Ho bisogno di una prospettiva, tra chi è forte
e chi ha ragione, di una Terza dimensione: ye ye, ye ye!
Dicci tu qual è la prospettiva! Sono solo un cantante!
Dicci tu qual è la prospettiva! Mi lamento e basta!

(Caparezza, Giotto Beat)

Cerco un centro di gravità permanente
(Franco Battiato, La Voce del Padrone)

Di Michele Salvemini conoscevo solo quella del Tunnel e quella della Luna. Poi ho ascoltato dal vivo Museica all’Arena Derthona quest’estate ed è stato come un’improvvisa iniziazione! Se Battiato è un futurista ascetico, monacale, che ti aspetta nel suo mondo per assorbirti, Caparezza è un futurista di sfondamento, un artiere dannunziano che ti viene a cercare per metterti in movimento, per insegnarti la sua corsa, la sua epica fuga.

Caparezza riesce a cavalcare il modulo hip hop/rap servendosene per riformulare una narratività musicale-visiva travolgente, evitando di subirlo quale convenzione di mercato, e uscendo dal conformismo di tematiche piccolo-borghesi in cui molti sguazzano (es: la cannabis libera in un mondo da pensionati). Caparezza ha vinto una grande sfida culturale e linguistica, anche grazie all’alto livello intellettuale e creativo dei testi e alla varietà delle contaminazioni con cui sa abilmente giocare (dalla pizzica ai cori sovietici, dalla canzoni oratoriali alla musica elettronica, da sonorità anni '60 ai cori da stadio, dal metal e dal violino popolare irlandese alla filastrocca e al musical, dal blues al lieder, et cetera… ): ha vinto cioè la sfida della creatività a confronto con uno dei format (l’hip pop/rap) più asfissianti e appiattenti degli ultimi vent’anni e ci è riuscito (usandolo invece di esserne provincialmente succube) proprio battendolo sulle sue origini mitizzate: la denuncia sociale e il “ritorno al reale”.

Tenendo per buona la celebre bipartizione di Umberto Eco possiamo dire che J-Ax è un integrato mentre Caparezza resta un apocalittico. Per questo è bello ascoltare J-Ax mentre guidi ma per Caparezza meglio un giardino o uno spazio meditativo: è troooppo intenso! Caparezza ha ribaltato creativamente il rapporto fra significante e significato per cui la sequenza ritmica e verbosa del canto è tornata strumento di una narratività affabulatoria che sopravanza la sua stessa tecnica espressiva trasfigurandosi in una musicalità iconologica, in nuova incessante produzione di mito. Caparezza è una macchina mitizzatrice. Ogni sua canzone è una costruzione futuristica di miti, generati e rigenerati.

Con Museica Caparezza batte 3 a zero qualsiasi Sgarbi o Philippe Daverio nella riattualizzazione dell’arte quale tessuto sociale e quale fatto di comunicazione partecipata, e il nostro artista non si limita a dirompere in modo disgregativo il “luogocomunismo” (a sua volta divenuto un ghetto mentale) ma crea e disfa demiurgicamente i propri scenari e percorsi. Nella sua opera l’alta frequenza delle battute non diventa facile abili per celebrare il frammento e il nonsense, ma viene accettata prometeicamente per fondare e rifondare continuamente, novello Sisifo, il Dis-corso, facendo implodere il frammento in un processo dinamico e dialettico autosussistente. Caparezza è il nuovo Carmelo Bene, è il Carmelo Bene della musica contemporanea.

E non è neppure molto lontano da Battiato, che iniziò similmente sperimentando in e con un magma citazionistico ad ampio raggio, giungendo alla “poetica della selezione dei materiali”. La copertina di Museica è un’immagine di cosmogonia esoterica che ricorda vari album di Battiato fra cui ad esempio L’Arca di Noè e Ferro battuto. Caparezza è una centrifuga musicale ossessiva e liberatoria, una fucina automitizzante in quanto esercita il culto della personalità dell’Altro e degli altri (esce Mito a se stesso in quanto racconta mitizzando), Caparezza che resuscita l’ironia tramite l’autoironia (Il secondo secondo me, Chissenefrega della musica) facendosi speculum mundi, materia musicale viva, autoparlante dell’Ideale riproposto quale tensione vitale di percorso.

I voli pindarici delle sue rime sono veramente acuti e mozzafiato e dimostrano come il rap sia per lui solo uno dei molti strumenti da utilizzare e padroneggiare con fluida saggezza, come la metrica per un Petrarca: possibilità di condensazione narrativa e semantica, non limite, ma neppure cifra. Petrarca era già leopardiano ed esistenzialista nel '300 nonostante la sua metrica fosse la stessa di centinaia di suoi contemporanei. Così Caparezza porta il “battutismo” del parlato ritmico all’esasperazione dell’implosione perché così facendo eleva e trasla (cioè fa poetica) sciogliendo i generi e permettendo il risorgere della canzone quale racconto psicagogico e mitogonico.

La coerenza di senso resiste, l’intenzione ideale vive. Ritorna il senso della Visione. Lo spirito è rock, nella sua essenziale purezza, un rock surreale, il rock della surrealtà, non quale fuga d’evasione ma quale anzi abbraccio della totalità. Il suo merito va veramente sottolineato, perché raggiunge livelli di saggezza e genialità simili al grande Battiato (Abiura di me, Il mio lato intollerante, Figli di arte, China Town) pur accettando i forti limiti ritmici che si è scelto. Il suo successo è comprensibile segno di speranza e socialmente terapeutico: in una società che disconosce e mercifica qualsiasi “bandiera” Caparezza si pone quale fucina di “bandiere”, quale nuovo modulo produttivo di ri-idealizzazione contro la reificazione imperante come lo era la “bandiera su di una barricata” due secoli fa. Non importa quale bandiera. Importa che sia riuscito ancora ad elevarla e a celebrarla.

La sua Opera è simile a quella di Battiato, segue la nobile scìa di Battiato; vive in un negozio di maschere, per questo ha un volto. Cover è un armonico e sapiente culmine, un canto fatto di nomi di canti, le cui radici sono Magic Shop, Frammenti e Passaggi a livello di Battiato, nel comune gioco di mettere la testa oltre la sfera dell’orbe apparente riallacciando i fili delle rovine del linguaggio, cioè della civiltà. Battiato e Caparezza sono due templari. Vivono all’ombra della cattedrale che stanno costruendo, in una semplice capanna.