Chissà se Aristotele, dopo aver detto che lo scopo del lavoro è guadagnarsi il tempo libero, ha esclamato anche “dai che è venerdì”!

Il venerdì si spalanca come la Porta Santa e dà il via al Giubileo ordinario del fine settimana.

Finalmente è possibile dare il via al rito dell’aperitivo al bar del centro per liberarsi dal peso della settimana appena trascorsa e compiere, il giorno successivo, un pellegrinaggio al centro commerciale.

E la domenica, infine, arriva l’indulgenza plenaria: niente sveglia, niente dieta, nessun compito impegnativo. Divano, ozio e un pizzico di noia prontamente scacciata dalla scatolina magica dell’iperconnessione.

Il suono della sveglia del lunedì mattina fa sobbalzare come una porta che sbatte alla nostra spalle.

Benché atteso e desiderato per tutta la settimana, il weekend sembra essere il momento più triste per una larga fetta di popolazione.

Il fenomeno, studiato in Gran Bretagna, prende il nome di Sunday Blues - malinconia domenicale – e si riferisce a quel sottile, quasi impercettibile, senso di smarrimento che si prova la domenica pomeriggio. Quando la frenesia delle incombenze quotidiane lascia un posto libero, ecco che l’ansia lo occupa in tutta fretta.

Molti filosofi e psicologi hanno affrontato quella che la società moderna chiama “sindrome della domenica” a partire dal 1600 fino ai giorni nostri; da Pascal a Kierkegaard, passando per Freud e Nietzsche, fino ad arrivare a Viktor Frankl, che collega questo senso di vuoto e smarrimento alla mancanza di significato all’interno della propria vita.

Dal ‘600 ad oggi il mondo è cambiato radicalmente.

La tecnologia evolve con velocità sempre maggiore e fornisce alle persone ogni genere di strumento per ridurre la fatica e generare comodità. Film, cibo, relazioni, tutto è a portata di clic. Easy come, easy go.

Il fine settimana è caratterizzato dalla riduzione o dall’assenza di occupazioni esterne ed è il momento in cui affiora il vuoto esistenziale, libero dalla frenesia delle attività settimanali. È questo il momento in cui emergono noia, ansia e dubbi esistenziali.

Quale è il significato della mia vita?

Perché faccio quello che faccio?

Cosa mi rende davvero felice?

Domande scomode, spaventose, destabilizzanti che vengono prontamente soffocate da uno spritz, da un altro episodio, da un acquisto compulsivo. Non appena il vuoto si fa sentire, lo si riempie di qualcosa.

Ma gli dai una mano, a quel vuoto, e si prende tutto il braccio. Poi l’altro. E le gambe. Lo stomaco. E ti manca il fiato.

Dopo aver anestetizzato tutto il fine settimana, ripeti l’operazione al lunedì e spegni i campanelli d’allarme di un corpo che non solo ti parla, ma grida aiuto, con un antidolorifico. “Forse dovrei proprio cambiare il divano”, razionalizzi.

Forse dovresti cambiare abitudini.

E se quel tempo libero DA qualcosa diventasse tempo libero PER qualcosa?

Ci sono due modi di muoversi nel mondo: lontano e verso.

Ci si muove lontano da qualcosa che ci fa male, come relazioni tossiche o un lavoro che ci soffoca oppure si cammina verso un traguardo, un obiettivo un sogno. In entrambi i casi ci si muove, non si sta sul divano con le briciole dei biscotti sull’ombelico.

Partendo dalla frase di Aristotele, siamo d’accordo sul fatto che lavoriamo per avere tempo libero e seguiamo la filosofia di Viktor Frankl per dare un significato al nostro tempo libero.

Liberi dalle incombenze della settimana, abbiamo lo spazio per conoscere noi stessi, le nostre emozioni, i nostri sentimenti, cosa ci piace e cosa non ci piace, cosa desideriamo e cosa invece ripudiamo. Per farlo è necessario annoiarsi.

Niente binge watching, quindi, niente social network, niente gratificazioni immediate. È necessario sperimentare il vuoto per poterlo riempire con un significato profondo e non solo tapparlo in una qualche maniera.

La libertà del fine settimana si trasforma in una prigione da cui si cerca di evadere con pratiche socialmente accettate come l’abuso di alcool, gli incontri occasionali e l’ozio e quando arriva la domenica sera ci rendiamo conto di non poter scappare da noi stessi.

Se non riesci a batterli, unisciti a loro, si dice... e allora ritrova l’unità delle tue parti partendo da un ascolto attivo di quello stato d’ansia, di quella malinconia e di quella voce che chiede con insistenza cosa stai facendo.

Il corpo è il tuo alleato più grande e quando attira la tua attenzione con tensioni e contratture, ascoltalo perché ti sta facendo presente che è il momento di muoversi, di darsi da fare, di prendere in mano la situazione.

Se quel tempo libero dal lavoro, fosse per un hobby? O per studiare? O per fare attività fisica? O per costruire relazioni profonde?

Se quella spinta a scappare da te stesso, fosse un movimento verso le parti di te che non conosci?

Se il blues della domenica diventasse la tua melodia personale?

Il tempo passerà comunque, scegli tu se sprecarlo o farne tesoro.