Kuala Besut, da ex capitale ittica della regione in declino, titolo passato nelle mani del vicino Kampung Tok Bali (Kelantan), col nuovo secolo nel cadente villaggio è riapparso un certo vigore economico, grazie all’incremento del turismo attratto dalla bellezza delle isole Perhentian. Sono sorti così il Terminal Pelancongan (“molo turistico”), un grazioso jetty a tettoia che termina con un gazebo in cemento, e la compatta piazzetta abbellita da vasi e piastrelle rosate, con negozi di generi vari.
I porti di Tok Bali e Kuala Besut, principale gateway, sono gli unici ufficialmente autorizzati dal governo malese al trasporto di passeggeri, locali e stranieri, da/per le isole Perhentian. Dal concreto jetty di Kuala Besut ogni 2-3 ore parte un veloce cabinato, detto fast boat, diretto alla baia o alla spiaggia desiderata. Il primo parte attorno alle 7 e l’ultimo alle 18, dopo si paga un extra. La traversata dura mezz’ora e il trasporto, andata e ritorno, costa l’equivalente di 15 euro per gli adulti e la metà per i bambini. Unico neo, si saltella parecchio tra le onde ed è poco indicato a chi ha seri problemi di schiena. Esiste poi un regolare servizio di tradizionali kolek col telo parasole e semplici barconi da pesca d’altura, slow boat, che effettuano lo stesso servizio in 90-110 minuti (dipende dalla potenza del motore, dalle condizioni del mare e dalle soste intermedie all’arrivo) per 2-3 euro in meno.
In alta stagione, da maggio ad agosto, le partenze sono più frequenti, mentre da novembre a febbraio le piogge torrenziali del landas (monsone) spesso obbligano a sospendere i collegamenti. Ricordate di acquistare il biglietto di ritorno a Kuala Besut, prima della partenza, poiché sulle isole non esistono agenzie preposte e rischiate poi di pagare una cifra eccessiva. Numerose agenzie con ticket office le trovate davanti o nei dintorni del porto, come le valide “Perhentian Pelangi Travel & Tours”, in grado di prenotare viaggio e alloggio alle isole Perhentian e Redang. Parole utili da memorizzare: kuala (città), pulau (isola), teluk (baia), pantai (spiaggia), kampung (villaggio), tanjung (promontorio), pasir (sabbia), besar (grande), kecil (piccolo), attap (foglia di palma usata per pareti e tetti).
Gli antichi vascelli mercantili che veleggiavano da Singapore a Krong-Thip (l’odierna Bangkok), abitualmente attraccavano in queste isole per una pausa di viaggio. Un rifugio che col passare dei secoli prese il nome di Pulau Perhentian, ovvero “Isole della Sosta”. Oggi, inserite nel parco marino di Redang, è la loro grandiosa natura ad attrarre migliaia di turisti ogni anno per una piacevole “sosta”.
Ad appena venti chilometri da Kuala Besut s’incontrano le isole sorelle Perhentian Kecil (“piccola”) e Perhentian Besar (“grande”), scoperte dal turismo internazionale solo di recente e già coronate fra le più belle gemme della Malaysia. Entrambe possono essere inserite a pieno titolo nel dizionario dei paradisi tropicali: acque vitree tinte di giada, fondali corallini ricchi di vita animale e vegetale e l’ombra delle palme da cocco che s’incurva su spiagge candide e abbaglianti. Basta una breve traghettata e, come Alice nello specchio, si entra nelle meraviglie di un poster turchese spesso sognato, privo di strade e d’elettricità industriale, circondati da buio pesto, senza traffico, insegne al neon ed altre “diavolerie” simili. Unica minaccia, il boom turistico esploso in pochi anni che nel tempo potrebbe causare i “soliti” danni irreversibili. Tuttavia, a differenza di Langkawi ed altre isole malesi, qui gli alberghi popolari sono ormai un punto di forza e nessuno parla di chiusura in favore di nuovi e più lussuosi resort. La maggiore concentrazione di alloggi la trovate a Long Beach di Kecil e lungo la costa occidentale di Besar, chiamata anch’essa “long beach” (Pasir Panjang).
