Con l'avvento dell'età moderna la figura del credente tipica della società tradizionale è sostituita a poco a poco dalla figura del cittadino tanto caro a intellettuali come per esempio Jean-Jacques Rousseau. Con l'avvento del capitalismo e l'inizio della società industriale si fa strada la figura del lavoratore che gradualmente sostituisce il cittadino. Nella nostra società contemporanea l'evoluzione è ancora in corso e a sostituire il lavoratore ci potrebbe essere sia il consumatore sia il soggetto. Infatti, per alcuni intellettuali contemporanei, come per esempio il sociologo polacco Bauman Zygmun, la nostra società non è più fondata sulla produzione di beni e servizi, ma è strutturato per soddisfare i desideri volubili di un popolo di consumatori per i quali la libertà e la felicità coincidono con un alto livello di consumi. Per altri pensatori, invece, come per esempio il sociologo francese Alain Touraine, a sostituire il lavoratore è il soggetto per il quale diventa di fondamentale importanza sia per la cultura sia l'identità che ha smesso di dipendere da ruoli sociali e tradizioni culturali diventando un vero e proprio work in progress che tuttavia non è il risultato di un processo lineare e cumulativo ma la combinazione di frammenti che all'occorrenza possono essere assemblati, sostituiti o abbandonati.

Queste considerazioni ci introducono alla particolare pratica artistica di Gonkar Gyatso protagonista in questo periodo della straordinaria mostra Pop Phraseology alla Pearl Lam Galleries di Hong Kong e della mostra collettiva Metaphysical alla Galleria Mimmo Scognamiglio di Milano. Gonkar Gyatso è un artista inglese-americano nato in Tibet trasferitosi a Londra alla fine degli anni '90 grazie a una borsa di studio alla Chelsea School of Art and Design. Cresciuto durante la rivoluzione culturale di Mao che distruggeva tutta l'arte che non coincideva con il suo programma ideologico tra cui quella tibetana e quella occidentale, nella sua formazione Gyatso ha cominciato ad apprezzare il suo patrimonio culturale tibetano studiando anche il Thangka tradizionale tibetano (scroll painting).

Nella sua pratica artistica Gyatso come un etnografo post-globale esplora il legame tra iconografia tradizionale buddista con la cultura pop occidentale riflettendo sulla popolarità del Buddismo in Occidente e dando uguale attenzione sia al campo religioso che quello mondano, anche perché nella nostra società contemporanea il consumismo è davvero una religione. Nella sua pratica Gyatso spesso combina calligrafia e iconografia della tradizione Thangka buddista con collage di adesivi colorati provenienti da un immaginario saturato dai mass media, la vita tradizionale tibetana con la cultura globale di massa. Ho incontrato Gonkar Gyatso in occasione della sua mostra personale alla Pearl Lam Galleries, dove ha presentato la sua nuova serie di opere d'arte ispirate a frasi presenti nella cultura popolare e ne ho approfittato per fargli qualche domanda.

Puoi parlarci di questa nuova serie di opera e del loro legame con i tuoi lavori precedenti?

Certo, il nuovo lavoro è davvero emerso dal lavoro che stavo già facendo. Sono sempre stato interessato all’influenza della cultura pop e dei media sulla nostra vita e di solito includo ritagli di testo a fumetti che si trovano in tutta l'opera. In questo nuovo corpo di lavori ho individuato frasi o slogan che trovo particolarmente interessanti o rilevanti. Il collage camuffa la forma, sia questa la forma del Buddha o la forma di una parola. In passato ho voluto rimuovere le connotazioni religiose usando solo l’aspetto come una forma. Nei lavori con il testo voglio nascondere il significato delle parole. In Cina, quando tu sei lì, in apparenza tutto sembra facile e c’è una sensazione di abbondanza. Quando si cammina in giro tutto è illuminato e luminoso, anche quando si va nei negozi di alimenti ci sono ornamenti appesi e una segnaletica colorata, si può anche trovare una sfilata di moda o dimostrazioni con le ultime pentole, nelle città ci sono persone che stanno guidando auto molto costose e i ristoranti sono illuminati e pieni. Voglio che le mie opere riflettano questo bombardamento visivo che cattura questo desiderio di possesso materiale e ostensioni sgargianti di ricchezza. Quando si inizia a guardare più in profondità c'è un lato più scuro, più complicato; sono sempre impegnato con la dualità nel mio lavoro.

