“Se potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo”, confidò Caterina Sforza a un frate poco prima di morire; ed effettivamente la biografia di questa grande donna del Rinascimento è così ricca di avvenimenti e colpi di scena da affascinare anche oggi tantissime persone.

Nipote di uno dei più importanti capitani di ventura dell’epoca, Francesco Sforza, ereditò da lui e dalla nonna Bianca Maria Visconti, anche lei grande combattente, l’indole guerriera e la capacità di affrontare a testa alta qualsiasi tipo di situazione. Caterina nacque nel 1463 dall’amore tra Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani, sua amante ufficiale: ebbe così la possibilità di crescere nella corte sforzesca, uno degli ambienti più intellettualmente vivaci del suo tempo, ricevendo una cultura di tipo umanistico. Caterina era la nipote preferita di Bianca Maria Visconti, proprio perché fin da molto piccola dimostrò di possedere un carattere volitivo ed energico: i suoi passatempi preferiti erano la caccia e le armi, oltre alla passione per l’erboristeria e l’alchimia, che l’accompagnò per tutta la vita.

Come era usuale per i tempi, per complicati intrighi politici a soli dieci anni Caterina fu data in sposa a Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV e conte di Imola. Secondo alcune fonti, per volere dello sposo, il matrimonio fu consumato subito, senza aspettare il compimento del quattordicesimo anno di età della ragazza, come il buon senso imponeva. Fu forse per questo episodio, che per la piccola Caterina fu un vero e proprio trauma, che lei non riuscì mai a provare nessun sentimento di amore per il marito, anzi: il suo disprezzo per lui aumentò sempre di più, anche per il carattere vile e codardo dell’uomo, del tutto opposto a quello della giovane.

E chi fosse tra i due a dominare nella coppia lo si vide ben presto: quando papa Sisto IV morì e quindi i Riario, non godendo più dell’appoggio papale, rischiavano di essere travolti dai loro numerosi nemici, Caterina, incinta di otto mesi, non esitò a mettersi alla testa dei cavalieri del marito e a occupare Castel Sant’Angelo. Rimase qui per 12 giorni, minacciando il Vaticano affinché il Conclave eleggesse un nuovo papa di suo gradimento: si ritirò solo perché costretta, dato che il pavido marito accettò di trattare con gli alti prelati. In cambio della resa, i Riario ottennero la conferma della signoria di Imola e Forlì: un piccolo stato, che però per la sua posizione geografica di regione di passaggio tra nord e sud aveva una certa importanza nella dinamica politica del tempo.

Dopo poco, Girolamo Riario fu assassinato da una congiura di nobili locali: e in questa occasione Caterina diede nuovamente prova di tutto il suo coraggio, come racconta anche il Machiavelli. Contro la città ribelle, la donna si chiuse infatti nella rocca di Ravaldino e da lì iniziò una energica resistenza, incurante del fatto che gli assedianti avessero in ostaggio i suoi figli. È proprio Machiavelli a ritrarre Caterina che, a chi la minacciava di uccidere i suoi figli, ritta sui merli della rocca sollevava il vestito “mostrando le membra genitali”, a conferma che “avea le forme da crearne altri”. In poche parole: non mi fate paura minacciando di uccidere i miei figli, posso partorirne ancora quanti ne voglio.

E grazie a questa durissima resistenza, alla fine Caterina riuscì a spuntarla: le fu restituita la signoria di Imola e Forlì di cui divenne amministratrice unica, per conto del primogenito Ottaviano, dimostrando di essere abile non solo nelle battaglie, ma anche nel governo. Revisionò infatti il sistema fiscale riducendo le tasse, fece costruire giardini e palazzi, protesse le arti: fece quindi tutto quello che un buon “principe”, citando Machiavelli, avrebbe dovuto fare. Insomma una donna che combatteva al fianco del suo esercito e si mostrava poi a corte con eleganti abiti di seta e velluto, sempre bellissima nonostante le numerose gravidanze (ebbe ben otto figli) e le varie peripezie che dovette affrontare.

E che Caterina dovesse essere bellissima non c’è alcun dubbio: il ritratto più famoso che abbiamo di lei, quello fatto da Lorenzo di Credi e conservato nella Pinacoteca Civica di Forlì, ce la presenta con una stupenda carnagione, i tratti morbidi e delicati e lo sguardo fiero, abituato a puntare in alto. Fu ritratta da tutti i grandi pittori dell’epoca, e si ipotizza che una delle tre Grazie presenti nella Primavera del Botticelli sia proprio lei. E probabilmente la bellezza di Caterina era dovuta anche agli unguenti e ai cosmetici che lei stessa preparava, visto che per tutta la sua vita si occupò di erboristeria, cosmetica, medicina e alchimia, scrivendo anche un libro, gli Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì. Si tratta di una raccolta di più di 400 ricette, che sono per lo più di carattere cosmetico, indirizzate a conservare la bellezza secondo quelli che erano i canoni dell’epoca: ecco quindi la ricetta per “fare la faccia bianchissima et bella et lucente et colorita”, per “far crescere li capelli longhi insino at terra” e “a far cadere peli che mai più tornaranno”. Caterina era veramente competente in questo campo, come dimostra l’ingente mole di corrispondenza che intrattenne con le nobildonne, i medici e gli scienziati del suo tempo.

Una donna dalle mille risorse e dalle grandi passioni, come dimostrò in più episodi: se infatti per il marito Girolamo Riario provò solo disprezzo, dopo la sua morte incontrò però il grande amore. Si innamorò infatti perdutamente, come raccontano le cronache del tempo, del ventenne Giacomo Feo, e lo sposò in segreto per paura di perdere la tutela dei suoi figli e, conseguentemente, il governo del suo Stato. Il giovane, grazie all’appoggio di Caterina, raggiunse un grande potere che spaventò molti, e infatti fu ben presto vittima di una congiura a cui presero parte tantissimi nobili di Forlì. Le cronache del tempo raccontano che la vendetta della donna, infuriata per aver perso il grande amore della sua vita, fu spietata: intere famiglie ne furono colpite fino all’estinzione, in quello che fu un vero e proprio bagno di sangue.

La biografia di Caterina è ricchissima di episodi che testimoniano il suo spirito combattivo e l’indomabile coraggio: quello che è certo è che non piegò mai la testa di fronte a nessuno, nemmeno quando, in lotta con i Borgia, fu imprigionata a Castel Sant’Angelo per sei mesi, subendo soprusi d’ogni sorta. Fu liberata grazie all’intervento francese e si rifugiò poi a Firenze, dove morì di polmonite a 46 anni, non senza aver prima provato a recuperare la Signoria delle terre romagnole.

Questo breve scorcio della sua biografia mostra perfettamente come i soprannomi di “leonessa delle Romagne” e “tygre di Forlì”, con cui veniva solitamente indicata dai cronisti del tempo, siano stati perfettamente appropriati al personaggio. Un cronista veneziano la definì “femina, quasi virago, crudelissima e di grande animo. Senza dubbio prima donna d’Italia”. E, se ai suoi tempi Caterina primeggiò per fascino, abilità politica e forza virile, anche adesso non smette di affascinarci: donna spaventevole, mai spaventata, che seppe affrontare a testa alta tutti i potenti del suo tempo.