Salvo qualche eccezione, le due isole si sono divise il tipo di clientela: Kecil, con sistemazioni rustiche e bar animati è preferita dai viaggiatori a budget limitato, votati alla vita spartana piuttosto che al comfort, mentre a Besar si raduna una clientela mediamente più esigente, che predilige la vacanza organizzata, fatta di sole, buoni ristoranti, servizi adeguati, qualche spettacolo e tanta comodità. In entrambe trovate comunque alloggi moderni o semplici capanne per poca spesa. Di sera ci si svaga coi rumori della natura e per mangiare e bere qualsiasi pensione gestisce una propria caffetteria aperta a tutti, dove servono bibite, dolci, uova, spiedini di pesce e piatti elementari a base di riso e vermicelli. Per portate più ricercate e una serata diversa occorre recarsi nei ristoranti degli chalets più quotati. In via di favore, agli stranieri è concesso anche di bere alcolici e ubriacarsi, purché non molestino e stiano lontani dalle droghe.
Kecil e Besar sono comunque unite da un viavai di water-taxi che in dieci minuti attraversa il canale, largo 7-900m, ed è prassi comune tra i turisti passare una giornata ad esplorare le isole per confrontarne le differenze. Poi eventualmente scegliere dove alloggiare. I trasporti tra le varie baie sono garantiti da barcaioli privati o dipendenti dei resort, in funzione di agili water-taxi (o taxi-boat) al costo di 2-3 euro a corsa. Il prezzo, più o meno flessibile, dipende dalla destinazione: i nativi amano contrattare su tutto. In taluni casi è più pratico seguire per 10-20 minuti alcuni sentieri ben marcati che tagliano il folto di un’intricata foresta, habitat di scimmie, volpi volanti e qualche varano.
Dichiarate parco marino protetto per le stupende colonie di corallo, la varietà di pesci e i meravigliosi paesaggi subacquei, per fare snorkeling e scuba diving tra reef in prossimità della spiaggia, i luoghi più adatti sono la baia di Long Beach (Kecil) e l’ansa davanti al Coral View Island Resort (Besar). A poche bracciate da riva s’incontra un’intensa concentrazione di vita marina, tra cui pesci pagliaccio, fucilieri, arlecchino, farfalla, damigella, angelo, grilletto-titano, murene ed anche la timida tartaruga “Becco-di-falco”. Fare immersioni alle Perhentian può essere rilassante o una sfida emozionante, dipende dalle proprie esigenze, in entrambi i casi i costi sono i più accessibili della regione. Molti alberghi e tutti i dive centre organizzano immersioni nei siti marini più belli dell’arcipelago, che comprende il gruppetto di isole minori a nord di Kecil.
Tra questi, i più visitati sono i giardini e la caverna di Terumbu Tiga, tre blocchi di corallo nella costa orientale di Besar, e il magnifico muro di 30m del Tokong Laut (“Tempio del Mare”), rocce affioranti al largo di Pulau Susu Dara Besar, raggiungibili in 20 minuti di motoscafo. Fauna ittica abbondante, correnti gentili e visibilità a 15-20m, attraggono numerosi sub ma anche barracuda dalla coda gialla, svariate specie di pescicani, lucci ed altri predatori. Delfini e balene pilota appaiono durante l’apice della stagione secca, da luglio a settembre, quando la visibilità può aumentare fino a 30m, anche se la profondità di molti siti non supera i 12m. In alcuni angoli melmosi si pratica il “muck dive” (immersioni nel fango), alla ricerca di invertebrati e macro-creature dalle forme più sorprendenti.
