La psicologia dei volti è una disciplina piuttosto giovane. In questo campo, con le ultime scoperte scientifiche, si è arrivati ad alcune conclusioni molto interessanti. Un mondo senza volti sarebbe privo di significato, vuoto e senza alcun interesse, saremmo tutti come degli zombi. Per noi esseri umani e per moltissimi animali il volto è una configurazione-stimolo tra le più importanti. Il volto è una fonte importantissima per comunicare le nostre emozioni.

Oggi viviamo in una società indifferente quasi a tutto: alla politica, agli affetti sinceri, all’amicizia, alle guerre tra le nazioni e a tante altre nefandezze che avvengono nel nostro Pianeta. Siamo in una società totalmente burocratizzata senza rendercene conto, senza prenderne coscienza e, cosa che è ancora più grave, senza volerne prendere coscienza. Facciamo rientrare tutto nella normalità. Peggio ancora, si sta prefigurando un mondo internazionalmente appiattito e globalizzato che non ci fa discernere più niente. Per fortuna c’è una funzione psicologica che è ancora integra nella nostra mente: è il riconoscimento dell’altro come individuo, soprattutto attraverso il suo volto, con i suoi sguardi, la sua mimica, le sue espressioni facciali, incluso il colore della sua pelle. Questo ci aiuta a “leggere” nella mente degli altri quello che c’è dietro a uno sguardo, a prendere coscienza delle nostre sensibilità, oltre che di quelle altrui.

Cominciamo a fare certe operazioni mentali sin dalla nostra più tenera età, addirittura dalla culla, attraverso il volto vicino della nostra mamma quando ancora non facciamo uso di un linguaggio articolato ma attraverso una comunicazione fatta solo di sguardi e borbottii essenzialmente automatici e istintivi. Se in una guerra i soldati prima di uccidere vedessero bene in faccia il nemico, lascerebbero il fucile a terra e se ne andrebbero al costo di finire davanti a un plotone di esecuzione. In questi casi non ci sarebbero costrizione o ordini militari che tengano, e di esempi di questo genere durante le guerre ce ne sono stati molti ma non se ne parla mai. Questi personaggi che in fondo sono degli eroi sono stati sempre trattati come codardi e traditori della patria. Se coloro che sganciarono la prima bomba atomica su Hiroshima il mattino del 6 agosto del 1945, in una bella e tranquilla giornata d’estate, avessero potuto guardare i volti delle future vittime, uno a uno, avrebbero disatteso i comandi, sarebbero andati a sganciare la bomba sull’Oceano Pacifico, anche se non potevano ancora prevedere le conseguenze disastrose delle loro azioni.

Queste cose le sapevano bene il Presidente americano Harry Truman, il suo staff e i suoi generali che hanno in parte occultato la verità ai piloti, inclusi quelli che dopo tre giorni sarebbero andati a sganciare una seconda bomba atomica sulla città di Nagasaki, non molto lontano da Hiroshima, sebbene in verità i piloti sapessero bene che cosa stavano trasportando nella pancia dei loro aerei tanto più che durante il volo dovevano attivare le bombe. Gli americani dovevano chiudere presto la guerra con il Giappone, soprattutto prima che i sovietici arrivassero a Tokyo (nell’agosto del 1945 erano già alle Isole Curili, a un passo dall’Isola di Hokkaido) per non dovere poi dividere il Paese con loro, come poco prima era successo con la Germania nazista. Gli americani non volevano incorrere nello stesso errore commesso in Germania, ma il fatto era che ancora non disponevano di una bomba atomica. La guerra fredda era già iniziata da qualche tempo e, sotto molti aspetti, tra i due blocchi esiste ancora.

