Nicolò Quirico nella sua fotografia si confronta con città iconiche come Parigi o Londra, ma la sua ricerca artistica usa il mezzo fotografico per arrivare a realizzare installazioni di matrice concettuale. Una visione personale dello spazio composta da strati di storia, memoria e cultura che da tempo incuriosisce e affascina i collezionisti. E ancora una volta, nella visita allo stand della galleria milanese Costantini Art gallery, durante l'edizione 2015 del MIA (Milan Image Art Fair), tanti appassionati di arte sono stati conquistati dalle opere di Quirico e dalle sue serie più recenti i Palazzi di parole che l'artista definisce “sculture fotografiche sempre uniche e differenti tra loro”.

Il suo curriculum recita: “Inizia le sue ricerche artistiche partendo dall’utilizzo del mezzo fotografico per creare installazioni di matrice concettuale”. Che cosa significa più in dettaglio?

Inizio sempre da un'idea di fondo, da uno spunto che può dare vita a una serie di immagini realizzate attraverso il mezzo fotografico. In genere è la memoria di un'opera letteraria, del luogo dove vengono scattate le fotografie (ad esempio il Vocabolario Bormino, 1913 di Glicerio Longa, o I promessi sposi di Alessandro Manzoni, Le cosmicomiche e Le città invisibili di Italo Calvino), il testo di una canzone (Stessa spiaggia stesso mare di Edoardo Vianello) oppure un film (Reinette et Mirabelle di Éric Rohmer). Queste parole-citazioni-suggestioni sono unite alle immagini, a volte in una stretta vicinanza (immagine e testo uno accanto all'altro), altre volte unite ad esse con vecchi legni e metalli, anch'essi reperiti nel luogo dove vengono scattate le immagini, sino a formare delle sculture fotografiche sempre uniche e differenti tra di loro. In quest'ultima serie, Palazzi di Parole, le parole-libri diventano addirittura supporto per la stampa fotografica fondendosi in maniera definitiva con essa, conferendole spessore e materialità.

Cosa vuol dire per lei fare arte oggi?

Il mio lavoro è utilizzare segni e immagini, quindi direi fare la propria parte e proporre agli altri la mia visione dello spazio che ci circonda attraverso questi strumenti. Il reale che fotografo (senza di esso la fotografia non esisterebbe) è composto da strati di storia, memoria, cultura che sono l'espressione di quella particolare società o territorio con cui mi sto confrontando, doveroso quindi riproporre agli altri nel modo più originale, piacevole e magari divertente la nostra lettura in modo da restituire quello che ho preso in prestito per il mio lavoro sperando che risulti positivo e utile per tutti.

Come costruisce i suoi collage?

È una tecnica di stampa molto particolare messa a punto per questa serie, che crea opere ricche di materia e di fatto delle copie uniche in tiratura limitata. Scelgo le pagine dei libri in base alla tipologia dell'edificio che voglio raccontare attraverso l'opera, i testi provengono dai mercati dell'antiquariato, dalle librerie delle città visitate durante i viaggi, dalle biblioteche pubbliche che li abbandonano per usura... Quindi lingue differenti, argomenti differenti, grafica e tipografie e carte differenti, che in seguito vengono selezionate e incollate strato dopo strato su un supporto rigido, in modo che le parole coincidano con la forma degli edifici e la trasparenza della stampa fotografica le renda, almeno in parte ancora leggibili. Sono il simbolo degli abitanti che vivono o hanno vissuto in queste architetture, le loro voci danno forma all'edificio e nello stesso tempo ne sono costrette. Più che delle Fotografie sono delle Ecografie.

La ricostruzione delle città passa attraverso une storia di memoria e di scoperta. Da London Calling a Photoparis. Qual è stato il suo approccio con le due metropoli e le sensazioni che hanno fatto nascere questa vasta serie di opere?

Per quanto riguarda Londra volevo visitarla oggi, dopo venti anni dall'ultimo viaggio, per apprezzare meglio il cambiamento urbanistico rapidissimo e sempre in corso in questa città, farne lettura basata sui contrasti tra le antiche costruzioni gotiche e vittoriane con i nuovi edifici di vetro e acciaio. La serie di immagini lavora molto sulle geometrie degli edifici e le cromie duellano tra i mattoncini rossi vittoriani e i grigi azzurri del vetro, del cemento e dell'acciaio degli edifici di Piano, Rogers e Foster, solo per citarne alcuni. Parigi invece è più ricca di spunti provenienti dei miei ricordi di letteratura, cinema e musica del Novecento francese. Gli edifici classici ed eleganti della città sono accostati ai colori e alle forme bizzarre dell'arte e dell'arredo urbano. Diventano simbolo dei giocattoli animati de La boîte à joujoux di Debussy, dei personaggi di possibili canzoni di Georges Brassens, e Zazie non riesce a prendere il metrò non per causa di uno sciopero, ma perché le fermate liberty di Hector Guimard cambiano di posizione all'interno della città.

Quanto conta l’aspetto architettonico delle città nel suo lavoro?

Le città sono un divertentissimo parco giochi, soprattutto per me che lavoro con le geometrie, e vale sia quando mi sto occupando di comunicazione visiva sia quando mi dedico all’arte, perché sono fatte di geometrie architettoniche e di segni grafici. In più, l'architettura è realizzata su disegni modulari dove all'interno vengono collocate finestre, terrazzi, decorazioni, ecc., così come nelle gabbie grafiche vengono collocati titoli, testi, immagini ecc., analogie divertenti da analizzare, smontare, ricomporre per creare nuovi linguaggi di comunicazione che rispondono a nuove logiche compositive.

Quali lavori conta di mettere in mostra nelle prossime esposizioni personali?

Sto preparando per i prossimi mesi una mostra per beneficenza dedicata a Venezia, la serie su Parigi che è stata presentata al MIA di Milano verrà esposta in versione completa a ottobre alla Must Gallery di Lugano, e a novembre una mostra dedicata a Genova alla Galleria Rotta Farinelli.