Per il noleggio di attrezzature da sub, escursioni marine, immersioni e corsi PADI open-water, esiste una dozzina d’eccellenti dive centre, sorti soprattutto a Besar, composti da team anglosassoni e poliglotta in grado di garantire la massima sicurezza e professionalità, come il Flora Bay Divers, unico 5 stelle Palma d’Oro, il vicino Alu Alu Divers, entrambi a Teluk Dalam, o Flora Bay, e lungo Pasir Panjang, con il Prima Classe Pro Diver’s World, all’interno del Coral View Island Resort, il Watercolours World del Paradise Resort, e il popolare ed apprezzato Sea Horse Diving Centre, nell’albergo omonimo posizionato tra il Tuna Bay e il Marine Park. A Kecil, invece, la parte del leone la fa il Coral Sky Divers, diretto in modo egregio da Yves e Erika Antoniazzo: lui svizzero, lei olandese, ed entrambi parlano italiano. Tariffe vantaggiose anche per vitto e alloggio nei loro ombreggiati villini del Matahari Chalets. All’arrivo in baia la sede del Coral Sky-Matahari è ben visibile anche da lontano, grazie al vistoso cartello rosso posto al centro di Long Beach.
Per coloro che desiderano approfondire o soltanto apprendere le tecniche per avvicinarsi al mondo degli abissi, le Perhentian rappresentano un’ottima opportunità per seguire uno dei corsi proposti senza spendere una fortuna. Tutti i dive centre chiudono da metà ottobre ai primi di marzo, a causa del monsone di nord-est. Per qualcosa di meno impegnativo, nulla vieta di andare in giro in barca a pescare coi nativi per poca spesa e magari tuffarsi sotto costa, dove la barriera corallina emerge in superficie durante la bassa marea.
L’attrazione preminente di Kecil sono le albe di Long Beach (Pasir Panjang) e i tramonti di Coral Bay (Teluk Aur), due baie collegate da un sentiero percorribile in un quarto d’ora. La maggior parte degli isolani vive nell’unico villaggio delle Perhentian, Kampung Pasir Hantu, sorto nella parte sud-orientale dell’isola, sullo stretto che divide Kecil dalla sorella maggiore Besar. Sulla via per Long Beach, destinazione principe di Kecil, si passa davanti al villaggio e in caso di sosta ricordate che è una comunità di fede islamica. Anche se abituati a convivere col turismo occidentale, quindi più tolleranti, prima dell’attracco il timoniere invita i passeggeri in costume a coprirsi con pareo e camicetta in segno di rispetto. In fondo al grosso molo trovate la stazione di polizia, l’infermeria, qualche spaccio attorno alla moschea in legno e i tendaggi di svariati ristoranti fissati lungo una vasta spiaggia poco attraente e trascurata, invasa da bombole del gas, capretti neri e socievoli pescatori sempre sorridenti e disponibili per un aiuto.
Giunti davanti alla baia di Long Beach, priva di pontile a causa delle onde e di un fondale troppo basso, come una gigantesca piscina tropicale, si trasborda su un piccolo water-taxi (0,50 euro a persona) che accompagna i passeggeri sulla ridente conca di sabbia bianca, assediata da rustici ristoranti, bar, chalet e dive shop accovacciati all’ombra di palme da cocco. Al ritorno si fa la stessa operazione nel senso inverso: nell’ora stabilita si attende l’arrivo dell’imbarcazione per Kuala Besut o Tok Bali nel curioso stand posto davanti al Matahari Chalets. Le partenze più consistenti avvengono alle 10, 12 e 14, tenendo presente che Long Beach è aperta sul Mare Cinese Meridionale e appena il vento da nord-est rafforza il mare mosso complica le operazioni d’imbarco e di sbarco.
