Da quando Ivo Saglietti ha scattato le tremende e potenti immagini che compongono la mostra «Cacciatori di cibo. Haiti, a noi così vicina, così lontana dal Cielo» sono passati esattamente vent'anni. Un periodo in cui - pur a fronte di tanti problemi che restano irrisolti - il pianeta è riuscito quasi a dimezzare il numero di affamati, una larga fetta dell'umanità ha conosciuto la rivoluzione di Internet, molte nazioni del continente latinoamericano si sono messe definitivamente alle spalle dittature militari e violazioni dei diritti umani.

Ma per Haiti nulla è cambiato: oggi come allora il Paese resta agli ultimi posti di tutte le classifiche sullo sviluppo economico e sociale, dal numero di medici per abitanti all'analfabetismo, dall'andamento del Pil al tasso di disoccupazione. Oggi come allora il presidente (oggi Michel Martelly, nel 1995 il carismatico Jean-Bertrand Aristide) governa per decreto in un embrione di democrazia che fatica ad affermarsi. E oggi come allora la nazione rimane fortemente dipendente dall'influenza straniera (che si chiami Usa, Onu o cooperazione internazionale).

Il paradosso è che questa fetta occidentale dell'isola su cui nel 1492 approdò Cristoforo Colombo ha conosciuto lunghi periodi di ricchezza ed è stata persino all'avanguardia della storia: nel Settecento, questo che all'epoca era un possedimento francese conobbe un periodo di prosperità economica che la rese la più ricca delle colonie dell'emisfero occidentale, grazie soprattutto alle esportazioni di zucchero e cacao. Non solo: il 1° gennaio 1804 Haiti dichiarò la propria indipendenza, divenendo così il secondo paese del continente americano dopo gli Stati Uniti a emanciparsi dai colonizzatori europei e una delle prime nazioni al mondo ad abolire per legge la schiavitù.

Eccellenze di un passato ormai lontano, azzerato dai successivi due secoli fatti di povertà, violenze e disastri naturali. Particolarmente tragico è stato il periodo della dittatura dei Duvalier - padre e figlio - un trentennio (1957-1986) segnato da omicidi politici, corruzione, rapina delle poche risorse disponibili. Terminato il periodo più buio, non è tornata comunque la luce, anche per colpa di un destino crudele che prende spesso di mira questa terra: non si contano i tifoni tropicali che negli ultimi decenni hanno travolto l'isola, a cui il 12 gennaio 2010 si è aggiunto un terremoto di magnitudo 7.0. Almeno 100mila persone morirono nei pochi minuti successivi alla scossa o dopo le numerose scosse di assestamento, e altrettante nei mesi successivi a causa delle inefficienze del sistema sanitario. Come se non bastasse, un epidemia di colera flagellò Haiti sul finire del maledetto 2010.

Quest'ultimo episodio - con i soldati nepalesi della missione Onu sospettati di avere per primi portato l'infezione nel Paese - ha anche acceso i riflettori sulle ambiguità di alcuni interventi umanitari: Haiti è non casualmente soprannominata la «Repubblica delle Ong» per la diffusa presenza di organizzazioni attive nella cooperazione internazionale, a partire dall'Onu per arrivare a piccole associazioni laiche o religiose. Tanta solidarietà, tanti soldi e a volte qualche abuso. Dal 2010 sono stati spesi 14 miliardi di dollari per gestire l'emergenza post-terremoto, ma chi oggi osserva le condizioni di vita nella capitale o nelle campagne non può non pensare che qualche spreco (per non dire di peggio) ci deve essere stato.

Tuttavia non manca qualche segnale di speranza. Del milione e mezzo di sfollati post-terremoto, solo 80mila vivono ancora in tendopoli. Migliaia di nuove case sono state costruite, la polizia haitiana è stata ricostituita e sono comparse nuove scuole e nuovi ospedali. Paradossi da cui forse la perla nera delle Antille non riuscirà mai a liberarsi. -Stefano Femminis, I paradossi della Perla nera

Strange fruit di Andrea Dall’Asta SJ, direttore Galleria San Fedele

In questi ultimi mesi, non si fa che parlare di Expo, di nutrire il pianeta, di cibo, di sapori e di profumi. Tra maggio e ottobre, parteciperemo a un’esilarante festa del gusto e del palato, a un’immensa kermesse, dove tutti saremo invitati ad applaudire prodotti raffinati e sostenibili, sentendoci coinvolti nell’avere contribuito in qualche modo alla salvaguardia del nostro così tormentato pianeta… Riusciremo a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, rispettando così la terra e i suoi equilibri?

