La mostra prende il titolo dall’ultima opera che Peter Flaccus ha portato a compimento nel settembre 2025 e che viene ora presentata per la prima volta al pubblico: un dittico di grande intensità cromatica, «di un giallo saturo attraversato da ramificazioni verdi e punteggiato da segni», che – come osserva Di Capua – «sembra voler parlare in una lingua magica ormai perduta, nel suo splendore muto».
Per Flaccus, la pittura è un organismo vivente. «A mio avviso, un dipinto è una sorta di fenomeno naturale, come un albero, che non ha bisogno di una teoria per alzarsi in piedi e sventolare i suoi rami al vento», afferma l’artista. In questa immagine si condensa la sua visione: il quadro cresce, respira, si nutre di materia (la cera), di luce e di tempo, trasformando il gesto pittorico in un processo vitale.
Realizzati a encausto – tecnica antichissima che mescola pigmenti e cera fusa – i lavori in mostra emanano un senso di equilibrio organico fra materia e luce. Ogni superficie vibra tra trasparenza e opacità, trattenendo l’energia del gesto e restituendola come respiro. Il colore, stratificato e inciso, si fa sostanza viva, attraversata da movimenti lenti, da tensioni e rilasci che evocano fenomeni naturali: flussi d’acqua, correnti d’aria, metamorfosi vegetali o cosmiche.
Scrive Di Capua: «[…] è come se questi quadri respirino. Nella dinamica di uno stile che si alleggerisce, questi non si mostrano più soltanto come insiemi formali, ma come accadimenti». Una pittura, dunque, che non rappresenta ma accade, in cui ogni opera conserva, in trasparenza, la memoria del proprio divenire.
Come una nota che si affievolisce, September song lascia nello sguardo la traccia di un tempo interiore, un’eco di colore che sembra continuare oltre la superficie del quadro.
(Testo critico di Marco Di Capua)