La popolarità di questo vivace lido tropicale è talmente aumentata negli ultimi anni, che nel picco estivo di luglio e agosto molti turisti sono costretti a campeggiare in spiaggia nell’attesa che si liberi una camera. In tal caso si può provare nella vicina Coral Bay seguendo il passaggio nella foresta che s’imbocca alle spalle del Mohsin Chalets: il sentiero è marcato da una corda bianca e azzurra tirata tra gli alberi fino al Mama’s Kitchen, sul versante occidentale dell’isola. Lasciate i bagagli a Long Beach e tornate a prenderli soltanto se trovate un alloggio libero. Diversamente, ci sono sempre parecchi water-taxi disseminati sulla riva e si può decidere di andare a vedere cosa offrono le altre baie più appartate. Per evitare equivoci concordate il prezzo prima di salire, tenendo presente che per andare al Perhentian Island Resort a Besar la tariffa è di RM 10 a persona.
L’atmosfera generale a scorci ricalca il valore dell’essenziale tanto caro ai viaggiatori degli anni ’70: easy life. Chi è già stato qui in passato, può rimanere deluso dal relativo aumento di costruzioni e dal viavai di motoscafi che rombano nella baia, ciò nonostante Long Beach rimane una splendida destinazione, luogo di raduno ideale per giovani intraprendenti e creativi. Durante il giorno, il passatempo principale consiste nel perlustrare le formazioni coralline che delimitano i lati della baia, sguazzando in acque calde e cristalline ad un centinaio di metri dalla riva. Ma c’è chi preferisce passeggiare coi piedi a mollo in cerca di conchiglie, fare scii nautico, veleggiare su piccoli catamarani, seguire un corso da sub per principianti o sdraiarsi nei lettini, posti nella veranda di alcuni ristoranti, e rilassarsi coi massaggi praticati da donne esperte nel far crocchiare ogni parte del corpo. Certo, in un paese islamico può stupire la pratica di massaggi in pubblico, come pure la presenza di tante fanciulle scandinave che prendono il sole in topless: testimonianze dei privilegi che caratterizzano Long Beach.
Per godersi una lettura in santa pace recatevi al piano superiore del panoramico Palm Tree Cafe, sdraiati su amache cullate da una balsamica brezza marina. I cartelli in spiaggia suggeriscono le gite più piacevoli: non perdetevi il classico snorkeling dei “5 siti marini”, che comprende il “Shark Point”, il “Coral Garden” e la “Turtle Bay”. L’escursione dura 5 ore, con partenza alle 10.30, e nei 10 euro del costo è incluso il noleggio di maschera, pinne, boccaglio e giacca salvavita. Per informazioni, il Gen’s Mini Mart ha una baracca in spiaggia, la stessa che gestisce lo scii acquatico (20 minuti, 10 euro).
Un’altra meta intrigante dei dintorni è rappresentata dal cosiddetto “Vietnamese Wreck”, il relitto di un mezzo da sbarco americano affondato al largo del villaggio di Pasir Hantu mentre scortava una “boat people” stipata di rifugiati vietnamiti. Barracuda e grossi pesci si aggirano fra la carcassa avvolta dalle alghe, tuttavia, a causa dell’acqua spesso torbida è un’immersione abbastanza deludente, mentre il sito più apprezzato in assoluto rimane la parete del “Tokong Laut”: entusiasmante! Tra la schiera di spartani dive centre allineati lungo i 1500m di spiaggia, il capace team del Coral Sky Divers si accaparra gran parte della clientela di Long Beach, composta perlopiù da giovani desiderosi di conoscere da vicino le meraviglie del mondo sommerso. Il corso per “Beginners” dura 3 giorni e costa 150 euro.
Per fare acquisti il Gen’s Mini Mart, situato tra il Palm Tree Cafe e il Coral Sky Diver, è il negozio più fornito di cibi e di comuni articoli da mare; in caso di bisogno accettano dollari, ma il cambio è pessimo. Accanto, proprio all’ingresso del Panorama Chalet, c’è la galleria del Starbart Shop, che propone una grande varietà di dipinti su batik; volendo si può scegliere uno scampolo di tessuto grezzo e dipingerlo personalmente, guidati da amabili commesse.