Dall’origine della nostra vita sulla Terra le nostre sensazioni visive e percettive non sono state ancora contaminate dal male. Percepiamo il volto di un altro come lo percepivano i nostri lontani antenati, prima che inventassero le armi. È anche per questo che quasi tutti gli animali, persino i pulcini, hanno la capacità di riconoscere il volto di un loro compagno e questo ha dei riflessi molto significativi in chi guarda. Il riconoscimento di un volto, sia nell’uomo, sia negli animali, genera istintivamente delle inferenze che suscitano una grande forza interiore e una forte emotività fondamentalmente inibitoria di ogni forma di aggressione. Per esempio, chi oserebbe aggredire un bambino appartenente a qualsiasi cultura, lingua e nazione, che sorridendo ci guarda negli occhi? Nessuna persona normale oserebbe farlo, come non oserebbero mai farlo uno scimpanzé e persino un uccello con i loro piccoli e anche con quelli degli altri. Ecco anche perché i bambini si uccidono soprattutto dall’alto, a distanza, con le bombe, senza pensare molto a quello che si sta facendo. Per pulirsi la coscienza, per non avere rimorsi e per continuare a dormire sonni tranquilli, i guerrafondai, oltre a far combattere i soldati a terra, usano gli aerei, i satelliti e i droni muniti di bombe che sganciano dal cielo.

La conclusione è che i volti con i loro sguardi con i quali ci imbattiamo ogni giorno della nostra vita sono così ricchi di comunicatività espressiva tanto da metterci nelle condizioni di inibire naturalmente tutte le nostre cariche aggressive che potremmo sempre scaricare su qualcos’altro, per esempio su un oggetto innocuo, come ci ha insegnato il grande etologo Konrad Lorenz con il principio della ri-direzionalità del comportamento aggressivo. Il volto è uno dei più grandi indizi emozionali comunicativi che guidano la nostra esistenza che è tendenzialmente pacifica, non aggressiva. Se non fosse così staremmo sempre a farci la guerra l’uno contro l’altro. Nel volto di un altro possiamo “leggere” una mente o uno stato d’animo di chi quel volto lo possiede. È come se la mente per esprimersi debba per forza di cose far uso, non solo di tutte le sue facoltà, ma anche e soprattutto di una componente esteriore, appunto quella del volto degli altri.

Per il nostro cervello, il volto diviene sostanzialmente una forma percettiva fondamentale, una risorsa di primaria importanza; e quando per una patologia neurologica questa possibilità viene a mancare, come nella prosopagnosia - ovvero la malattia che provoca un’eliminazione dell’elaborazione degli stimoli che vengono lanciati da un volto umano, nonostante possano rimanere intatte altre capacità percettive, intellettive e cognitive - non riusciamo più a qualificare l’espressività di un volto e ne perdiamo il suo carattere identitario e, quel che è più grave, l’interpretazione emozionale. Perdiamo cioè tutta la psicologia dei volti così importante e fondamentale per una sana sopravvivenza comunitaria. La prosopagnosia è causata principalmente da una lesione occipito-temporale principalmente dell’emisfero destro a causa della quale, per esempio, come ci raccontò il famoso neurologo americano Oliver Sacks, a un certo punto un paziente colpito da questa malattia scambiò il volto di sua moglie, curiosamente, per un cappello!

Neurologicamente, come si manifesta il riconoscimento dei volti? Ci sono alcuni neuroni della corteccia temporale inferiore che sono specializzati per il loro riconoscimento e che rispondono selettivamente a essi. Le proprietà fondamentali per l’identificazione di questi stimoli visivi sono principalmente due caratteristiche fisiche, cioè la frequenza spaziale e l’orientamento degli stimoli che vengono analizzati primariamente da un’area particolare della corteccia visiva, cioè l’area V1, detta anche primaria, che riceve le informazioni visive dall’occhio attraverso il talamo. Per il riconoscimento dei volti è comunque necessario il coinvolgimento di altre aree corticali, per esempio, di altre aree occipitali e persino temporali, quindi collocate in un’altra parte del cervello.

In conclusione, riconosciamo i volti attraverso delle immagini che conserviamo nella nostra memoria su cui spesso ritorniamo e sulla cui base elaboriamo i nostri pensieri quando è necessario, però alcune di loro sbiadiscono ed ecco perché possiamo dimenticare molti volti che abbiamo incrociato in un lontano passato, ma mai quello di nostra madre che conserviamo per sempre.