Lorella è una bellissima bimba di 5 anni, ha due occhioni scuri che spalanca sul mondo con uno sguardo incantato, forse un po' incredulo e titubante, ha lunghi capelli biondi che ondeggia civettuola con orgoglio e leggiadria e sfoggia un corpicino snello, longilineo che muove in maniera aggraziata, sembra quasi volteggiare in una danza che segue una musica interiore.

I suoi genitori, che la adorano, sono molto preoccupati perché la loro bambina, quando parla balbetta e si esprime con un linguaggio “impastato” per cui si fa fatica a capire quello che dice; inoltre è inibita nel manifestare quello che pensa o che desidera, perché teme di irritare gli altri offuscando quel bagno di armonia in cui ha galleggiato in questi suoi primi 5 anni di vita. È perciò disposta a compiacere tutti, a non contraddirli, a mortificare i suoi bisogni per non entrare in rotta di collisione con nessuno e, in particolare, per illudersi di essere tutt'uno coi suoi genitori, in una fusione di felicità, senza intoppi e senza conflitti di sorta.

Queste sono le difficoltà manifeste di Lorella, ma la nostra meravigliosa bambina ha anche un problema segreto: “le coccoline”, termine poetico, tenerissimo, con cui definisce la masturbazione compulsiva di cui soffre da quando aveva tre anni e che adesso ha raggiunto una frequenza allarmante. Può succederle a casa mentre vede un programma televisivo o i suoi cartoni animati preferiti, oppure mentre fa il bagnetto, o quando gioca coi suoi fratellini, spesso a letto prima di addormentarsi o anche all'asilo strusciandosi sui banchi della classe, di fronte a tutti, senza apparentemente preoccuparsi di essere vista. Quando è presa da questo imperioso bisogno, non c'è niente che tenga, è più forte di lei, è come se la mente interrompesse di funzionare e lei, estraniata dal mondo, diventasse preda e vittima di questo implacabile impulso.

Quando Lorella si masturba è come se non fosse più padrona di sé, appare invece dominata, quasi posseduta completamente dalla pulsionalità, sembra non vedere né sentire più niente, se non l'ordine interno, perentorio, di portare a termine la “missione coccoline”. C'è come un'inesorabilità che non contempla la problematizzazione dell'atto auto-erotico o una sua motivazione o la ricerca del significato, tanto meno sono previste giustificazioni: le coccoline ci sono e basta, “le faccio perché mi piace” e stop. Dov'è il problema? Vedo la bambina in consultazione su richiesta dei genitori e, in seguito, inizierò una psicoterapia con lei, terapia durata circa due anni con cadenza settimanale.

All'inizio del nostro rapporto Lorella mi studia attentamente, ci cimentiamo in diversi giochi dove la costante è che la piccola vuole sempre vincere ed essere rassicurata di essere brava. Introduce anche la questione dell'esistenza di un segreto: dobbiamo infatti indovinare il colore nascosto/segreto dell'oggetto principale della storia che dobbiamo raccontarci reciprocamente, pena un castigo terribile: “se sbagli devi ingoiare una banana con anche la buccia, tutta in un boccone” o “se non indovini ti uccido”.

Sembra un mandato tassativo e implacabile dell'inconscio di Lorella: devo indovinare il colore/emozione della sua storia personale per poterla aiutare, altrimenti ne va della mia vita e del nostro lavoro. Il tono minaccioso e aggressivo fa davvero rabbrividire, così come fa arrabbiare la sua irriducibile testardaggine, quando, a fine della seduta, si rifiuta di andarsene incollandosi con forza alla porta e impedendomi di accedere alla maniglia. La scelta dei sintomi di Lorella mi fa più volte pensare a come servano da strumento di comunicazione del suo malessere emotivo alla madre, se non ci fossero stati, in famiglia avrebbero pensato che fosse una bambina serena; diventano anche il modo indiretto, il solo che le è possibile, per attaccare la mamma aggressivamente, infatti la donna si sente massacrata dai disturbi della bimba; tra l'altro, i suoi problemi rappresentano la loro relazione sofferente e la reciproca difficoltà di distacco. Il suo bisogno di evitare le occasioni di conflitto si verifica anche nel nostro rapporto, dove Lorella crea un clima, a dir poco idilliaco, ed è solo nel procedere dei nostri incontri che potrà permettersi di manifestare apertamente nei miei riguardi emozioni rabbiose e posizioni oppositive.

Da quel primo incontro ne succederanno tanti altri, in cui Lorella coi giochi, coi disegni, con l'invenzione di storie fantastiche e, alla fine, con le parole potrà finalmente riconoscere ed esprimere tutta la sofferenza di sentirsi derisa dalle compagne perché “mi dicono che parlo male e non capiscono quello che dico: ma è vero?”; racconterà anche il dolore per la separazione dalla mamma tutte le volte che deve assentarsi da casa per lavoro “e se poi si dimentica di me e non torna più?”. Parlerà, in seguito, della preoccupazione di essere perfetta, di voler sapere già tutto perché non può sbagliare, così come non può tollerare di perdere nei giochi di sfida e, soprattutto, non può riconoscere i sentimenti aggressivi perché il suo pensiero primario è di “fare felice la mamma” e non separarsi mai da lei.

