e dintorni, in uscita a marzo 2016.
www.culturaedintorni.it