Studio la Città presenta un nuova mostra personale di Davide Bramante, Jocu focu, a cura di Massimo Sgroi.

L’artista è già noto al pubblico italiano e internazionale per gli iconici cicli di fotografie analogiche in bianco e nero o a colori che ritraggono alcune città del mondo – Atene, Roma, Milano, Venezia, Verona, Noto, Napoli, Shanghai, Washington, Lisbona, Barcellona, Basilea, New York, New Delhi. Opere realizzate con la tecnica analogica della esposizione multipla in fase di ripresa: cioè più scatti – da quattro a nove – sullo stesso fotogramma. Il risultato è una stratificazione dei principali tratti distintivi di questi luoghi, costituiti da monumenti, paesaggi urbani, dipinti, sculture. Utilizzando questa stessa tecnica nella mostra veronese, Bramante ha scelto come tema centrale il fuoco, un elemento che metaforicamente “può essere innato nell’animo umano così come lo si può possedere in variegate forme esercitando su di esso un potere di controllo”. Ma può anche essere il fuoco vero e proprio, i fuochi d’artificio – in siciliano ‘U jocu focu’ – che ancora oggi tanto lo affascinano.

Il titolo della mostra fa dunque riferimento a questi spettacoli che nella tradizione delle feste religiose rappresentano un rituale importante a corredo delle celebrazioni.

Bramante – osserva il curatore Massimo Sgroi – recupera il rituale folkloristico, quello della festa in relazione al divino, per essere medium sociologico della creazione collettiva; i vasi sculture, le fotografie, le installazioni realizzate con le stampe delle immagini delle feste del Val di Noto, finiscono per ridefinire i perimetri del nostro rapporto quasi tribale, pagano che abbiamo ancora con il divino. Bramante realizza questa rilettura, concettualmente, in valore assoluto laddove il fuoco d’artificio che celebra il dio (o il santo da cui deriva) diviene parte del rituale o, visto da un’altra angolazione del mondo, spettacolo tragico di morte.

Nell’installazione realizzata negli spazi dello Studio la Città l’artista presenta grandi stampe fotografiche fronte/retro su pvc che ricordano delle tende, intagliate a mano e con diverse fantasie, sulle quali l’artista ha applicato alcuni festoni raccolti per terra dopo i fuochi d’artificio delle feste popolari del Val di Noto, suo luogo natale. Appese al soffitto della galleria le grandi immagini arrivano fino a pochi cm dal pavimento e “possono essere attraversate dal vento come dall’umano generando un’opera viva, fluttuante”.

Tra loro si snoda un percorso apparentemente disordinato costituito da alcuni parallelepipedi su quali si ergono i vasi di terracotta. “Insieme queste opere richiamano, seppur nella diversa natura che le genera, il movimento che dona loro vitalità; nell’una è il vento come l’attraversamento del corpo che gli dona la vita, facendole fluttuare in una dimensione sospesa di tempo e di spazio, nell’altra il movimento è rappresentato dalla forza delle mani che imprimono sulla plasticità ciò che il fuoco renderà poi scultoreo”.