L'immagine che emerge dagli scambi tra madre e figlia è quella di un incontro difficile e tormentato, dove alla richiesta di un contatto emotivo esclusivo, corrisponde una risposta rigida e carica d'ansia. Si può capire perché la bambina, desiderosa di conquistare la mamma, si trovi ingabbiata nella ricerca della perfezione e si senta responsabile dello stato umorale materno ed è per questo motivo che decidiamo con la signora di vederci ogni 15 giorni per pensare assieme a cosa succede in questo rapporto così intenso e così sofferto, con una figlia così amata e vissuta assolutamente come speciale. Sarà un lungo percorso anche quello con la madre che comincerà a ripescare la sua storia di ex-bambina lasciata emotivamente sola nel processo di crescita, con compiti evolutivi particolarmente faticosi per non deludere genitori socialmente e culturalmente importanti. Nei colloqui emergerà anche la sua intolleranza rispetto alle inadeguatezze di Lorella che le scatenano una rabbia incontenibile, le capita di urlare e, a volte, esasperata, di picchiarla, probabilmente perché vede rispecchiati nella figlia i suoi aspetti inaccettabili e li vive come attacchi alla propria integrità mentale; dirà infatti in un momento particolarmente difficile tra di loro: “me ne vado, non sto con te perché mi fai andare al manicomio, ne va della mia salute mentale”; inoltre la bambina è vissuta come fallimento personale perché si sente responsabile dei suoi problemi.

Il dolore per non sentirsi una buona madre, per non sapere come fare per rapportarsi in modo adeguato a Lorella metteranno a dura prova la donna, che con tenacia, intelligenza e coraggio, ma sorretta soprattutto dal grande amore per la sua bambina, compirà davvero un lavoro straordinario di cambiamento, rendendosi emotivamente disponibile a una diversa modalità di relazione con l'adorata figlia. Dopo i primi mesi di terapia, in Lorella scompare il sintomo della balbuzie e il linguaggio si fa sempre più scandito e comprensibile, scaturisce il piacere di inventare storie e di sfidarci in giochi competitivi dove cammin facendo, sentendosi più sicura, imparerà a rispettare le regole e a tollerare il dolore della sconfitta.

Ma ecco un altro passaggio di vita che mette a dura prova la bambina: l'ingresso alla scuola elementare. Lì si scoprirà il vaso di Pandora, l'impatto con la faticosità dell'apprendere la metterà di fronte alla realtà delle sue incapacità, alla rabbia del non capire, al dolore della competizione con le sue amichette, tutte ferite dell'anima che la faranno ricorrere alla negazione delle sue difficoltà: “non ho bisogno di imparare, tanto io so già leggere”. Il suo atteggiamento verso la conoscenza è fortemente idealizzato e onnipotente, non vuole mostrarsi a me nelle sue dimensioni meno brillanti e nega il disagio di non sentirsi alla pari con gli altri. Ma a poco a poco inizia a far capolino il tema della gelosia verso i fratellini e l'invidia per le compagne che prendono sempre dieci nei compiti, adesso Lorella sente il nostro rapporto più sicuro e può sentirsi libera di manifestare cosa realmente prova. In seguito, esploderà la preoccupazione per le coccoline “dimmi come devo fare per non farle più, io da sola non ce la faccio”. Inoltre compare nelle nostre comunicazioni l'ansia di deludere gli altri e la paura di non essere accettata. È sorprendente come da una bambina così piccola possano scaturire parole, emozioni, pensieri così intensi e complessi.

Intanto Lorella apprende a riconoscere e a legare le lettere, a formare delle parole, a leggere davvero, fioccano bei voti e di questo va molto fiera. Il pensiero-tormentone riguarda il persistere delle coccoline, da me si aspetta una risposta magica, fatta di gesti scaramantici, non ci sta ancora a trovare un significato simbolico, “non le faccio perché mi sento sola e neanche perché sono arrabbiata, non pensavo nemmeno che fossero una cosa bella o brutta, c'erano e basta, è stata la mamma a farmi capire che sono un problema... ” ed è questo pensiero di non essere approvata dalla madre che la disturba e allora per farmi capire meglio cosa le succede, farà tanti disegni che la rappresentano mentre si masturba; con quel tratto semplice, ma essenziale tipico dei bambini, mi mostrerà mirabilmente le situazioni e le posizioni incriminate. Penso che questo sintomo ostinato sia proprio il nodo che riproduce a specchio la difficoltà di fondo della coppia madre-bambina, propongo allora di vederci tutte e tre assieme per cercare di snodare il groppo, ma non è così facile per la piccola aprire il nostro nido a “estranei”. Dopo un po' di settimane, però, superando l'iniziale rifiuto, riuscirà a invitare nella stanza di terapia anche la mamma e lì, protette dalla mia presenza, potranno sperimentarsi nel giocare assieme, impareranno a dirsi, domando la paura di esprimere pensieri divergenti, verificando anzi che la diversità non solo non spezza il legame affettivo, ma lo arricchisce.

