Così è finita anche l'estate. La strada è una lingua nera che sibila il tuo nome. Io viaggio lento, nella mia auto spenta, fermo sotto casa tua. Domani riprenderò ad impostare la sveglia, a prepararmi colazioni da discount, a coagulare i respiri in una spinta per la sopravvivenza. Nell'azzurro della tua finestra il cielo continua a scorrere sconosciuto.
“A che ora parti?”, ti ho chiesto. “Non so, quando riuscirò a finire le valigie.”
Ma è già l'alba del giorno dopo, e tu sei ancora qui, dietro queste mura.
Le vacanze quest'anno erano vacanze da scuola elementare. Tre mesi lunghi, senza progetti. Solo il falso proposito del riposo, virando il senso della noia, rendendola utile inattività.
Ero andato a guardare i cavalli, li sentivo ogni tanto nitrire mentre fumavo, di sera sul balcone.
Quel giorno mi sono svegliato presto, sono andato a comprare un sacchetto di frutta, e ho iniziato a camminare lento nelle campagne, seguendo una direzione che mi ha indicato il mio orecchio.
Infatti dopo poco ho scorto un recinto, e cinque cavalli tutti bianchi, un riassunto di un libro di favole, senza prìncipi.
Ho visto la linea del tuo corpo, un piccolo moto sbiadito di luce, le gambe scoperte sotto il vestito, ed una benda sulla caviglia sinistra. Ho camminato fino a raggiungere il quadro chiuso della mia visuale, e più procedevo e più mi apparivi chiara, che quasi mi facevi paura.
“Se è venuto a fare un'escursione, è ancora presto.” “No, sono solo venuto a guardare.”
Ed hai iniziato con le domande, alle quali il più delle volte ho risposto mentendo, per risultarti più interessante di quello che sono: un uomo con uno zaino pieno di pesche e di banane e senza storie comiche che fanno sbellicare, un vecchio studente impreparato, che non conosce l'argomento, ma ne ha sentito parlare, e finge la vita.
Tu invece sembri sincera, quello che dici di te me lo confermano le tue mani, la traiettoria rapida delle tue pupille, le spalle ampie, e quella benda che ti tiene ferma la caviglia, che ti sei storta cadendo da cavallo. E la tua essenza che ignoro mi sembra essersi solo rivelata, come qualcosa che sai che c'è per un insegnamento innato, come un dettaglio della natura che cresce immenso davanti agli occhi, così, improvviso, come il time-lapse che fa il bocciolo fiore.
E ci siamo incontrati molte altre volte, per caso. Un caso che ho fatto accadere con fatica, seguendo il tuo passo zoppo con la mente, interrogando le cose, gli oggetti, gli scogli sui quali sedevi, che erano accanto ai miei scomodissimi scogli preferiti, come pugnali sotto gli stinchi, ma stavo benissimo: per puro caso era mia abitudine occupare lo spazio che ti era accanto.
Tu eri contenta, e mi salutavi agitando il braccio sottile, con un luccichio di denti che mi trasformava, e dall'essere un patetico mezzo stalker mi sentivo un santo, uno che sacrificava il corollario inutile della sua routine per quell'istante di luce tra le tue labbra.
E devo dire che questo mio non chiederti niente ha funzionato, e tu un giorno mi hai detto “pranziamo insieme”, e casa tua presa in affitto era vuota di tutto, ma i tuoi vestiti, e gli asciugamani, e gli stivali di equitazione, l'elastico per i capelli, il tuo bikini steso ad asciugare, la tazza sporca di caffè nel lavandino, e il letto sfatto e tu che cucini rapida e canticchi e fai domande, e metti piatti e bicchieri di plastica sulla tovaglia scolorita e poi la bocca vicinissima e il luccichio, il luccichio dentro di me e sul mio corpo, e i nostri abiti sul pavimento, e il letto sfatto, il letto sfatto, e la tua benda sulla caviglia, il batticuore, i bianchi bianchissimi triangoli sui tuoi seni, le vocali della tua gola, l'odore, il rompersi delle linee rette, il bocciolo, il fiore, morirti sul petto.
E l'impossibilità di salutarti, fingere di dormirti accanto, il luccichio socchiuso nel tuo sonno, il fianco che scalo come un monte, io, un niente, affamato, assetato.
Il ripetersi dei giorni, che vanno velocissimi, nemici, ed io per caso nella tua vita, ed io per caso ora qui, ad aspettarti, tutta la notte, che tu non lo sai, che aspetto che tu finisca le valigie e che tu non le finisca mai, per incontrarti per caso, mentre esci di casa, e tutto quello che ho visto chiuso nei trolley che ti trascinerai dietro, e il letto riordinato nella casa vuota davvero, e la tazza del caffè pulitissima e messa a posto ad asciugare, e il fiore spalancato in tutta la sua più sfacciata bellezza, e la tua caviglia senza benda, più chiara lì nel punto in cui era negato il sole, e la linea del tuo corpo, le cose che già so, il nitrire dei cavalli bianchi, e tu che andrai via e aprirai un'altra porta, ed una casa vera, che parla tutta, tutta, in ogni angolo, di te, nella quale io non sono, e per caso io avrò fame e tu mi inviterai a pranzo, e farò tutti i chilometri del mondo, per quel luccichio senza il quale non vedo, e non ci sarà il mare ma un centro commerciale, una metropolitana, una piazza con la fontana spenta, ma guarda che coincidenza, il mio posto, guarda, è proprio questo, qui, tu, io, ci siamo accanto. Mi hai, tuo, accanto.

“You know you're gold, you don't gotta worry none
Oasis child, born and so wild
Don't I know you better than the rest
All deception, all deception from you

Your love is stag in the white sand
Wilderness for miles, eyes so mild and wise
Don't I know you better than the rest
All deception, all deception from you

Any way you run, you run before us
Black and white horse arching among us

Your love is stag in the white sand
Oasis child born into a man
Don't I know you better than the rest
All deception, all deception from you

Wilderness for miles, eyes so mild and wise
Oasis child, born and so wild
Don't I know you better than the rest
All deception, all deception from you

Any way you run, you run before us
Black and white horse arching among us.”

Foto: http://amandacharchian.com