La prima linea della spiaggia centrale è contesa da tavoli, sedie, materassini, amache, ombrelloni, tendaggi e tettoie in attap di una mezza dozzina di bar-ristoranti spartani, uno pigiato all’altro e c’è l’imbarazzo della scelta per cibo genuino e sottofondo musicale. Semi deserti di giorno, la sera si fondono in un unico luogo di raduno per viaggiatori, che fumano shisha (sigarette al sapore di frutta) ed amano conversare ispirati dal fruscio delle onde, coi piedi affondati nell’arena e la testa sotto un manto di stelle. A parecchi capita di addormentarsi sulla spiaggia, come ipnotizzati dal riflesso lunare sullo specchio del mare, ma non scordate la coperta perché fa freddo dopo mezzanotte. L’atmosfera casual di questi party spontanei ha contribuito a rendere Long Beach una meta obbligata tra i cultori del bello. Purtroppo, per chi ama farsi un goccetto la speculazione sulle bevande alcoliche, proibite dalla religione, porta il costo di una birra a quasi 2 euro la lattina. Idem per un bicchierino, sia di whisky che di Vodka: carissimo! Conviene fare scorta sulla terra ferma prima di partire per l’isola.
La maggior parte di alberghi e pensioni, chiamati chalet, occupano la seconda fila e spesso offrono sistemazioni in camere anguste ed essenziali, con bagni e docce in comune. L’unico deluxe hotel di Long Beach è il nuovo Bubu Resort, un elegante edificio in stile malese nell’estremo nord della baia, circondato da massicce capanne in attap costruite direttamente sulla sabbia. I gazebo sulla spiaggia sono riservati a rilassanti massaggi thai e balinesi molto richiesti verso l’imbrunire, a coronare una giornata ricca di movimento. Dopo cena la serata è allietata da show di musici e danzatori, ma anche da improvvisate jam session o singolari danze del fuoco Maori praticate sulla spiaggia dai saccopelisti dei vicini chalet. Il nome bubu si riferisce alle trappole tradizionali di bambù e rattan usate dai pescatori.
Poco oltre, verso la punta, il popolare Moonlight Chalet offre semplici bungalow dal tetto spiovente, privi di ventilatore, ma col bar sulla sabbia ed un ottimo ristorante al piano superiore, da cui si gode un’ampia veduta della baia. Per ordine categorico dei proprietari, qui non si vendono alcolici ai turisti. Potete chiedere per una birra, ma se viene rifiutata non arrabbiatevi con gli impiegati, come ogni tanto accade quando i clienti sono troppo “alticci”. Tornando verso sud, appresso al Bubu Resort trovate i semplici bungalow del Simfony Village, alcuni dotati di bagno privato. A seguire ci sono le casette del Panorama Chalets, con qualche soluzione più grande di tipo famigliare, e a pochi passi, sempre nella parte centrale della conca ma in posizione appartata tra il verde, trovate gli ordinati cottage dell’ormai celebre Matahari Chalets, una delle pensioni più apprezzate dai saccopelisti. Un nome che riporta alla straordinaria poesia della lingua malese: Mata-hari significa “Sole”, “occhio del giorno”.
Continuando lungo il sentiero parallelo alla spiaggia, al temine di un tratto meno affollato s’incontra il Coconut Cafè ed un gruppo di alberghi con varie tipologie di bungalow raccolti nella parte meridionale della baia, come il confortevole Long Beach Inn, il più spontaneo Chempaka Chalets, con party e barbecue notturni sulla spiaggia, ed il super spartano Rock Garden, che chiude la baia con economici ma affascinanti bungalow arroccati sulle rocce in posizione panoramica, proprio davanti alla Gua Kambing (Grotta della Capra). Tenete presente che ogni classe di albergo ha in dotazione numerose “safety jacket” (giacca salvavita) per coloro che non sono così esperti nel nuoto.