È da questa esperienza condivisa che la madre e la bambina faranno passi da gigante nella loro crescita emotiva, tanto che un giorno, raccontando di soprusi subiti a scuola, Lorella dirà con impeto “le mie compagne mi hanno temperato tutte le matite, sentivo una rabbia che cresceva, saliva su, sempre più su, fino alla gola, ma non riuscivo a dire una parola, non usciva proprio niente, le parole si fermavano lì, allora mi sono messa in un angolo, ho fatto le coccoline e sono stata meglio”.

Che sollievo per Lorella e, di conseguenza, per la madre, aver finalmente riconosciuto e dato voce all'emozione che stava dietro la masturbazione: la masturbazione aveva un nome proprio, in quel caso si chiamava rabbia e la rabbia è un sentimento e ogni sentimento va rispettato e ascoltato. Un clima di grande liberazione e di commozione serpeggiava per la stanza, una grande vittoria era stata conquistata. E continuamente, seduta per seduta, tanti passi nel percorso del riconoscimento delle emozioni e dei pensieri sono stati fatti, di conseguenza anche le coccoline hanno, via via, avuto meno bisogno di esserci. Cammina, cammina, il nostro lungo e tortuoso percorso è entrato in dirittura d'arrivo. Ma all'idea della fine, ecco comparire lo spauracchio della separazione e Lorella con tono serio commenta “sono un po' preoccupata, non so se ce la faremo io e la mamma da sole... ”. In realtà tanti cambiamenti si sono verificati nella coppia, adesso la bambina e la mamma hanno imparato a parlarsi, quando incontrano dei nodi sanno aiutarsi per scioglierli, se si verificano degli inciampi sanno che prima o poi troveranno una loro soluzione. E inesorabile ecco allora arrivare l'ultima, fatidica seduta. È un momento emozionante per tutte e tre, è bello e brutto allo stesso tempo, è una giornata lieta, ma anche triste, c'è un'atmosfera particolare, direi solenne. Sappiamo che sta per compiersi il rito del saluto definitivo. Ecco l'ultima scena della nostra storia.

Decidiamo di giocare a “shangai”, uno dei giochi preferiti di Lorella. La bambina muove per sbaglio un bastoncino, glielo dico, nega violentemente, è l'ultimo incontro e vuole vincere a tutti i costi, la mamma si astiene dal commentare, la lotta ingaggiata è tra me e la bambina, iniziano insulti e pianti strazianti: “sei bugiarda, io non ho mosso niente!”. Il pianto diventa sempre più stizzoso, non c'è tregua: rabbia, dolore, delusione, disperazione, quanti dolori... sono tutti lì da patire per l'ultima volta insieme. Le lacrime sconsolate di Lorella forse rappresentano anche il pianto che è in tutte noi per il dispiacere del distacco. Sento una grande tensione per come si sono messe le cose, è davvero dura contenere tutte queste emozioni, certo sarebbe più facile darle ragione, ma azzardo “una parte di te vuole vincere a tutti i costi, ma credo che un'altra parte, quella più cresciuta e che adesso riconosce le regole, si sentirebbe offesa da una vittoria fasulla”.

Silenzio. Il pianto si è interrotto, Lorella prende la lavagnetta e inizia a scrivere... passano minuti che sembrano lunghissimi, la madre è assolutamente immobile, a un certo punto commento che deve essere molto importante quello che sta facendo, la bimba annuisce e dopo un po' mi porge la lavagna. Ci sono delle parole: “Se non mi dai ragione ti dò un bacio”. Sono stupefatta, esplodo con un'esclamazione di gioia, siamo libere dall'incantesimo malefico, cerchio il NON con un gessetto e commento l'importanza di questo momento, di come la sua parte grande abbia vinto la parte piccola. Lorella è felice, mi si avvicina e mi guarda con occhi sgranati, attendendo spasmodicamente il mio bacio-premio. Ci accorgiamo però che la madre sta piangendo silenziosamente, e la piccola, turbata, chiede con apprensione: “mamma, cos'hai, sei triste?”

La donna, per la prima volta, identificata profondamente col malessere emotivo della sua bambina, lo ha patito fino in fondo e non ha provato la solita rabbia nel constatare la testardaggine e la difficoltà a tollerare le frustrazioni di Lorella. Sintonizzata, invece, col suo dolore, all'unisono con lo stato d'animo delle figlia, ha potuto finalmente comprenderla appieno e contenerla, tanto che le dirà con voce commossa: “No, non sono triste, si può piangere anche di felicità”.