In molte tue opere è presente l’immagine del Buddha. Perché questa immagine è così importante nella tua pratica artistica?

Ho sempre visto il Buddha come una musa. Nella mia vita precedente potrei essere stato il cucciolo di palazzo, che correva intorno al giardino innamorato del principe che sarebbe diventato in seguito il Buddha. Ma da un punto di visto più serio, la forma è sempre stata più una rappresentazione culturale che una religiosa per me. Da un punto di vista estetico culturale la forma è forma di una bellezza, perfettamente armonica e proporzionata e ho usato l’iconometria della forma tradizionale per organizzare i miei quadri.

Hai affermato che le tue opere ti aiutano a capire ciò che significa vivere in un determinato luogo in un determinato momento. Sei nato in Tibet e ora vivi tra Londra e New York. Quindi, con riferimento alla tua esperienza personale cosa significa per te essere sospeso tra culture diverse?

Sono un tipo di persona che vive in ogni momento, non mi soffermo sul passato o vivere nella fantasia del futuro e questo si riflette nel mio lavoro. Cerco sempre di assimilare in qualunque società nella quale sto vivendo. L'altra questione è che come qualsiasi altra persona orientale mi sono dovuto adeguare agli standard occidentali. Per molti centinaia di anni è stato la cultura dominata. Personalmente provenendo dall'Oriente devi lavorare su come non essere escluso dell'ideologia dominata. Questo ha portato allo sviluppo della collisione tra influenze orientali e occidentali nel mio lavoro. Non è un processo facile, ma anzi piuttosto duro; c'è un aspetto della mia pratica che è molto ripetitivo e in questa ripetizione ho trovato una specie di conforto e di luogo dove lavorare attraverso queste idee.

Vivere in un mondo globalizzato può creare qualche identità ibrida che può rivelarsi davvero instabile come un equilibrio provvisorio soggetto a cambiamenti improvvisi. Tutte le tue opere sono basate sul potere di collegare culture e tradizioni diverse superando l'incommensurabilità tradizionale tra culture e mondi diversi. Pensi che questo potere può essere una chiave diversa per capire il processo di globalizzazione?

C'è una instabilità nelle identità ibride. Spesso non viene fuori dal libero arbitrio, ma dall’agitazione politica o sociale. C'è un senso di perdita e di insicurezza in questa nuova identità che è formata dalla necessità di sopravvivere in una nuova cultura. C'è un punto in cui abbiamo una scelta su come vogliamo reagire. Penso che il mio lavoro offra una sorta di soluzione utopica ai problemi della globalizzazione. Spero sempre che il mio lavoro ispiri le persone a esplorare la propria personale narrazione intrecciata al mio lavoro. Sono personalmente fortunato ad avere l’opportunità di esplorare le idee che mi aiutano a far fronte con l'essere un outsider.

Nelle tue opere possiamo trovare non solo riferimenti alla religione e alle differenze culturali, ma anche all’ambiente, ai diritti umani, ai diritti delle donne, ecc., che è quello che ho detto prima parlando di questi temi e della loro centralità nella società contemporanea in cui i movimenti culturali sostituiscono i movimenti sociali chiedendo diritti culturali al posto dei diritti sociali. Perché i riferimenti culturali sono così importanti nella tua pratica artistica?

Il riferimento è ancora una volta al senso di appartenenza e di comunità. Quando sei apolide l'unica cosa tangibile che puoi stringere è la tua cultura. Il Buddismo è una sorta di identità culturale piuttosto che un’identità religiosa per me. Attraverso la mia esperienza di vita in luoghi diversi, la cultura è come posso collegarmi ad altre persone e mi dà quel senso di appartenenza che ricerco con il mio lavoro.

Courtesy per le immagini: Pearl Lam Galleries and the artist