Più difficile è tuttavia parlare di cibo nelle zone dimenticate del mondo, nelle periferie geografiche, nei posti marginali, considerati insignificanti e privi d’interesse. Come a Haiti. Non tutti conoscono questa piccola «realtà ». Un tempo colonia francese, è stata una delle prime nazioni americane a dichiarare la propria indipendenza. Bagnato dall’Oceano Atlantico e dal Mare dei Caraibi, il suo territorio copre la parte occidentale di una grande isola, confinando a est con la Repubblica Dominicana. Haiti è il paese tra i più poveri delle Americhe, meglio, del mondo. Stretta tra un micidiale vento, soffocata da un clima infelice e da dittature spietate, tra devastanti inondazioni, tra malattie, epidemie e terremoti, senza risorse economiche o minerarie che possano avere un qualche interesse per l’Occidente, appare dimenticato, cancellato dalla cartina geografica, ricordato solo per qualche catastrofe che ricorda la sua presenza, suscitando una pietà passeggera per la povera gente inerte di fronte a un tragico destino.

Il fotografo Ivo Saglietti, vincitore per ben tre volte del World Press Photo, si reca nel 1995 a Haiti, quando una forza multinazionale «occupa» il paese, per portare «Libertà, Pace e Democrazia». Ci sarà finalmente qualcuno che si occupa di questo paese collocato ai margini del mondo? Questo ingresso «umanitario» rivela ben presto, dietro un’apparente quanto improbabile gratuità, una drammatica verità. Un giorno, Saglietti, seguendo un gruppo di mezzi militari americani, giunge a un immenso immondezzaio, dove l’Occidente scarica i propri rifiuti. La visione che si dischiude al fotografo assume toni apocalittici. Due enormi camion di spazzatura si arrestano in uno spazio sconfinato. Con movimenti lenti e decisi, come due Leviatani dalle immense fauci dai quali rigurgitano il male del mondo, aprono la loro bocca, vomitando quanto ingoiato. I giganteschi portelloni di questi mostri terrestri comincino quindi a scaricare montagne di spazzatura maleodorante: dai resti di hamburger alle bottigliette d’acqua mezze vuote, dalle lattine di coca cola ai cartoni di latte, alla frutta marcia. Tutti gli scarti della terra sembrano accumularsi, accatastarsi e concentrarsi in quel luogo, nel fetore putrido e malsano, sotto il rigoroso controllo dei soldati americani che vegliano come attente e impeccabili sentinelle alla regolarità di tutte le operazioni. L’imprevedibile deve tuttavia ancora accadere. Di colpo, come se fossero stati «scaricati» splendidi doni da un cielo benefico e magnanimo, come in una discesa della manna dal cielo, un migliaio di ragazzi, di donne e di bambini si gettano furiosamente su queste orrende montagne. Inizia allora la caccia al cibo e a quanto può ancora servire. Una guerra tra poveri si scatena. Un groviglio di corpi fluttua misteriosamente, all’inseguimento affannoso di qualche pregevole spazzatura. Saglietti, con uno sguardo attento e sofferto allo stesso tempo, riprende i momenti salienti di questa drammatica lotta alla sopravvivenza. Ritrae scene orrende, che fanno emergere sdegno, rabbia, indignazione. Dolore. Dall’arrivo dei camion allo scarico della spazzatura, al «tuffo» umano sui rifiuti, alla ripresa di montagne letteralmente ripulite, alla triste immagine di un cane morto… tutto si presenta con toni sconcertanti e irreali. Più che mettere in rilievo l’orrore che suscita la visione, il fotografo fa tuttavia emergere la pietas verso un mondo negato nel suo diritto alla vita. In questo spettacolo osceno, una luce illumina i diversi scatti, accendendo la bellezza dei volti, la vitalità dei corpi, il sorriso dei bambini, come se la dignità umana, pur calpestata e offesa, non potrà mai essere né cancellata né negata.

E le ferite continuano, così come i falsi aiuti che troppo spesso non fanno che arricchire i «ricchi», con stipendi favolosi, «fingendo» di aiutare i poveri… Già, tutto continua, come sempre, anche oggi, con la violenza, le malattie, gli orfani e… gli immondezzai.