“L'arte non è mai veramente se stessa quando vagola, come in una mera isola di visibilità, in un oceano di cecità. Essa comincia ad avere senso quando viene concepita come il tentativo più radicale di comprendere il significato della nostra esistenza mediante le forme, e i colori, e i movimenti che il senso della vista coglie e interpreta”.

Partendo dall'assunto che l'arte riflette la mente, in quanto nell'arte percezione e pensiero sono interconnessi, Rudolf Arnheim, psicologo dell'arte, diviene convinto assertore di una riformulazione del progetto educativo a partire dal ruolo che l'espressione artistica può svolgere nella formazione dell'uomo. La sua psicologia ci pare di grande attualità se pensiamo anche soltanto all'espansione delle tecnologie di comunicazione multimediale: i nostri occhi si sono venuti riducendo a meri strumenti “ricettivi” e la capacità innata di comprendere attraverso gli occhi rischia di assopirsi.

L'arte, in quanto mezzo capace di offrire alla percezione del fruitore una espressione interpretativa della natura del mondo e non una sua mera riproduzione, suscita in ognuno di noi delle sensazioni e delle percezioni differenti, in grado di modificare la nostra visione e il nostro “sentimento” del mondo. Lo studio della percezione non riguarda infatti, solamente la psicologia e la filosofia ma anche la rappresentazione artistica: non essendoci una trasformazione diretta dell'esperienza percepita in forma, il “concetto rappresentativo” funge da equivalente dell'esperienza o del “concetto percettivo”. Questo significa che il concetto rappresentativo non è presente a priori nella nostra mente, ma si sviluppa nelle forme consentite dal particolare mezzo.

Semir Zeki, professore di Neurobiologia, evidenziava l'importanza degli studi sull'arte come uno degli strumenti privilegiati per conoscere il cervello; per lui gli artisti sono come dei neurologi, in quanto senza saperlo, hanno studiato il cervello con una tecnica del tutto inusuale, come se stessero compiendo un viaggio di scoperta, attraverso cose che paiono percepite per la prima volta. Occupandosi per circa trent'anni dello studio della corteccia visiva in relazione alla visione e all'immagine, Zeki ha notato che esiste una curiosa correlazione tra il significato gnoseologico di alcune forme d'arte e la funzione conoscitiva di ciascuno degli stadi di cui si compone la visione. Come se, senza saperlo, gli artisti avessero di volta in volta selezionato uno dei meccanismi neuronali della visione per sfruttarlo, isolarlo, potenziarlo ed esaltarlo al massimo grado in senso artistico. Si capisce, chiaramente, come la visione dell'arte non va intesa come una mera registrazione meccanica degli stimoli che ci provengono dal mondo esterno, ma come un processo attivo di selezione e organizzazione, rielaborato dalla mente ed esplicitato nella visione.

Rudolf Arnheim, consapevole che la visione dell'arte non può ridursi a un mero gioco di neuroni, a un semplice processo di carattere mentale, riconosce la funzione educativa dell'arte, a cui l'estetica ha rivolto grande attenzione. Legittimamente sia la filosofia che la psicologia assumono una funzione di primaria importanza per la comprensione dell'arte e della sua storia. L'attività cerebrale di rappresentazione visiva non ci fa percepire la realtà in maniera oggettiva, ma necessita di una struttura di comunicazione, che tenga conto della capacità creativa e artistica della mente, in cui le forze visive dovranno prima o poi essere messe in rapporto alle corrispondenti forze fisiologiche del cervello. Ma cosa si intende esattamente per comunicazione visiva? Tutto ciò che i nostri occhi vedono e comunicazione visiva.

Tra tutti i messaggi che passano attraverso i nostri occhi, per mezzo dei quali avviene la comunicazione, si può tuttavia procedere ad almeno due distinzioni, la comunicazione infatti può essere causale o intenzionale. Una comunicazione visiva causale può essere liberamente interpretata da chi la riceve, sia come messaggio scientifico, sia come messaggio estetico; mentre una comunicazione visiva intenzionale dovrebbe essere ricevuta nel pieno del significato voluto nell'intenzione dell'emittente. Nel momento in cui però, un emittente invia un messaggio visivo a un ricevente, quest'ultimo potrebbe essere immerso in un ambiente pieno di disturbi, tali da alterare o addirittura annullare il messaggio; inoltre il ricevente ha qualcosa che potremmo definire come filtri, attraverso il quale il messaggio dovrà passare.

Per comprendere la comunicazione visiva è quindi necessario tenere conto di questi filtri e esaminare il messaggio che li attraversa, costituitodall'informazione vera e propria e dal supporto visivo, ossia l'insieme degli elementi che rendono visibile il messaggio. Non è semplice analizzare singolarmente questi elementi, dal momento che quando vengono osservati, entrano in gioco altre componenti, come l'intuizione, la percezione, che ci fanno apparire il messaggio visivo in maniera diversa. In modo particolare gli psicologi della Gestalt, si sono occupati di studiare gli aspetti percettivi e del ragionamento, implicati nel processo della visione, dimostrando che l'ambiente esposto ai sensi e alla cognizione non e un materiale passivo grezzo alla merce di una manipolazione puramente soggettiva, ma possiede una struttura sua propria, che deve essere analizzata sullo studio dei processi percettivi.

Arnheim, formatosi a questa scuola, rivoluziono profondamente l'estetica del Novecento, in quanto, convincendosi che attraverso le analisi concrete delle opere d'arte potessero emergere indicazioni preziose sul funzionamento generale dei nostri processi psichici, arrivo a definire l'arte come una forma di ragionamento, privilegiando la percezione come prima forma di conoscenza. Mediante l'analisi della sottostruttura dell'immagine visiva, egli elaborò una griglia interpretativa valida per tutte le composizioni visive realizzate nello spazio sia bidimensionale che tridimensionale, attraverso l'interazione del “sistema centrico” e del “sistema lineare”. L'Arte Cinetica, intesa come estetica del virtuale, attraverso la realizzazione di esperimenti percettivi e di ambienti interattivi finalizzati a sollecitare e ricreare reazioni diverse e inaspettate nello spettatore, che trascendessero i limiti e le direttive imposte dalle tecniche tradizionali e lo coinvolgessero verso un'esperienza soggettiva multisensoriale e interattiva, attua una complessa produzione di effetti, sonori, cinetici, ottici, caratterizzandosi per interazione, performatività e automazione.

Come per Arnheim l'arte è ciò che rende visibile l'invisibile, qualsiasi configurazione che fa comprendere agli occhi ciò che essi vedono, per gli artisti dell'arte cinetica, arte significa rendere visibile le reazioni alla visione, spiegare le sensazioni e i meccanismi percettivi non “di ciò che si vede”, ma “del come si vede”. Intendere l'intuizione percettiva come la base di tutta la conoscenza e il fine pratico dell'Arte Cinetica, che Arnheim profetizzava a livello teorico; entrambi concepiscono la visione come la modalità prima e originaria dell'esperienza umana e indagano i principi che stanno alla base della creazione e della fruizione dell'arte senza perdere la conoscenza diretta dell'esperienza percettiva.